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Decapitati i vertici militari della Turchia

La notizia, senza precedenti nella storia del Paese, non può non avere ripercussioni sugli equilibri interni, visto che una parte della nazione continua a vedere nei militari una garanzia dei princìpi laici dello Stato kemalista. Il motivo dell’auto-azzeramento si pone in relazione alla richiesta d’arresto avanzata dal Consiglio Militare Supremo al comandante del Corpo d’Armata nell’Egeo Huseyn Trasdeler e all’ipotesi di condanne a generali e ufficiali coinvolti nel “caso Balyoz”. Quella era la denominazione in codice del tentativo di destabilizzare il neoeletto governo Erdogan che venne progettata nel 2003. Il premier e il presidente della Repubblica Gul avevano nei giorni scorsi incontrato più volte Kosaner per trovare una soluzione che evitasse reazioni dei militari all’azione legale in corso. La ricomposizione non è riuscita e le dichiarazioni offerte alla stampa dal Capo di Stato“Spero che ogni cosa si risolverà per il meglio“ suonano come un desiderio difficilmente realizzabile. La partita in atto è articolata.

L’enfatico passo compiuto dai militari mira a difendere non solo i singoli incriminati ma l’intera casta. In più rilancia l’idea della centralità delle Forze Armate nella vita nazionale e cerca appoggi fra nazionalisti e repubblicani in un momento di oggettiva difficoltà degli uomini in divisa. Sebbene la linea cosiddetta neo-ottomana di Erdogan sia stata recentemente ripremiata dall’elettorato, sfiorando addirittura il 50% del consenso, i deputati dell’Akp non raggiungono quella maggioranza assoluta che poteva consentire al partito di governo una sorta di “dittatura” parlamentare. La dialettica coi kemalisti resta una realtà cui il premier e il suo entourage non possono sottrarsi e questo non sfugge ai militari che giocano le proprie carte. Essere la più efficiente struttura della Nato dopo Usa e Germania rende gli uomini in divisa di Ankara tuttora orgogliosi e pretenziosi, al punto di voler condizionare la politica. Ma la difesa a oltranza degli alti ufficiali incriminati per l’azione del 2003 sembra riproporre quei trascorsi golpisti degli anni Settanta e Ottanta che poco s’adattano al volto democratico che la nazione ha assunto da tempo. L’esplicita contrapposizione al governo da parte dei militari può scaturire dalle loro considerazioni sul possibile ridimensionamento del proprio potere perseguito da Erdogan ma è un gesto di rottura, una sorta di non ritorno che può  trasformarsi in boomerang.

Esiste infatti un’ampia fascia della popolazione che vede nella stabilità di governo, nel progresso tecnologico e nello sviluppo economico elementi imprescindibili della vita nazionale. Porli a rischio con spaccature del Paese non è gradito al ceto medio imprenditoriale e mercantile e neppure alle masse rurali che hanno migliorato le proprie condizioni di vita. E questa è una componente politicamente trasversale che esprime un voto sia islamico sia laico. Su tale terreno lo scontro che le gerarchie militari lanciano a Erdogan può diventare perdente perché assolutamente impopolare. C’è invece un punto della politica interna dove la forza delle armi dei militari può trovare consenso e bisogno d’aiuto da parte della politica: la questione curda che recentemente ha riproposto attentati e uccisioni proprio di soldati. E’ una delle contraddizioni della società turca. Kosaner e i suoi generali lo sanno e cercheranno di usarla a proprio favore.

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