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Libia: al vertice di Londra si aspetta la fuga di Gheddafi

Preceduto da un pre-vertice “a quattro” (Usa, Francia, Gran Bretagna e Germania) che ha messo in chiaro che l’Italia – con o senza Berlusconi – non conta assolutamente un cavolo, nella divisione internazionale del potere. Le si può consentire di fare una parte del “lavoro sporco” – partecipare in modo subordinato alle missioni militari, arginare i flussi migratori dall’Africa verso l’Europa – ma non di mettere sul piatto i propri desiderata. O meglio, di tutelare i propri interessi economici quando questi confliggono con quelli di potenze più importanti. Persino la Germania, che pure alla guerra di Libia non ha voluto partecipare, ha un”diritto di prelazione” che l’italietta non potrà avere. Mai. Se vogliamo un argomento definitivo per seppellire sotto una valanga di risate (simo pur sempre un giornale, e dobbiamo evitare il turpiloquio) qualsiasi nazionalista nostalgico, eccolo qua. Non contate un piffero. Fate i servi più servi che si può perché non siete in grado di fare altro.

 

Torniamo a Londra. Il Regno Unito – ha detto il ministro degli esteri William Hague all’uscita – «non tratta una partenza di Muammar Gheddafi», ma «questo non impedisce ad altri di farlo». Bisogna tradurre sempre, dall’inglese: noi non siamo d’accordo, ma dovrebbe finire così. Anzi, fosse stato per noi, sarebbe andata altrimenti. Non è un mistero che ci siano “agenti speciali” inglesi attualmente in Libia che hanno l’incarico di scoprire dove si trovi – in tempo reale – Gheddafi, per poterlo “terminare” (omaggio a Schwarzenegger, ovvio).

 

«È l’unico modo di fermare il bagno di sangue», ha chiosato Hamad bin Jabr al-Than, premier e ministro degli esteri del Qatar, confermando la “traduzione” prima avanzata. Il Qatar è stato il primo paese arabo che, dopo la Francia, ha riconosciuto i ribelli del Cnt proponendosi anche come tramite per vendere il petrolio libico; il che permetterebbe di finanziare gli “sforzi dell’opposizione” libica… a spese dei libici. Con un modesto ritorno per i generosi intermediari, ovvio.

 

Sul campo, del resto, le cose si mettono male per i ribelli: le forze di Gheddafi «attaccano dal mare e da terra» Misurata. L’ha detto David Cameron, primo ministro inglese, inaugurando la riunione di Londra. Cecchini del dittatore «sparano addosso agli abitanti e poi li lascia morire dissanguati in strada». La Cnn parla di «carneficina». Un modo molto british di drammatizzare una situazione che può essere così riassunta: le forze della coalizione bastonano le forze di Gheddafi ovunque possono, e questo ha permesso ai cirenaici di riprendersi le città che sarebbero comunque di loro competenza tribale (Aidhabyia, Brega, Ras Lanuf). Ma non è sufficiente a far loro “conquistare” quel che è fuori dal loro territorio (Sirte, ecc), perché – semplicemente – è abitato da altre popolazioni non addomesticabili.

 

Ma la drammatizzazione permette di porre la domanda retorica che altrimenti non avrebbe senso: “come proteggere gli abitanti della città libica”? A Londra non si è parlato di rafforzare il dispositivo militare. È stato costituito invece un “Gruppo di Contatto” che comprende una ventina di paesi. Si riunirà al più presto in Qatar.

 

Si è cominciato però anche a parlare di “armare i ribelli”, come aveva proposto l’ambasciatrice americana all’Onu, Susan Rice, E’ stata appoggiata oggi dal ministro della difesa francese, Alain Juppé. «La risoluzione Onu – ha detto il segretario di Stato Hillary Clinton – permetterebbe di farlo». Inutile addentrarsi nelle sottigliezze giuridiche: il diritto internazionale è un cantiere che non può arrivare – per definizione – a una conclusione certa. Se lo facesse, come in ogni sistema giuridico che si rispetti, verrebbe limitata la volontà prevaricatrice dei paesi più forti. Meglio un tessuto a maglie larghissime, dunque; in modo da permettere qualsiasi aggiustamento retorico si renda necessario.

 

La Nato assumerà il comando delle operazioni militari domani, con 24 ore di ritardo. L’ha preteso la Francia – e la Gran Bretagna – che chiedevano un po’ più di tempo per raggiungere i prorpri obiettivi militari (la caduta di Sirte sarebbe un segnale simbolico importante per dare di Gheddafi un’immagine totalmente perdente: quella è la sua città natale). Ma era anche necessario dare una prova di coesione per provare a “convincere” il rais ad andarsene.

 

L’Unione Africana, che fino a ieri doveva esserci, ha rinunciato a presenziare, per non avallare u comportameto colonialista “democratico” che può diventare un pericoloso pecedente per quasi tutto il continente. Qualcun altro pensa invece che proprio a qalche paese africano possa essere affidato il ruolo di “ospitante” il futuro “richiedente asilo” proveniente da Tripoli.

 

A Londra è stato anche presentato in pompa magna il Cnt, il “consiglio nazionale” che aspira a sostituire Ghedafi come “unico legittimo rappresentante del popolo libico”. Regna invece il massimo riserbo sulla “composizione” di questo consiglio. Si sa che ci sono ex ministri dello stesso Gheddafi (il ministro della giustizia e quello dell’interno); si sospetta ci posssano essere anche islamisti vicini o “manipolabili” da Al Qaida.

Ma intanto Hague ha tenuto a battesimo la nuova compagine portando il portavoce Mahmoud Jibril a incontrare la Clinton e Cameron. Primo problema: come finanziare questo “secondo stato”. Ma il petrolio potrebbe essere il giusto medium.

 

Il coro finale è stato: Gheddafi non ha più legittimità e se deve andare. Ma è rimasto in sospeso il “come”, il “quando” ed eventualmente il “chi” dovrà convincerlo a fare il passo estremo.

 

O, come ha detto alla Bbc Hague, «non sta a noi decidere dove Gheddafi vuole andare in pensione».

 

Se questo è l’obiettivo, una “soluzione diplomatica” non è impossibile. Ma non lo era neppure prima. Certo, quei 103 miliardi di dollari sequestrati dagli investimenti libici fuori dalla Libia, avrebbero facilitato il compito…

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