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Turchia. «Scorta armata per la flotilla»

«Non ci sarà alcuno scontro militare. È assurdo soltanto immaginare che un paese della Nato decida di andare al confronto militare con Israele». Parla con il tono di chi sa il fatto suo Gad Shimron, un analista con un passato di ufficiale del Mossad. Probabilmente ha ragione. Nonostante la profonda frattura diplomatica tra i due paesi che si è aperta la scorsa settimana, una guerra è impensabile. E conta fino ad un certo punto il tono bellico del premier turco Erdogan che ha annunciato un paio di giorni fa alla tv satellitare araba al Jazeera che «unità da guerra turche, sono autorizzate a proteggere le nostre navi (civili) che portano aiuti umanitari a Gaza». Erdogan faceva riferimento a una possibile nuova missione della «Freedom Flotilla» e della nave Mavi Marmara, assaltata da commando israeliani il 31 maggio 2010 (9 civili turchi uccisi).

Pur avendo una potente Marina militare, la Turchia non è in grado di proteggerla dalla superiorità aerea di Israele. Ma Ankara potrebbe ugualmente complicare la vita di Israele, specie nel Mediterraneo orientale dove il governo Netanyahu intende compiere esplorazioni congiunte con i greco-ciprioti per individuare giacimenti di gas e petrolio. Senza dimenticare che la Turchia sarebbe in grado di intervenire, con una massiccia presenza navale nel Mediterraneo, anche nel contenzioso aperto tra Tel Aviv e Beirut sullo sfruttamento delle riserve sottomarine di gas al confine marittimo tra i due paesi. Gli imprenditori israeliani da parte loro temono il crollo dell’interscambio commerciale tra i due paesi (3,5 miliardi di dollari nel 2010), sino ad oggi a vantaggio dello stato ebraico.
Anche per queste ragioni Netanyahu, dopo aver silurato la riconciliazione con la Turchia dopo l’assalto alla Mavi Marmara – lo rivelava ieri il quotidiano di Tel Aviv Yediot Ahronot -, ieri ha deciso di usare un tono più conciliante con l’ex «alleato strategico». L’obiettivo di Israele, ha spiegato il premier in un comunicato, resta quello di impedire il degrado nelle relazioni con la Turchia e di placare le tensioni. Nell’esecutivo di destra israeliano è passata, almeno per ora, la linea più prudente del ministro della difesa Barak che sa bene quali danni comporterebbe per gli addestramenti delle forze armate di Israele un allargamento del solco con Ankara. «Quest’onda passerà – ha previsto Barak – Sono certo che noi la supereremo. La Turchia non è un nemico di Israele». «Sia noi che i turchi conosciamo bene la realtà – ha aggiunto – i nostri due paesi sono molto importanti per l’Occidente».
Troppi interessi in comune e troppo forti le pressioni americane per andare allo scontro aperto, spiegano gli esperti. Sarà per questo che Erdogan, dicono fonti turche, eviterà di andare a Gaza e, quindi, di esacerbare la crisi con Israele nell’ambito della sua imminente visita in Egitto. Due fonti dell’ufficio del primo ministro hanno detto ieri all’agenzia francese Afp che «fino ad ora» nel programma di Erdogan non è prevista alcuna visita a Gaza, del resto non inclusa nel programma semi-ufficiale diffuso ad inizio settimana dall’agenzia turca Anadolu del viaggio che, da lunedì, Erdogan compirà in Egitto, Tunisia e Libia.
Ma in questi giorni la Turchia occupa solo una minima parte del tempo di Netanyahu, che in queste settimane ha visto crescere il sostegno internazionale alla proclamazione unilaterale di indipendenza dello stato di Palestina prevista nella seconda metà del mese. Certo gli alleati americani useranno il loro diritto di veto contro le intenzioni palestinesi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma 140 paesi sarebbero pronti a riconoscere la Palestina nell’Assemblea Generale (il voto è previsto ad ottobre). Il «sì» dell’AG sarebbe una sconfitta per Israele e Casa Bianca. Ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che pure è un punto di riferimento costante al Palazzo di Vetro degli interessi americani ed occidentali, ha ribadito il suo sostegno alla creazione di uno stato palestinese che, ha detto, «dovrebbe esistere da tempo». «La visione di due Stati che permettono a Israele e ai palestinesi di vivere fianco a fianco in pace e in sicurezza, è una visione sempre valida e la sostengo pienamente», ha spiegato Ban.

 

da il manifesto del 10/09/2011

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