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La Grecia ferma sul precipizio

Ascolta l’intervista a Margherita Dean (Peace reporter) realizzata da Radio Città Aperta:

 

Pavols Neratzis

Atene

Nel guado di una crisi sempre piú profonda, e alla vigilia di una nuova stangata, ieri la Grecia si è fermata ancora una volta. Lo sciopero generale indetto dai due maggiori sindacati, l’Adedy (del settore pubblico), la Gsee (cui sono iscritti gli impiegati del settore privato), e il Pame (il sindacato dei comunisti) è il decimo dall’11 marzo dell’anno scorso, da quando cioè è cominciata la procedura di adesione al meccanismo di sostegno europeo.

Decine di migliaia di lavoratori sono scesi di nuovo in piazza ad Atene e a Salonicco per chiedere l’abolizione dei tagli agli stipendi e rivendicare la restituzione della tredicesima e della quattordicesima mensilità. Urlando slogans a favore dei diritti dei lavoratori – «resistenza e lotta qui e ora», «via governo e Fmi» – gente di ogni età, lavoratori, pensionati, disoccupati, migranti e soprattutto giovani, hanno espresso la loro opposizione alla deregolamentazione dei rapporti di lavoro, chiedendo al governo di sostenere gli enti previdenziali in difficoltà economiche.
Dopo una lunga marcia di protesta attraverso le vie principali della capitale, i lavoratori di tutte le società pubbliche che rischiano di essere privatizzate, gli impiegati di enti locali e delle banche, gli insegnanti di tutti i gradi, i medici ospedalieri, i lavoratori marittimi, ma anche i giornalisti che chiedono «di mettere fine ai licenziamenti a catena» nel settore dell’informazione, si sono radunati di fronte al parlamento, nella piazza della Costituzione (Plateia Syntagmatos) per dire «basta» al programma lacrime e sangue.
Non è un caso che lo sciopero di ieri sia coinciso con l’avvio del lavoro di verifica sui conti pubblici della troika Ue-Fmi-Bce. Dopo i colloqui con i funzionari del governo ellenico, i rappresentanti della troika dovranno decidere la concessione o meno della quinta tranche dei 110 miliardi di euro del «piano di aiuti» concessi ad Atene un anno fa. «Il piano greco sembra serio, aspettiamo per giudicare» ha detto la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il ministro dell’economia francese, Christine Lagarde, che ha escluso ogni ipotesi di ristrutturazione del debito greco, sottolineando che «la Grecia deve rispettare i suoi impegni». La ristrutturazione del debito «sarebbe un suicidio politico» per Lorenzo Bini Smaghi, «e avrebbe conseguenze gravissime non solo all’economia ellenica, ma in tutta la zona dell’euro» aggiungono ministri del governo di Jorgos Papandreou.
Ma le voci di un default di Atene si fanno sempre piú forti. «I politici hanno deciso di attendere nella speranza che i paesi in difficoltà si riprendano. Questi sforzi finora sono falliti», sostiene il Financial Times in un articolo nel quale spiega perché la Grecia fallirà. «I costi di finanziamento sono saliti. Nel caso della Grecia, le possibilità di accedere al mercato privato del credito a condizioni sostenibili sono trascurabili. Ma ritardare il tutto renderà la ristrutturazione del debito piú dolorosa», osserva il quotidiano finanziario. Sul fatto che la ristrutturazione del debito sia l’unica via d’uscita per risanare l’economia ellenica, trova d’accordo vari economisti anche in Grecia. «Al punto in cui siamo arrivati non c’è altra soluzione» dice al manifesto Dimitris Mardas, professore di teoria macroeconomica all’Università Aristotele di Salonicco.
Gli ultimi dati sull’andamento dell’economia greca non sono affatto incoraggianti. Nei primi quattro mesi di quest’anno, le entrate nelle casse dello stato sono diminuite del 9,2% rispetto allo stesso periodo del 2010, mentre era stato previsto un aumento dell’8,5%. Gli esperti della troika Ue-Fmi-Bce si mostrano convinti che anche se, come è stato annunciato, il governo di Jorgos Papandreou adottasse le misure economiche aggiuntive da tre miliardi di euro e quindi nuove misure di austerità, non sarà possibile ridurre il deficit al 7,4% del prodotto interno lordo. Il memorandum, insomma, firmato un anno fa tra il governo e la troika, nonostante il duro programma lacrime e sangue contro le classi economicamente piú deboli, ha fallito.
E ciò viene sostenuto non soltanto dalla sinistra e dai conservatori della «Nea Dimokratia», ma sempre più spesso ormai anche dai ministri socialisti. Non a caso il premier Papandreou si trova ad affrontare diversi problemi causati dalle divergenze sulla linea politica finora seguita dal ministro delle finanze. Lo stesso Papandreou si è visto ancora una volta costretto, durante la riunione di cabinetto di ieri, a chiedere ai suoi ministri collaborazione e solidarietà fra loro, invitandoli a non parlare in pubblico, nè ai media di problemi come la ristrutturazione del debito «perché tali discussioni hanno ripercussioni internazionali».
Un test per il governo sarà la presentazione al parlamento del programma economico a medio termine. Bisogna fare presto dice il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman: «Piú a lungo la situazione resta irrisolta, minore è la speranza che la Grecia sia in grado di restare nell’area euro anche se lo volesse». Una possibile uscita di Atene dall’euro é stata ventilata nei giorni scorsi anche dal settimanale tedesco Der Spiegel nel momento in cui l’agenzia Standard and Poor’s ha deciso di tagliare il rating sulla Grecia a B dal precedente BB-.
* da “il manifesto” del 12 maggio 2011

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