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Turchia, la sfida costituzionale

Per un Paese dall’elevata ambizione geopolitica che tiene il passo della produttività in un mondo in profonda crisi economica quest’obiettivo diventa imprescindibile e misurerà pregi e difetti del panorama politico interno. Pur con l’assenso popolare del 50% ottenuto alle elezioni del giugno scorso il premier Erdoğan non può affrontare in solitaria il tortuoso percorso giuridico-istituzionale. Questo per gli osservatori è un bene perché dà spazio a un vero pluralismo, inoltre con voci corali le rinnovate normative potranno esprimere le diverse anime d’una società in evoluzione. Il confronto fra i partiti è già indirettamente iniziato con la stesura da parte di ciascuno di punti considerati irrinunciabili che dovrebbero essere trascritti sulla nuova Carta. Naturalmente le mediazioni saranno necessarie e c’è chi giura assai dolorose perché alcuni princìpi sono in contrasto fra loro e ciascuno dovrà smussarli senza considerarli dei totem. Il presidente del Parlamento Cemil Çiçek ha dato indicazioni per creare la prima commissione di lavoro. Per formarla ha chiesto ai quattro maggiori partiti (Akp, Chp, Mhp, Bds) di designare entro il 10 ottobre tre membri ciascuno. L’orientamento che egli stesso ha espresso non vuole affrettare oltre misura i tempi ma neppure lasciarli a lungo in sospeso. Da parte sua Erdoğan in alcuni interventi pubblici ha indicato nella primavera del 2012 il periodo ultimo per la riscrittura della Costituzione. Fra i nomi dei giuristi proposti in commissione che sono circolati nei giorni scorsi spiccano alcune figure di rilievo del Diritto Costituzionale.

Il partito repubblicano ha designato Riza Türmen, primo giudice alla Corte Europea dei diritti umani più gli esperti legali Süheyl Batum e Atilla Kart, entrambi noti per posizioni rigide contro le svolte giudicate filo-islamiste dell’attuale Esecutivo. L’Akp ha avuto un approccio molto più morbido indicando lo speaker parlamentare Ali Şahin e due deputati: Ahmet İyimaya di Ankara, Mustafa Sentop di Istanbul, considerati assai moderati e tutt’altro che conflittuali. Nel ribadire attraverso i nuovi articoli le posizioni che rimettano l’Islam al centro della vita turca il Partito della Giustizia e dello Sviluppo cerca un appoggio tattico nel partito filocurdo (Peace and Development Party). Il do ut des fra i due schieramenti porterebbe la formazione di maggioranza a sostenere che il volto moderno della Turchia deve guardare a tutte le componenti etniche presenti nella penisola anatolica, nella fattispecie ai curdi. Nota che non piace affatto al kemalismo turcocentrico di nazionalisti e repubblicani. La mossa erdoganiana punta anche a disinnescare la bomba della guerriglia del Pkk vera spina del fianco dei suoi governi, e in verità anche di quelli repubblicani degli anni Novanta. Eppure in questo periodo alcuni incontri preliminari fra Akp e Bdp sono saltati per questioni concernenti le condizioni del leader del Pkk Öcalan, da due mesi in isolamento per la ripresa delle azioni di guerriglia nel sud-est del Paese e per arresti di attivisti del Bdp accusati di sostenere la guerriglia. Gli scontri armati fra agosto e settembre hanno prodotto una cinquantina di morti nell’esercito e oltre cento fra i miliziani e la popolazione dei villaggi dove trovavano rifugio.

Il presidente del partito filocurdo Kaplan ha tuonato “Mentre la maggioranza c’invita a partecipare al dibattito istituzionale sono in corso arresti di nostri militanti accusati di terrorismo. Questa è una contraddizione, se ci considerano nemici della nazione traggano le valutazioni del caso ma se pensano di ridurci al silenzio presto mostreremo che si sbagliano di grosso. Le armi che possono distruggere le richieste popolari non sono ancora state inventate”. L’attuale contrasto non giova né alla minoranza curda che, rompendo i rapporti con l’Akp, si troverebbe isolata sotto l’offensiva turcofona del fronte kemalista ma neppure al partito erdoganiano fortemente interessato a condurre in porto la riscrittura della Costituzione per farne un simbolo della propria guida della nazione rilanciata da un progetto moderno e unificante. Già le insidie non mancano. I nazionalisti dell’Mhp, preparandosi a dar battaglia in commissione hanno divulgato cinque punti considerati irrinunciabili che per non potranno essere omessi dalla nuova Carta Costituzionale sui quali i loro membri – Faruk Bal, Tunca Toskay e Oktay Öztürk – si batteranno strenuamente. Riguardano la forma repubblicana dello Stato, l’integrità nazionale, lingua, inno e bandiera, sede della capitale. Per il Milliyetçi Hareket Partisi queste cose devono restare come sono. Nella difesa identitaria turca i nazionalisti non accettano aperture verso altre etnie e altri ceppi linguistici e s’oppongono fermamente a qualsivoglia ipotesi di Federazione di Stati o presunte autonomie. Il partito di Devlet Bahceli difende l’immunità parlamentare e sulla dibattuta questione del diritto a portare il velo in luoghi pubblici come le università vuole un ritorno alle passate censure, a suo dire garanti della laicità statale. Quest’ultima questione è condivisa dallo stesso Republican People’s Party che per gli incontri in commissione ha predisposto un brogliaccio di 18 pagine che sin dalla premessa auspica come nel dibattito della storica scadenza siano coinvolte anche componenti accademiche e della cultura. Fra queste ricordiamo che, in occasione del referendum del settembre 2010 che decretò l’esigenza di riscrivere la Costituzione, assieme ai molti intellettuali favorevoli spiccava il premio Nobel alla Letteratura Orhan Pamuk. Per gli uomini di Kılıçdaroğlu (Chp) la sezione introduttiva della Costituzione dovrebbe venir definita in senso kemalista con frasi come “C’è assoluta armonia fra la modernizzazione di Atatürk e la fisionomia della Repubblica”. E’ evidente quanto sarà gravoso il compito della commissione.

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