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Hamas. “Fine della tregua con Israele”

Il movimento Hamas al potere nella Striscia di Gaza ha annunciato in nottata di non ritenersi più vincolato dalla tregua di fatto che da oltre due anni osservava con Israele. «Non esiste più nessuna tregua con il nemico», afferma un comunicato diffuso da una delle emittenti radiofoniche della Striscia.

L’annuncio fa seguito alla forte escalation di violenze registrata negli ultimi due giorni. Dopo gli attacchi coordinati avvenuti giovedi nel deserto del Neghev in cui hanno perso la vita sei civili e due militari israeliani, le forze armate dello stato ebraico ieri per rappresaglia hanno colpito più volte la Striscia di Gaza provocando più di 10 morti. Chiamata in causa dalle autorità israeliane, Hamas ha negato ogni responsabilità per gli attacchi del Neghev. Ma alcune fazioni armate della Striscia per tutta la giornata di ieri hanno risposto ai raid aerei con lancio di razzi verso il territorio israeliano.

La rappresaglia aveva convolto anche l’Egitto, e questo ha rialzato la tensione tra i due paesi.

L’Egitto ha richiamato il suo ambasciatore in Israele, e contestualmente ha convocato l’ambasciatore israeliano al Cairo, per protestare contro l’uccisione, giovedì sera, di tre suoi agenti della sicurezza al confine con lo Stato ebraico. Lo ha annunciato la tv di Stato egiziana.

«L’Egitto – ha affermato l’emittente – ha deciso di richiamare il suo ambasciatore in Israele fino a quando non saranno presentate scuse ufficiali» da parte dello Stato ebraico. Al contempo, ha sempre riferito la tv, «il governo incarica il ministro degli Esteri egiziano di convocare l’ambasciatore israeliano al Cairo… in segno di protesta per le morti causate sul lato egiziano del confine dalle sparatorie dall’altro lato della frontiera». Il governo egiziano chiede inoltre «un’inchiesta ufficiale congiunta per chiarire le circostanze dell’incidente… e che sia intrapresa un’azione legale per salvaguardare i diritti delle vittime e dei feriti egiziani».

 

da “il manifesto” del 20 agosto 2011

Chiara Cruciati GERUSALEMME
 Altre bombe su Gaza La vendetta continua
Per il secondo giorno l’aviazione di Tel Aviv sorvola la Striscia. Uccisi 10 palestinesi

 

GERUSALEMME
Non tacciono le bombe sopra Gaza. Per il secondo giorno dopo l’attacco ad Eilat e la morte di otto israeliani, l’aviazione di Tel Aviv sorvola la Striscia e prosegue nei bombardamenti. Da giovedì hanno perso la vita oltre dieci palestinesi, tra cui un bambino di 13 anni, Mahmoud Abu Samra. Decine di feriti affollano gli ospedali gazani. E il bilancio si aggrava: nel pomeriggio di ieri fonti mediche hanno parlato di altri 4 morti in poche ore.
Tra i target dell’aviazione israeliana il campo profughi di An-Nuseirat, nel centro di Gaza, e un campo di addestramento delle Brigate Al-Qassam, braccio armato di Hamas. Ma l’intero territorio è colpito: ieri elicotteri Apache e F-16 hanno bombardato Gaza City, le città di Beit Hanoun e Beit Lahiya a Nord e Khan Younis a Sud. Nel tardo pomeriggio è stata distrutta una fabbrica a est di Gaza City: 9 feriti, di cui due dichiarati clinicamente morti. L’esercito israeliano afferma di aver bombardato due «fabbriche illegali di armi al centro della Striscia e altri siti di attività terroristica a Nord e Sud».
Hamas ha negato da subito il proprio coinvolgimento nell’assalto a Eilat. Ma Tel Aviv non pare avere dubbi: «Se Hamas vuole un’escalation, pagherà un prezzo molto alto», ha detto ieri alla radio pubblica il brigadiere generale Yoav Mordechai, e ha aggiunto: le autorità israeliane non escludono un’operazione di più vaste proporzioni contro la Striscia, anche via terra. L’esercito «opererà risolutamente contro chiunque porti il terrore in Israele. L’organizzazione terroristica Hamas è l’obiettivo» ha detto un portavoce dell’esercito. Per ora ha risposto il Popular Resistance Committee, che ha rivendicato il lancio di una ventina di missili Qassam contro le città israeliane di Be’er Sheva, Ashkelon e Kyriat Gat.
Nella giornata di ieri la ricostruzione degli eventi di giovedì è stata chiarita. Il primo attacco è stato condotto da uomini armati di kalashnikov, che hanno aperto il fuoco contro il bus 392 diretto a Eilat e ferito 7 persone. Poco dopo, è stata colpita un’automobile privata, 4 vittime. Uno dei miliziani si è fatto saltare in aria, mentre un altro attaccava un altro veicolo: altri due morti. Sono seguiti scontri a fuoco tra i soldati israeliani e i membri del commando, di cui sei sono morti. Secondo l’esercito il resto del gruppo armato, 15-20 miliziani, è riuscito a fuggire. Il sangue è scorso anche in Egitto: vicino al luogo dell’attacco, l’esercito israeliano ha ucciso giovedì tre ufficiali di polizia egiziani, mentre altri due membri della sicurezza egiziana sono morti ieri al confine con Israele, colpiti dalle forze aeree di Tel Aviv mentre pattugliavano il confine di Rafah. L’Egitto ha chiesto scuse ufficiali. «L’Egitto ha inviato una protesta ufficiale a Israele e chiede un’inchiesta immediata che chiarisca le circostanze della morte dei militari», ha detto alla Reuters un ufficiale dell’esercito egiziano.
Anche la Cisgiordania paga la vendetta israeliana. Nel terzo venerdì di Ramadan, è stato impedito ai musulmani là residenti di entrare a Gerusalemme per pregare nella moschea Al-Aqsa. La polizia israeliana ha innalzato barricate intorno a Gerusalemme Est e chiuso la Porta di Damasco, ingresso alla Città Vecchia. Quando i fedeli hanno tentato di varcare le barriere, la polizia li ha dispersi con i cannoni ad acqua e bombe sonore, e ha arrestato due palestinesi.
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Michele Giorgio IL CAIRO
«Il futuro del paese è nella conciliazione»

La parola al dialogo«Da noi pochi vogliono sentir parlare di laicismo. La popolazione vive secondo principi religiosi», dice l’uomo politico egiziano, fautore di un islam democratico La parola al dialogo«Da noi
 

«Dobbiamo cooperare per proteggere le conquiste della rivoluzione, dimenti- Nella moschea di al- Azhar, al Cairo, un importante incontro sui destini della rivoluzione

IL CAIRO
«Dobbiamo cooperare per proteggere le conquiste della rivoluzione, dimentichiamo le differenze che ci separano e diamo valore alle tante cose che ci uniscono». Ha usato un tono conciliante lo sceicco Ahmed al Tayyeb, l’imam della moschea di al Azhar al Cairo (considerato il principale centro teologico dell’Islam sunnita), ricevendo l’altra sera alcuni dei principali futuri candidati alla carica di presidente – tra i quali Amr Musa, Mohammed el Baradei e Ayman Nour – e i rappresentanti delle più importanti forze politiche, inclusi quelli di Libertà e Giustizia, il braccio politico dei Fratelli musulmani, e di alcune formazioni salafite.
Un incontro terminato con un successo rilevante. I partecipanti hanno accettato, seppur con interpretazioni diverse, la «Carta dei principi costituzionali» (nota anche come Carta dei diritti) preparata dall’Azhar nelle settimane passate per superare i contrasti esplosi tra gli islamisti e le forze laiche e progressiste intorno alla Costituzione che sarà scritta dal futuro Parlamento dopo le elezioni parlamentari che dovrebbero tenersi a novembre.
L’Azhar in sostanza ribadisce che l’Egitto repubblicano nato dalla rivoluzione del 1952 e risorto con la rivoluzione del 25 gennaio contro Hosni Mubarak, era e resta uno «Stato civile», non laico ma neppure religioso, democratico, multiculturale e multiconfessionale dove la sharia, il codice islamico, rimarrà la principale (ma non l’unica) fonte di legge. Vaga invece è la definizione dell’identità nazionale egiziana, tema sul quale battono molto le forze progressiste mentre quelle di sinistra, storicamente lontane dagli sceicchi dell’Azhar, sottolineano che il documento non dedica spazio al bisogno di giustizia sociale in un paese dove il 40% degli abitanti vive in condizioni di povertà ed un’altra corposa percentuale con pochi dollari al giorno mentre una esigua minoranza controlla ricchezze immense.
Sino a qualche giorno fa gli islamisti, Salafiti in testa ma anche i Fratelli musulmani, si erano opposti al testo preparato dallo sceicco al Tayyeb perché, a loro dire, porrebbe dei vincoli che di fatto ingabbiano coloro che in futuro avranno il compito, sulla base del mandato popolare frutto dell’esito elettorale, di scrivere la Costituzione. Ai liberali e ai progressisti invece il documento dell’Azhar serve a porre un freno alle possibili mire degli islamisti, specie di quelli più radicali, di limitare la libertà di pensiero e di religione (tema quest’ultimo particolarmente importante per gli egiziani copti che guardano con crescente preoccupazione alla crescita dell’influenza degli islamisti nelle strade del paese) quando, dopo le elezioni, (che potrebbero dominare) si ritroveranno nelle mani il potere di riscrivere la Costituzione. Non a caso il fronte liberale avrebbe voluto mettere a punto subito la nuova carta costituzionale, prima delle legislative, mentre gli islamisti ritengono sufficienti, in attesa del nuovo testo, i limitati emendamenti all’attuale Costituzione approvati con il referendum dello scorso marzo.
«I principi (fissati dal documento dell’al Azhar, ndr) sono suggerimenti importanti per la scrittura della nuova Costituzione, li riteniamo condivisibili ma niente di più», ha commentato Mohammed Morsi, capo di Libertà e Giustizia, soddisfatto anche perché il testo riafferma l’articolo 2 della carta ora in vigore che sancisce l’Islam come religione ufficiale dello Stato egiziano. Meno ottimista è apparso Mohammed Hamed, membro del Partito degli egiziani liberi (guidato dall’imprenditore internazionale Neguib Sawiris, copto). «I principi fissati dallo sceicco al Tayyeb dovrebbero essere vincolanti visto che le forze presenti all’incontro li hanno approvati, altrimenti rimarranno soltanto dei suggerimenti», ha previsto Hamed. Per i due candidati rivali alle presidenziali, Amr Musa e Mohammed el Baradei, ora esiste un ampio consenso nazionale su cosa dovrà essere l’Egitto.
Sul risultato dell’incontro dell’altra sera e su alcuni dei temi principali in discussione oggi in Egitto, abbiamo intervistato uno dei candidati alla presidenza ed intellettuale islamista Abdel Monem Abdel Fottuh. Fautore di un islamismo moderno e democratico, Abdel Fottuh per anni è stato uno dei dirigenti dei Fratelli musulmani, non mancando di entrare in conflitto con le posizioni più conservatrici all’interno del movimento. Qualche mese fa ha lasciato (ufficialmente è stato espulso) i Fratelli Musulmani perché contrario alla scelta dei leader di non presentare un candidato alle presidenziali. In realtà le sue posizioni apparivano ormai inconciliabili con quelle dei vertici dei Fm. Abbiamo incontrato Abdel Fottuh nel suo ufficio a Garden city (Cairo).
Quanto è’ stata importante la riunione dell’altra sera per il futuro dell’Egitto?
Molto. È stato l’incontro più riuscito tra quelli organizzati sino ad oggi dall’imam dell’Azhar perché si è raggiunto un consenso tra diverse formazioni e correnti politiche su alcuni punti fondamentali che riguardano il futuro del nostro paese. Sottolineo che tutti i principali candidati alla presidenza hanno preso parte al meeting oltre ai leader di partiti importanti, come quello dei Fratelli musulmani. Quello preparato da al Tayyeb è un buon documento, fissa dei principi generali che sono condivisi dalla maggioranza degli egiziani e più di tutto è riuscito a mettere insieme forze politiche che negli ultimi tempi si sono scambiate accuse pesanti.
Si è raggiunto il consenso sulla definizione dell’Egitto come Stato civile. Qual è la differenza rispetto allo Stato laico?
La differenza è notevole. In Egitto ben pochi vogliono sentir parlare di laicismo. Il nostro è un paese con una popolazione che vive in grandissima maggioranza secondo principi religiosi, islamici o cristiani. Stato civile in sostanza vuol dire che mantenendo la sharia come principale fonte di legge, viene salvaguardato il carattere democratico, e pluralista dello Stato. Il futuro del nostro paese sta nel rispetto della libertà di pensiero e di espressione ma anche dell’identità islamica prevalente in gran parte degli egiziani con un’ampia garanzia per i cittadini che professano altre fedi, a partire da quella cristiana.
Non tutti però condividono questi principi. Diverse formazioni salafite respingono il documento, dicono che lo Stato islamico offre sufficienti garanzie alle minoranze. E non sono pochi coloro che dubitano della sincerità dei leader dei Fratelli musulmani.
Le forze che non accettano i principi sul quale si fonda il consenso nazionale nell’Egitto post rivoluzionario sono minoritarie, ininfluenti, rappresentano un piccola porzione della popolazione. Invito invece a guardare con più obiettività ai Fratelli musulmani che a mio avviso stanno rispettando le regole e non giocano su due tavoli come dicono alcuni.
Lo scorso 29 luglio però i Fratelli musulmani erano in Piazza Tahrir a invocare la creazione di uno Stato islamico assieme ai salafiti. I dirigenti dei Fm peraltro sembrano i migliori alleati del Consiglio supremo delle Forze Armate (Csfa) che guida la transizione egiziana.
I media non hanno riferito notizie corrette. La presenza dei Fratelli musulmani in Piazza Tahrir e e nelle altre manifestazioni del 29 luglio in realtà è stata minima. Quanto ai rapporti tra i leader dei Fm e i militari non parlerei di alleanza ma di un buon feeling dovuto al fatto che entrambe le parti hanno a cuore il futuro dell’Egitto e la sua stabilità.
Come giudica il lavoro svolto sino ad oggi dai militari. I giovani della rivoluzione, e non solo loro, criticano il Csfa che procede troppo lentamente sulla strada del cambiamento e denunciano l’utilizzo delle corti militari contro migliaia di civili.
Direi che i militari nel complesso hanno fatto un buon lavoro ma hanno anche commesso degli errori, cosa che considero inevitabile quando si governa un paese complesso come l’Egitto uscito dalla rivoluzione. Le corti militari sono uno di questi errori, uno dei più gravi. I civili devono essere processati solo dalle corti civili. Spero perciò che il Csfa rimedi subito a questa anomalia per favorire l’evoluzione verso quel nuovo Egitto, moderno, tollerante, fondato sul diritto, al quale tutti aspiriamo.

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