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SIRIA: al via vertice Anti-Assad ma l’opposizione e’ divisa e con obiettivi diversi

Si apre oggi in Turchia, Antalya, la conferenza dal titolo ambizioso “Cambiamento in Siria” promossa da alcuni membri dell’opposizione siriana ed aperta a partiti di opposizione, organizzazioni della societa’ civile, personalita’ indipendenti della cultura, della politica, degli affari sia in esilio all’estero che nel paese.

Nel sito della conferenza www.changeinsyria.com e’ scritto “che oggi la Siria sta attraversando un momento difficile e doloroso ma sta assistendo alla nascita di una nuova alba di liberta’ costruita dai giovani siriani con il loro sangue, i loro corpi e con manifestazioni pacifiche”.

Gli obiettivi della conferenza sono:

– sostenere la rivoluzione pacifica;

– creare un consiglio nazionale temporaneo per gestire la crisi;

– offrire un’alternativa al presente governo;

– discutere la bozza di una costituzione alternativa “democratica”;

– promuovere la natura pacifica della rivoluzione ed i suoi interessi nazionali.

Sul sito si sottolinea che gli organizzatori sono contrari a qualsiasi forma di intervento militare straniero per risolvere la crisi e che non vi e’ alcuna organizzazione partitica coinvolta.

L’incontro e’ stato organizzato dall’Organizzazione nazionale per i Diritti Umani, basata in Egitto e finanziata da tre uomini di affari siriani (i fratelli Ali e Wassim Sanqar, distributori di macchine di lusso a Damasco e Ammar Qurabi, presidente dell’organizzazione e della TV satellitare Orient TV basata negli Emirati).

Secondo il quotidiano britannico The Guardian ci si aspetta l’arrivo di circa 300 partecipanti, tra qui importanti membri della comunita’ imprenditoriale, segnale significativo che Bashar Al Assad sta perdendo consenso tra la comunita’ imprenditoriale secondo Ammar Abdulhamid, dissidente esiliato a capo della Tharwa Foundation, e di esponenti politici islamisti moderati (sempre in Turchia i fratelli musulmani siriani avevano organizzato un incontro ad Aprile).

Il meeting in Antalya ha fatto emergere le divisioni all’interno dell’opposizione siriana su molte questioni, a partire dal ruolo che un intervento straniero e l’esercito possono giocare nel cambiamento di regime.

Alcuni sostengono che solo l’intervento straniero – innanzitutto attraverso le sanzioni – potra’ far cadere il governo siriano. Altri puntano sul creare una spaccatura all’interno dell’esercito, dominato da generali alawiti fedeli al Presidente Assad ma formato in maggioranza da coscritti sunniti.

I promotori dell’iniziativa “National Dialogue for change” hanno espressamente invitato alcune personalita’ dell’esercito a farsi garanti di una transizione. A Londra Riad al Assad, figlio di Rifat Al-Assad e cugino del presidente, accusa la conferenza di essere un fronte di estremismo islamico per la partecipazione di membri della Fratellanza musulmana “mascherati” da moderati.

Uno degli organizzatori, Radwan Ziadeh, afferma che la conferenza rappresenta sia gruppi secolari che gruppi islamici moderati “i quali devono essere presenti perche’ la societa’ siriana e’ conservatrice.”

Secondo Radwan Ziadeh “tutti sanno che la rivoluzione in Siria e’ senza leader. Il risultato atteso della conferenza, e’ la costituzione di un fronte unito dell’opposizione “necessario per andare avanti e coordinare gli sforzi dentro e fuori dal paese. Per ora il focus e’ la questione umanitaria, esercitare pressione su un regime che ha ucciso oltre 1,100 persone ed arrestato oltre 11,000”.

Si evidenzia una spaccatura tra chi e’ dentro il paese e chi e’ fuori.

Molti partiti curdi boicottano la conferenza, a Damasco un esponente del Movimento curdo per il futuro afferma che il movimento non ha ricevuto alcun invito ufficiale, che non sono chiari partecipanti ed agenda ed invita ad organizzare una vera conferenza nazionale, in cui siano rappresentate tutte le realta’ siriane, in un paese europeo.

Alcuni esponenti dell’opposizione come Burhan Ghalioun, stimato intellettuale e professore di scienze politiche alla Sorbone e Bassam Alkhadi, attivista per i diritti umani, hanno rifiutato di partecipare

Burhan Ghalion scrive che “la conferenza e’ un insieme di molti che vogliono approfittare dalla rivoluzione con interessi privati ed anche di paesi stranieri. Pochi sono veramente interessati a servire e a sacrificarsi per la rivoluzione”, sottolineando che e’ importante lasciare spazio ai giovani che sono i veri protagonisti delle proteste.

“Sono assolutamente contrario a questa conferenza, chiaramente promossa e finanziata dagli Stati Uniti. Alcuni dei promotori li conosco personalmente, non li stimo, seguono un’agenda personale, personaggi peggiori dell’opposizione irachena. Sono assolutamente contrario all’intervento straniero, sarebbe un disastro. Mentre credo sia possibile una divisione dell’esercito perche’ ho fatto il servizio militare, so che l’esercito siriano e’ ancora basato su un forte sentimento nazionale, e’ stato costituito per proteggere il paese da nemici esterni, non per sparare sui cittadini. Le proteste si sono diffuse in tutto il paese, da Daraa a Qamishli, migliaia di chilometri di estensione, per reprimerle non sono piu’ sufficienti le fedelissime forze speciali (come il quarto reggimento comandato da Maher Al Assad) ed il regime sara’ costretto ad utilizzare l’esercito. Questo fara’ emergere con il tempo spaccature” dice Ahmad, 37 anni, attivista di Damasco.

Anni di repressione hanno lasciato l’opposizione siriana debole e frammentata con molti, inclusa la Fratellanza Musulmana, in esilio.

Anche all’interno l’opposizione, che deve trattare con crescente frustrazione, oltre che con una repressione capillare e violenta, appare divisa quasi su tutto. Dopo quasi tre mesi di proteste ed una sanguinosa repressione che ha causato oltre 1,000 vittime, almeno 8,000 arresti, l’intervento di carri armati in varie citta’ (domenica a Rastan e Talbisieh), appare chiaro che il regime siriano non e’ intenzionato a tollerare dissenso, ma non sembra riuscire a fermare i manifestanti che continuano nonostante tutto a protestare. La situazione appare bloccata.

“Siamo d’accordo solo sul fatto che vogliamo liberta’ e dignita’, ed essere in grado di scegliere liberamente chi ci governa” dichiara Waleed Al Bunni, un dottore e dissidente in clandestinita’ al Guardian.

C’e’ disaccordo se negoziare o no con il governo, che tattica adottare per le proteste, ed anche sul fatto che le manifestazioni sono iniziate troppo presto. Secondo alcuni attivisti si sarebbe dovuto aspettare per dare tempo all’opposizione di organizzarsi, mentre altri sostengono che non si poteva perdere lo slancio offerto dalle rivoluzioni in Tunisia ed Egitto.

C’e’ poi la questione di non facile soluzione della rappresentanza e dell’organizzazione interna di un fronte dell’opposizione. “Ad esempio i partiti e le organizzazioni curde propongono che ci sia un rappresentante per organizzazione (12 partiti curdi), ma questo implicherebbe una sovra rappresentazione rispetto alla percentuale della popolazione” afferma Ahmad.

Il 13 maggio il governo ha dichiarato di voler aprire un dialogo nazionale e l’emissaria presidenziale Butheina Shabaan ha incontrato quattro esponenti dell’opposizione che hanno articolato posizioni differenti ma uniti nella richiesta di cessare le violenze. Luay Hussein, scrittore alawuita, si e’ dichiarato a favore di negoziati con il regime. Michel Kilo, scrittore cristiano di Latakia, ha scritto in un articolo pubblicato ad Aprile sul quotidiano libanese Al Akhbar che “sosteneva una soluzione politica alla crisi piuttosto della rivoluzione.”

Ma altri, come l’attivista ed l’avvocato Razan Zeitouneh, si oppongono ad ogni contatto finche’ non cessino le violenze e vengano liberati i prigionieri politici.

Aref Dalila, economista, anch’egli alawuita, ha dichiarato ad Aljazeera “abbiamo gia’ visto queste forme di dialogo in cui puo’ partecipare chi esprimere opinioni conformi al regime, mentre chi esprime opinioni contrarie viene messo in prigione”.

Seleucide, studente di Aleppo molto seguito su twitter, commenta:” sara’ un dialogo da uomo a uomo o da padre a figlio?”

“Il regime ha chiesto all’opposizione a fermare le proteste, rifiutandosi di fermare la repressione e le violenze. Il dialogo e’ di fatto gia’ terminato. Una soluzione politica sembra molto difficile, il regime – ossia il sistema clanico-mafioso – e’ disposto a tutto per rimanere al potere. Rami Makhlouf (businessman cugino di Bashar al Assad) l’ha dichiarato chiaramente nell’intervista al New York Times: siamo uniti, combatteremo fino alla fine e se ci faranno soffrire, non soffriremo da soli. Sono molto preoccupato e pessimista, la Siria sta scendendo in un tunnel buio di cui non si vede la fine” conclude Ahmad, preoccupato.

* Nena News

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