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La Primavera cilena degli studenti

È il volto della rivolta. Le televisioni e i media cileni e internazionali in queste settimane si contendono una sua intervista. Il governo la teme e l’opposizione la ascolta in silenzio. Camila Vallejo Dowing ha ventidue anni, ha «congelato» una laurea in geografia alla Universidad de Chile per dedicarsi a questo movimento che lei conosce in profondità. Da un anno è la presidente nazionale della Fech, la federazione studentesca nazionale.

Nei commenti degli opinionisti, oltre alla sua stoffa da leader, alcuni si limitano a dire che è bellissima, molti altri che oltretutto è comunista. Lei se la ride: «Non nascondo il fatto di essere un’attivista del Pc, anzi lo rivendico. Ma se qualcuno lo usa per caricaturare il movimento, ridimensionarlo o dividerlo, significa che non capisce ciò che sta succedendo nel paese».
La raggiungiamo telefonicamente a poche ore dall’inizio della marcia, «un altro grande evento dopo quello del 30 giugno. Già siamo soddisfatti perché, dopo un primo rifiuto, abbiamo strappato alla Intendencia il percorso che avevamo scelto». Ci confida anche che la tensione con la polizia sarà inevitabile, «perché continua ad avere un atteggiamento aggressivo», come se anche da quelle parti non avessero bene capito l’onda di popolo che sta scuotendo il Cile.

Questo movimento di studenti è nuovo per il Paese. E’ di massa, trasversale, gode di grande consenso e credibilità. Qual è stata la scintilla della rivolta?
Tutto è iniziato quando abbiamo denunciato e dimostrato gli affari enormi che i grandi gruppi privati avevano costruito con questo sistema educativo, mentre le famiglie e tutti noi ci trovavamo indebitati per decenni, letteralmente strozzati. Questo credo sia stato il punto cruciale, perché la maggior parte dei cileni si è identificata. E ha cominciato a chiedersi: perché non possiamo avere un sistema pubblico che non discrimina per classe, non ci indebita e che sia di qualità? Questa domanda ha invaso le strade.

Avete presentato una piattaforma alternativa al piano del presidente e chiedete un referendum, che ricorda l’unico che si svolse qui più di vent’anni fa e che cacciò Pinochet…
Quello dell’educazione è un ambito strategico per un paese e noi chiediamo che sia garantito dalla costituzione come un bene comune. Noi abbiamo proposto un referendum, con cui lasciare scegliere ai cileni il tipo di sistema educativo. Chiediamo sia un affare di popolo, non di pochi. Abbiamo la necessità di costruire uno spazio di espressione aperta a tutti e di mettere a punto uno strumento di consultazione pubblica. Preparare questa proposta e sostenere una campagna nazionale perché si tenga la consultazione, sarà il nostro obiettivo i prossimi mesi.

Pensi che il ministro dell’istruzione Lavín sarà rimosso?
Non so quale sia il suo futuro politico, ma certo molte voci lo danno in uscita. E anche se è un uomo potente, non credo possa sopportare una pressione come quella del movimento studentesco e uscirne indenne.

Cosa farete se il mondo politico non accoglierà le vostre istanze?
Già ora non ascoltano. Tentano in tutti i modi di dividerci, dicono che siamo ideologizzati, tentano di reprimere o di sminuire l’ondata di dissenso sociale. È come se ci trattassero da ragazzetti, dicendoci che la ricreazione è finita. Il ministro Lavín ha anticipato le vacanze invernali e chiuso le scuole superiori, pensando pateticamente di spegnere la rabbia degli studenti. Eppure sono tutti in piazza. L’università di La Serena è occupata da quasi due mesi e quei ragazzi ormai hanno perso l’intero semestre. Una cosa mai vista. Perché sanno che ne è valsa la pena. In gioco ci sono le nostre vite.

su Il manifesto 15 luglio 2011

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