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Ma dov’è Gheddafi? La guerra mediatica

Di tutti i misteri poco gloriosi della “campagna di Libia” cento anni dopo questo rischia di diventare il meno gloroso per le forze di occupazione. Un povero vecchio di quasi 80 ani, che non ha nemmeno più con sé  figli prediletti… come si fa a non Prenderlo? Temiamo che bisognerà attendere ancora…

Questo scrivevamo ieri sera. Poi abbiamo scoperto – tutto il mondo, non solo noi – che le cose stavano abbastanza diversamente. Non che la guerra possa finire in un altro modo, naturalmente, ma che “la vittoria” e “la liberazione” della Libia sono in questi giorni oggetto di una trattativa tra le tribù, quella parte della Nato che dietro l’apparenza del “comandiamo noi” e “non cesseremo le operazioni” teme come la peste una “nuova Somalia” in mezzo al Mediterraneo (un paese senza più struttura, in balia delle bande tribali e con pesanti rigurgiti di fondamentalismo).

E così il figlio “arrestato” dai “ribelli ha incontrato la stampa in mezzo a Tripoli, tra folle tripudianti. C’è molto che non torna nella lettura idiota dei media embedded dell’imperialismo. Vediamo quindi con calma cosa ci dicono e cerchiamo di tracciare un quadro un tantino più realistico.

Penosa, intanto, la spiegazione data dai “ribelli”: «Avevamo avuto conferme che Saif al-Islam era stato arrestato – ha detto ad al-Jazeera Waheed Burshan, dirigente del Cnt a Garyan – Non abbiamo idea di come sia riuscito a scappare». Burshan ha avanzato l’ipotesi che sia mancata una «efficace sorveglianza militare» al luogo in cui era detenuto. Chissà se Moreno Ocampo (vedi dopo) dirà qualcosa di simile… Sarebbe terribilemente “autorevole”, no?

 

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da Repubblica

Saif al Islam ricompare a Tripoli
“Basta menzogne, la capitale è con noi”

Il figlio di Gheddafi, uno dei “falchi” del regime di cui era stato annunciato l’arresto, si presenta ai giornalisti. “Mio padre è in città e guida la battaglia. Abbiamo spezzato la schiena ai ribelli”

TRIPOLI – Saif al Islam, uno dei figli di Muammar Gheddafi di cui ieri i ribelli e la Corte penale internazionale avevano annunciato l’arresto, è invece libero e si è mostrato ai giornalisti nella notte a Tripoli liquidando come “menzogne” le notizie sulla sua cattura e annunciando che anche suo padre sta bene e si trova tuttora nella capitale libica. Da dove, ha fatto sapere da parte sua il portavoce del regime Moussa Ibrahim, “guida la battaglia”. “Tripoli è sotto il nostro controllo. Il mondo lo sappia. Tutto va bene a Tripoli”, e “abbiamo spezzato la schiena ai ribelli”, ha detto Saif che ha incontrato prima tre giornalisti nella residenza bunker di Gheddafi di Bab al Aziziya e poi si è recato al vicino Hotel Rixos, che ospita i giornalisti stranieri nella capitale libica.

Le immagini della Bbc hanno mostrato il figlio di Gheddafi all’interno della cittadella di Bab al Aziziya con indosso una T-shirt color verde militare mentre, sorridente, stringeva la mano alle decine di persone che lo attorniavano, alzando le braccia al cielo in segno di esultanza e facendo il segno ‘V’ della vittoria con l’indice e il medio della mano. Secondo il giornalista della Bbc che lo ha incontrato all’Hotel Rixos – dove il figlio del rais è arrivato a bordo di un blindato – non è chiaro se Saif sia stato effettivamente arrestato e poi in qualche modo liberato (come successo proprio ieri al fratello Mohammad) o se non sia mai stato preso, a differenza di quanto avevano annunciato gli insorti e di quanto aveva confermato anche Moreno Ocampo, il procuratore della Corte penale internazionale, che lo vuole mettere sotto processo per crimini contro l’umanità.

Saif, secondogenito del rais, si è ritagliato dall’inizio della rivolta un ruolo da ‘falco’ nel regime, ed è considerato dai giudici della Corte internazionale il “premier de facto”, il “vero delfino di Gheddafi”. Le immagini di Saif sorridente e osannato dalla folla di sostenitori a Bab al Aziziya sono arrivate quasi in contemporanea alle notizie di nuovi bombardamenti da parte dei caccia dell’Alleanza a Tripoli, indicati proprio nella zona del compound-bunker del colonnello. Ma è difficile pensare che Saif possa essere uscito allo scoperto mentre i jet Nato sganciavano bombe nella zona: l’ennesimo enigma di una strana guerra.

Saif, davanti ai giornalisti, si è comunque mostrato fiducioso e sicuro di sè: “Avete visto come il popolo libico si è sollevato” per contrastare l’arrivo degli insorti?, ha chiesto. “L’Occidente dispone di alte tecnologie che hanno disturbato le comunicazioni e ha inviato messaggi” falsi al popolo libico sulla caduta del regime, ha aggiunto riferendosi ad alcuni sms inviati domenica agli abitanti di Tripoli. “E’ una guerra tecnologica e mediatica per provocare caos e terrore in Libia”, ha accusato, ma “io – ha concluso – sono qui per confutare tutte le menzogne”.

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Prima conclusione certa: Moreno Ocampo è tutto tranne che un iudice di levatura internazionale degno della Corte dell’Aja. Non sa infatti distinguere tra un’informazione “certa” e una chiacchiera propagandistica; figuriamoci tra una prova a carico e una a discarico…. Succede, quando si mette un obbediente servo a ricoprire un ruolo più grande di lui.

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dal Corriere della sera

Tripoli, catturati tre figli di Gheddafi
Pentagono: il Colonnello è in Libia

Il discorso del leader alla radio: «Resto fino alla fine»
Khamis guida le truppe superstiti verso la capitale

MILANO- L’ultimo assalto al regime di Gheddafi è partito domenica pomeriggio. I ribelli hanno guadagnato terreno rapidamente grazie ai bombardamenti della Nato, 40 negli ultimi giorni, che gli hanno spianato la strada. In breve tempo le forze della rivolta hanno conquistato buona parte di Tripoli e catturato tre dei suoi figli (Saif al-Islam, il secondogenito e suo erede, l’ex calciatore Saadi e il figlio maggiore Mohammad). La Nato ha chiesto che la transizione dei poteri avvenga in modo pacifico. Anche se parte della città è ancora in mano alle forze governative, che concentrano la resistenza nella zona del compound dove nelle ultime settimane si era rifugiato Gheddafi che è scomparso. Ma per il Pentagono è ancora in Libia. La folla è scesa nelle strade di Tripoli per festeggiare la «liberazione». I ribelli sono entrati nella capitale poco dopo le 22 di domenica, raggiungendo facilmente Piazza Verde, luogo simbolo del regime. Ma gli scontri continuano in più zone del Paese. Oltre nella capitale, le forze di Gheddafi combattono con i ribelli al confine con la Tunisia. E a Sirte, città natale del Colonnello.

LA BATTAGLIA E I BAMBINI– Secondo Al Jazeera, almeno tre quartieri della città, quasi il 20% del territorio complessivo, sono ancora in mano all’esercito regolare. Il fulcro della resistenza è intorno al rifugio di Gheddafi a Bab al-Azizia, il bunker da dove il Rais gestiva ciò che restava dell’esercito regolare. I ribelli hanno concentrato i propri attacchi in questa zona, incontrando in risposta il fuoco di sbarramento delle forze speciali libiche. Ma i cecchini continuano a sparare. Secondo quanto riporta l’inviato dell’Ansa, tra i colpiti ci sarebbero anche dei bambini.

LA RISCOSSA DI KHAMIS – L’ultimogenito del Rais Khamis sarebbe invece a capo delle ultime truppe del regime rimaste fedeli al colonnello verso il centro di Tripoli. Lo ha riferito oggi la tv Al Arabiya, citando fonti dei ribelli. In particolare Khamis guiderebbe gli uomini della 32esima brigata e delle forze speciali, che si avvalgono anche di alcuni carri armati. La difesa del bunker, l’ultimo bastione del regime, è stata incentrata attorno a queste bocche di fuoco. Nelle ultime 24 ore sarebbero almeno 1.300 le vittime dei combattimenti tra ribelli e lealisti del colonnello. Secondo quanto riferito da Moussa Ibrahim, portavoce di Tripoli, durante una conferenza stampa trasmessa in diretta dalla tv al-Jazeera, 5.000 persone sono rimaste ferite nella battaglia per il controllo della capitale nordafricana. Ibrahim ha indicato la Nato come responsabile del «bagno di sangue». Il portavoce ha infine affermato che il paese ha ancora bisogno di Gheddafi e che i libici dovrebbe essere incoraggiati a combattere in sostegno del colonnello.

IL MISTERO DI GHEDDAFI – Nella notte, si erano rincorse voci sull’arresto di Gheddafi, poi smentite dalla Corte penale internazionale dell’Aia. I ribelli hanno chiesto la consegna del rais, promettendo in cambio la fine di qualsiasi conflittualità. Ma subito dopo la radio ha mandato in onda un nuovo messaggio del Rais, in cui incita i cittadini a «salvare Tripoli: è una questione di vita o di morte». In un audio rilasciato nel pomeriggio, Gheddafi ha chiamato a raccolta i suoi fedeli: «Venite da tutte le regioni per liberare la capitale dai ribelli. Sono qui a Tripoli, non possiamo andare via. Non ci possiamo arrendere, resisteremo fino all’ultima goccia di sangue, sono qui come vi ho promesso». Secondo il Times di Londra, il Sudafrica sta giocando un ruolo chiave dietro le quinte per garantire un’uscita di scena sicura al leader libico .

I FIGLI – Intanto ci sono «notizie certe» della cattura di Saif al-Islam, che secondo quanto riferito dal portavoce dei ribelli Jalil ad Al Jazeera, «sarà trattato bene, in modo che possa affrontare un processo». Subito dopo l’arresto, sono infatti partiti i negoziati con l’Aia per la consegna del prigioniero. La casa di Mohammed Gheddafi, figlio maggiore del colonnello, è stata invece circondata dai ribelli nella notte mentre l’uomo era intervistato da Al-Jazeera e lui ha chiesto garanzie per la sua sicurezza. Responsabile delle telecomunicazioni di Tripoli, Mohammed, è apparso sul canale satellitare dicendo che era circondato: «Hanno garantito la mia sicurezza», ha spiegato aggiungendo: «Ho sempre voluto il bene di tutti i libici e sono sempre stato dalla parte di Dio». Verso la fine dell’intervista, si sono sentiti colpiti di arma da fuoco e, prima che la telefonata fosse interrotta, Mohammed ha spiegato che i ribelli erano entrati nella sua casa. Circa un’ora dopo il portavoce del Cnt, Abubakr Traboulsi, ha annunciato la cattura anche del terzogenito Saadi, noto perché alcuni anni fa tentò la carriera di calciatore in serie A in Italia ma senza molto successo.

«NESSUNA VENDETTA» – Un invito alla pacificazione è stato lanciato da Mahmoud Jibril, uno dei principali responsabili del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) della Libia, che ha chiesto ai combattenti ribelli di astenersi da qualunque vendetta a Tripoli e ha messo in guardia contro «sacche» di resistenza dei fedelissimi di Muammar Gheddafi nella capitale. «Oggi che festeggiamo la vittoria, mi appello alla vostra coscienza e alla vostra responsabilità: non vendicatevi, non saccheggiate, non prendetevela con gli stranieri e rispettate i prigionieri», ha dichiarato Jibril, in un discorso ufficiale alla televisione ribelle Libya al-Ahrar. «Queste sfide sono una possibilità unica, in questo periodo transitorio, di dare vita a tutti i diritti per i quali abbiamo lottato», ha ritenuto Jibril. «Invito le forze di sicurezza a restare al loro posto (…) e restare in allerta per proteggere beni e persone. I saccheggi e le violenze sarebbero un insulto e una vergogna per la nostra rivoluzione», ha proseguito, chiedendo «di salvare la vita dei prigionieri, anche dei parenti di Gheddafi, i suoi figli, la sua famiglia».

NELLA CAPITALE – Anche Moussa aveva spiegato che non ci sarebbe stata alcuna resa. «Tripoli è ben protetta, abbiamo migliaia di buoni soldati pronti a difenderla da questi ribelli sostenuti e armati dalla Nato», assicurando che erano migliaia i soldati e volontari pronti a combattere. E accusava gli oppositori di avanzare facendo «esecuzioni, saccheggi, stupri e torture». Ma anche la Guardia presidenziale si è arresa quando ha visto che ogni difesa era vana. I ribelli sono riusciti a liberare i detenuti politici della prigione di Maya, a 25 chilometri da Tripoli, dopo scontri durissimi con le guardie di vigilanza. Moussa ha dichiarato che nei combattimenti a Tripoli da mezzogiorno sono morte almeno 1.300 persone e 5 mila sono rimaste ferite. Secondo testimonianze indipendenti, invece, l’avanzata sarebbe avvenuta incontrando scarsa resistenza.

I MEDIA– La connessione internet è tornata disponibile per i residenti a Tripoli, per la prima volta dall’inizio della rivolta in Libia, da metà febbraio. Lo hanno raccontato gli stessi abitanti della capitale, nella notte tra domenica e lunedì. «L’Adsl funziona di nuovo in tutto il quartiere», ha indicato un abitante di Tajoura (est di Tripoli). E i ribelli annunciano di aver preso il controllo della sede della Tv di Stato, che non trasmette più.

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Seconda conclusione certa: questo articolo di un giornale prestigioso è un’accozzagliaa di notizie contraddittorie, pezzi di propaganda (i tre figli di Gheddafi” sono dati in poche righe prima come “arrestati” e subito dopo come ricomaparsi in città o alla guida di truppe “alla riscossa”), incoerenza logica. Ci sembra abbastanza evidente che sia messo insieme cn telefonate da Tripoli di un corrispondente bloccato in qualche riparo, battute riprese da comunicati ufficiali che si smentiscono tra loro (i “ribelli” ne dicono una e poi un’altra come manco Berlusconi sa fare) e auspici di televisioni controllate dalle petromonarchie del Golfo (un grande esempio di “democrazia”, come hanno dimostrato in Bahrein).Un cideo in cui si vede la folla saccheggiare una villa che sarebbe stata la residenza di una figlia di Gheddafi viene titolata “La folla in festa, i cecchini uccidono due bambini”.

Vincerete questa guerra, com’era scontato, ma una figura più di merda era difficile farla…

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Notizie della notte:

Alcuni collaboratori di Muammar Gheddafi negli ultimi tempi avevano cercato contatti con gli Stati Uniti e negli ultimi giorni questi tentativi si erano fatti «molto più pressanti». Lo ha detto nel quotidiano ‘briefing’ con al stampa la portavoce del Dipartimento di stato Victoria Nuland, affermando che «numerose persone che dicevano di rappresentare Gheddafi» avevano lanciato del ‘ballon d’essaì in direzione degli Usa. «Nessuno di questi tentativi era veramente serio perchè in nessun caso veniva proposta l’uscita di scena di Gheddafi, erano per lo più telefonate con molte promesse vuote», ha affermato. Jeffrey Feltman, segretario di stato aggiunto per il Medio Oriente, ha anche lui parlato di «tentativi in extremis» da parte di interlocutori libici. «Ma si trattava di mosse per guadagnare tempo», ha detto alla Cnn.

Le armi tacciono nella notte di Tripoli, per la prima volta dopo due giorni di furiosi combattimenti, con il silenzio rotto solamente dalla preghiera del muezzin e, proprio negli ultimi minuti, dai caccia dell’Alleanza che hanno ripreso a sorvolare la capitale libica, senza però al momento sganciare bombe. I ribelli si riposano dopo un’altra giornata di scontri e scaramucce, soprattutto nella zona circostante il compound di Muammar Gheddafi, dove secondo i ribelli sono ancora asserragliati centinaia di combattenti fedeli al regime. Gli insorti attendono l’arrivo di ulteriori rinforzi e soprattutto di munizioni e armi pesanti per stanare le ultime sacche di resistenza. Dopo la preghiera, nel ‘Quartier generalè dei ribelli si dovrebbe tenere un incontro per definire la strategia delle prossime ore, anche in vista del prospettato arrivo nella capitale dei rappresentanti del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) libico, confermato anche oggi da fonti dei ribelli. Nei quartieri della capitale già sotto il pieno controllo degli antiregime si è continuato a festeggiare anche con il lancio di fuochi d’artificio, le uniche ‘esplosionì in una notte in cui non si odono neppure le raffiche degli Ak 47, per festeggiare l’imminente vittoria. I soldati ribelli che presidiano ancora le strade si sono accampati nei luoghi più improbabili, come le strutture turistiche del regime in riva al mare, normalmente destinate agli alti funzionari del regime e agli ospiti stranieri illustri.

I caccia della Nato hanno ripreso nella notte a bombardare Bab al-Aziziya, il compound-bunker a Tripoli dove si ritiene Muammar Gheddafi sia ancora asserragliato. Come riferisce l’inviato dell’Ansa nella capitale libica, la città sembrava sprofondata in una calma quasi irreale dopo i combattimenti furiosi della scorsa notte e della mattinata di ieri che hanno consentito ai ribelli, secondo il loro portavoce militare Ahmed Omar Bani, di assicurarsi il controllo del 05 per cento della città. Poi nella notte si è improvvisamente sentito il rombo di aerei in avvicinamento, seguito poco dopo dal boato dei missili – almeno otto – piovuti sul complesso, cui hanno fatto da corollario le esplosioni della contraerea e i traccianti che illuminavano il cielo della città. Si presume che il leader libiso sia ancora lì dentro ma non è detto. Gheddafi anche ieri notte ha parlato, fino a quando la sede delle Tv è rimasta in mano ai suoi. Mentre gli insorti conquistavano un quartiere dopo l’altro, mentre buona parte della guardia presidenziale lasciava campo libero ai ribelli, mentre tre dei suoi figli – Saif, Saadi e Mohammad – venivano fatti prigionieri, il leader che da 42 anni guidava con il pugno di ferro la Libia ha continuato a lanciare proclami e a dire che non c’è resa di fronte ai ‘nuovi colonizzatorì. E ha continuato a chiamare la sua gente alla battaglia. Con qualche successo, dato che nel pomeriggio di ieri il figlio maggiore Mohammad è stato liberato da un gruppo di lealisti ed è tornato uccel di bosco. Mentre il figlio minore Khamis, alla testa di fedelissimi, ieri mattina combatteva a difesa del rais e della sua famiglia. Dove Gheddafi sia resta un mistero. Nei labirintici sotterranei di Bab al-Aziziya secondo qualcuno, nell’ambasciata del Venezuela secondo altri, in fuga verso il deserto del sud del Paese secondo voci più insistite. Ieri sera il Pentagono e lo stesso presidente Usa Barack Obama hanno detto di ritenere in pgni caso che il colonnello non abbia lasciato la Libia. Ma non hanno detto nulla in merito alla sua presenza o meno a Tripoli. Che sia ancora nella capitale sembrerebbe invece convinta la Nato, visto che ha colpito ancora. Nella giornata di domenica, aveva contabilizzato la stessa Alleanza Atlantica, sono state compiute 126 missioni aeree, 46 delle quali hanno individuato e colpito gli obiettivi. Proprio da Bab al-Aziziya nel pomeriggio di ieri erano usciti alcuni carri armati che, secondo la tv satellitare qatariota al Jazira, hanno bombardato una zona della capitale e hanno preso posizione intorno alla cittadella e nella zona del porto. Si tratta di parte di area metropolitana che ancora non è in mano agli insorti e dove i cecchini governativi sono ancora in azione e sparano contro chiunque, anche contro i bambini. I ribelli avrebbero invece preso l’aeroporto internazionale, dove l’arrivo di un aereo sudafricano stamane aveva fatto pensare a un’imminente fuga del colonnello in Sudafrica. Ma Pretoria ha smentito di essere disposta a dargli asilo ma l’aereo potrebbe comunque essere uno di quelli noleggiati ti da anni da Gheddafi per ‘trasporti sicurì di uomini e mezzi. Appare in ogni modo convinzione unanime della comunità internazionale che per Gheddafi il tempo sia ormai contato. In linea con le affermazioni del capo del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), Mustapha Abdel Jalil, che in conferenza stampa a Bengasi ha scandito: ‘L’epoca di Gheddafi è finità, anche se tutto si concluderà solo ‘con la sua cattura e con la sua condanna per i crimini che ha compiutò. Anche il figlio Seif, ha assicurato, ‘avrà un giusto processò. Nel frattempo a Bengasi, da dove la rivolta è partita, si continua a far festa, sventolano le bandiere e veicoli carichi soprattutto di giovani scorazzano nelle strade suonando a ripetizione i clacson. Scene che si ripetono a Zawiah, località situata 50 chilometri a ovest della capitale, dove sui camion di chi festeggia si vedono anche donne e bambini. Sembra certo invece che intensi combattimenti siano ancora in corso nelle città di al Aziziya (50 chilometri a sud di Tripoli) e ad al Khoms, sulla strada che porta a Misurata. Resta saldamente in mano ai governativi Sirte, città natale di Gheddafi e bastione della sua lotta da dove ieri sera, come ha confermato la Nato, sono partiti senza fare danni tre missili Scud verso Misurata, che è in vece in mano ai ribelli. Nella capitale, intanto continuano a affluire rinforzi. «Diverse navi sono giunte nella nostra amata capitale da Misurata con a bordo un gran numero di combattenti e di munizioni», afferma un comunicato del centro stampa del Consiglio militare di Misurata. La diplomazia internazionale intanto ha fissato una serie di riunioni: oggi a Bruxelles si terrà una riunione degli ambasciatori dei Paesi membri della Nato; giovedì a Istanbul si riunirà il gruppo di contatto sulla Libia a livello di funzionari in vista di un appuntamento ai più alti livelli; entro la fine della settimana si svolgerà anche un vertice Onu, con la partecipazione dell’Unione Africana e della Lega Araba. Su tutto una sola parola d’ordine, sintetizzata dal discorso serale del presidente americano Barak Obama: ‘Il regime di Gheddafi ha raggiunto il punto di non ritorno … Restano incognite … ma il futuro della Libia appartiene al popolo libicò.

Le forze lealiste libiche hanno ieri lanciato tre missili di tipo Scud da Sirte in direzione di Misurata, stando a quanto reso noto da un portavoce della Nato. Dalle prime notizie, ha aggiunto, sembra che i tre missili siano caduti o in mare o sul litorale non provocando comunque danni nè a cose nè a persone. «Possiamo in ogni modo confermare il lancio di tre missili superficie-superficie nella serata di lunedi», ha detto il portavoce. In precedenza, una fonte del Pentagono aveva detto che un aereo della Nato aveva intercettato e distrutto uno Scud lanciato da Sirte.

Gli aerei Nato volteggiano nei cieli di Tripoli mentre sorge l’alba, dopo una notte di bombardamenti a cui hanno fatto seguito numerose sparatorie tra i ribelli e le forze fedeli a Muammar Gheddafi. Almeno otto forti esplosioni sono state udite nei pressi del compound del rais, mentre per diverse ore sono continuati gli scambi di colpi di arma pesante, dopo una serata di relativa tranquillità. L’offensiva per la conquista della capitale ha però fatto registrare un duro colpo per il campo degli insorti: la BBC ha trasmesso stanotte le immagini di Saif al-Islam all’interno del compound-bunker attorniato da una folla di sostenitori in festa. «Tripoli Š sotto il nostro controllo. Il mondo lo sappia. Tutto va bene a Tripoli», ha detto al-Islam.

Magari “tutto bene” è propaganda tanto quanto quella Nato o di AL Jazeera. Ma non sono le parole di un “arrestato”. Chi decide cosa i media debbono raccontarci? Questa è la domanda che bisognerebbe farsi ogni volta che accendiamo la tv “ufficiale” e guardiamo un media “di regime”…

 

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Marinella Correggia
UN FINE SETTIMANA DI BOMBARDAMENTI
Strade vuote, ospedali pieni. Voci da Tripoli
«Il ministero della sanità ha dichiarato che negli ospedali si contano già 1300 morti e 5000 feriti»

Molti telefoni di persone incontrate a Tripoli solo poche settimane fa oggi non rispondono. Qualcuno però trova linea: queste sono testimonianze raccolte tra sabato e ieri.
Mohamed, giovane del Niger che vive a Tripoli da 13 anni (lavorava con i cinesi), è rintanato in casa: «Siamo impotenti anche noi», dice. «Chi è disarmato non può avventurarsi fuori, dove tutti sono armati e si combatte. È terribile ma non possiamo che aspettare. Spero che non ci sia un’altra carneficina». Domenica diceva che «hanno bombardato intensamente anche vicino a casa mia, si è levata una grande polvere. Stiamo in casa e preghiamo, è il ramadan». Chiede: «Ma da voi avete visto le immagini della strage di 85 civili a Mejer, sotto le bombe della Nato, fra l’8 e il 9 agosto? Sono sconvolto, perché i media internazionali non ne hanno parlato».
Era impaurito sabato sera il cristiano pakistano Nathaniel, da 21 anni in Libia. Un mese fa si chiedeva dove sarebbe andato con la famiglia se gli islamisti fossero arrivati: «My sister, qui bombardano di continuo, e sembra che i ribelli siano vicini…non so, dove andare, chi ci proteggerà? Starò in contato con la cattedrale». Ieri il cellulare non prendeva.
La statunitense JoAnne, da mesi a Tripoli con suo marito per documentare negli Usa i crimini di guerra della Nato e dei ribelli: «Siamo chiusi nell’hotel Corynthia, al centro di Tripoli. Nessuno si avventura fuori. Gli Apache hanno ucciso molte persone e i ribelli hanno armi pesanti…». Chiusa in casa anche Tiziana Gamannossi, imprenditrice italiana (l’unica rimasta a Tripoli, dove vive a Tajura): «Sto in casa, non si chiude occhio. Festeggiamenti per l’entrata dei ribelli? Ma se non c’è nessuno per strada, ho faticato a trovare chi mi riportasse a casa ieri. La disinformazione continua». Hana, libica, che lavorava per una compagnia petrolifera, si è trasferita in casa di parenti: «Casa nostra è troppo vicina a Bab El Azyzya, qui è tranquillo ma nelle strade non c’è nessuno. Sì, abbiamo acqua, luce e cibo abbastanza… Non avrei mai pensato che finisse così».
Una testimonianza drammatica arriva per e-mail: Meyssen parla dei bombardamenti cominciati sabato notte su Tripoli, «gli aerei della Nato bombardano tous azimut (…) alle 23,30 \ il ministero della sanità ha dichiarato che gli osperali sono strapieni: si contano 1.300 morti e 5.000 feriti. La Nato aveva avuto il mandato di proteggere i civili. In realtà, la Francia e la Gran Bretagna stanno rinnovando i massacri coloniali».

da “il manifesto” del 23 agosto 2011
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da La Stampa

Capitribù, jihadisti e voltagabbana
La rissosa armata dei nuovi padroni

Opposizione divisa su tutto:a succedere al raiss sarà chi ha saputo tradire al momento giusto

MIMMO CÁNDITO

DAL CONFINE TUNISINO
Scrutata nel buio di questo polveroso, e inquieto, posto di frontiera, con la Tunisia dolce e morbida che si allontana alle spalle, e di fronte lo spazio aperto della Libia, le montagne ruvide del Jebel Nafusa a destra e, poi, il pianoro, fin laggiù dove si allunga il deserto vuoto di Sebha perduto dentro l’oscurità della notte che scende rapida, la geografia di questa Libia sfasciata assomiglia drammaticamente alla storia politica che l’attende, ora che Gheddafi è una pagina amara del passato. Vallate aperte e verdi, pianure che occhieggiano il mare, il deserto infinito giù a Sud, e monti, alti e aspri come i berberi che li abitano, tutto segna l’orografia di una complessità e di una contraddizione che – nel dopo Gheddafi segnerà indecisa, e probabilmente caotica, la costruzione di un Paese, il Nation Building, nel quale si sono sempre affossati i progetti e le speranze dell’Occidente, quando hanno voluto ficcare il naso in faccende che spettavano ad altri popoli.

È un «naso» che questa volta non è arrivato fino a calpestare con gli stivali il terreno di combattimento, anche se i bombardamenti della Nato sono stati nettamente lo strumento con il quale si è squinternata la macchina repressiva del regime e la sua armata di giannizzeri e di mercenari. Tuttavia, ora che si tratta di fare i conti con il futuro, si accende l’inquietudine di come impedire che questo futuro sia un altro dei teatri di destabilizzazione nei quali pare inevitabilmente precipitare il mondo, dopo il crollo delle Torri, giusto dieci anni fa.

E la più forte delle inquietudini è certamente il ruolo che probabilmente giocherà nei nuovi equilibri il fondamentalismo islamico. Gheddafi aveva voluto una Libia laica, dove lo spazio della religione e gli ipersensibili processi di autoidentificazione che accompagnano l’Islam nella quotidianità delle società musulmane erano stati tenuti sotto rigido controllo, con quella stessa, feroce, indifferenza repressiva che il Colonnello riservava a tutte le forme di opposizione possibile. Era stato, il suo, un lavoro metodico, e niente affatto facile, ricordando che a Derna, nella Cirenaica che sta dall’altra parte di questa frontiera, sul confine egiziano, sorgeva uno dei centri religiosi più rigidamente integralisti dell’intero Maghreb (è da Derna che arrivavano quasi tutti i libici che Al Qaeda ha impegnato nelle sue operazioni in Afghanistan e nel Golfo, e anzi i terroristi libici costituivano – rispetto alle ridotte dimensioni demografiche della Libia – la componente nazionale più numerosa).

Molti di questi jihadisti sono stati ammazzati nelle guerre dove lavoravano, ma molti sono tuttora vivi e sono anche rientrati in patria. Quale sarà il loro ruolo nel Nation Building nessuno, tuttora, può dirlo: ma certamente conteranno, e anche molto, se la Cia fin dall’inizio della sollevazione di Bengasi, in un febbraio che oggi appare lontano quanto un anno luce, esortava il dipartimento di Stato e la signora Clinton, a usare molta, molta cautela nel riconoscere la legittimità politica del nuovo governo insorto, il Cnt.

E ai jihadisti si attribuisce anche, da qualcuno, la responsabilità dell’assassinio del generale Younis, comandante generale delle forze armate ribelli, fatto fuori più o meno misteriosamente qualche settimana fa, per via di una possibile vendetta consumata a causa del ruolo che egli aveva avuto nella repressione del fondamentalismo religioso, quando era ancora compagno di merenda di Gheddafi. Altri attribuiscono questa vendetta a uomini appartenenti a clan e tribù che furono duramente repressi da Younis, allora ministro degli Interni del Colonnello.

L’una spiegazione può valere l’altra. Ma ciò che è certo è che il Nation Building dovrà inevitabilmente misurarsi con una catena sanguinosa di vendette che la vittoria legittimerà contro quanti avevano goduto di potere e di forza, e di violenza, nel regime che è appena finito. Sarà difficile districarsi da questa catena, consapevoli tutti che più della metà dei componenti del Cnt trionfatore è fatto comunque di uomini che nel vecchio regime avevano onori e responsabilità ufficiali (lo stesso leader Jalil era ministro della Giustizia di Gheddafi, nel momento in cui ha abbandonato il Colonnello ed è passato con gli insorti).

Questi «disertori» si spalleggeranno a vicenda avendo tutti un passato comune poco commendevole. Ma tra di loro si incuneerà anche l’identità tribale, cioè l’appartenenza a famiglie e clan che hanno una lunga storia identitaria nella vita delle terre che hanno fatto la Libia (la Cirenaica a Est, la Tripolitania a Ovest il Fezzan a Sud). L’identità tribale comporta il riconoscimento e il forte valore connotativo dell’appartenenza che è un fattore che la realtà metropolitana tende a diluire ma che conserva tuttora una sua forte qualità solidaristica nella Libia allo sbando dell’oggi post-gheddafiano.

Terza incognita dunque di questo Nation Building assegnato ai vincitori è il valore dell’appartenenza, che è poi uno dei fattori che hanno deciso la sconfitta finale di Gheddafi, per il ruolo assunto dalle tribù ribelli del Jebel quando hanno deciso di rompere ogni relazione con il Colonnello e cedere alle sollecitazioni e agli impegni che arrivavano dagli emissari clandestini dell’Occidente. Resta infine la componente liberale di questo complesso, contraddittorio, confuso, e forse anche inquietante, nuovo governo libico. Sono, queste, figure che hanno vissuto all’interno del regime, in una condizione di quieta accettazione, senza identificarsi troppo e però anche senza mai prendere le distanze.

Questa componente è la più vicina alla cultura europea, ed è stata ampiamente influenzata dai ripetuti contatti con l’Occidente, soprattutto con l’Italia. Per tutti loro vale quanto mi diceva qualche mese fa a Bengasi il professor Gerber, costituzionalista dell’università di Tripoli e anche docente all’università di Tor Vergata a Roma: «Abbiamo preparato il progetto per la nuova carta costituzionale. Il primo punto riconosce l’eguaglianza di tutti, senza distinzioni di sesso, di razza, o di religione. C’è stato un lungo e aspro dibattito tra i 21 membri della mia commissione. Ho avuto qualche difficoltà a farlo approvare; spero che verrà mantenuto nel documento finale della nostra Costituzione». E guarda fuori dalla finestra, verso il verde delle terre della Cirenaica. Ma la Libia ha una orografia complessa, come vedo da questo confuso posto di frontiera perduto nel buio della notte.

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