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Usa. Problemi costituzionali aggirati per uccidere al-Awlaki

Un anno prima dell’uccisione in Yemen dell’imam estremista statunitense di origine yemenita, Anwar al-Awlaki, esponente chiave di Al Qaida, eliminato il settembre scorso nello Yemen da un drone della Cia, l’amministrazione di Barack Obama redasse un documento segreto nel quale di fatto si autorizzava la sua uccisione senza processo, pur essendo egli cittadino Usa, nell’ impossibilità di catturarlo. Lo riferisce il New York Times nella sua edizione online.

Il documento top-secret, scritto nel 2010, fornisce agli Stati Uniti la giustificazione per l’eliminazione dell’imam, nato in New Mexico da un’influente famiglia yemenita e considerato dagli Usa esponente chiave della rete di Al Qaida, malgrado l’esistenza di un quadro giuridico che lo impedisca, secondo fonti citate dal quotidiano.

In sostanza, nelle 50 pagine di analisi legale riassunte dal giornale si affermava che il cittadino americano Mr. Awlaki poteva essere legalmente ucciso, se non fosse stato possibile catturarlo, perchè i servizi segreti sostenevano che egli avesse un ruolo nella guerra tra gli Stati Uniti e Al Qaida e costituisse quindi una minaccia significativa per gli americani. Anche perchè le autorità yemenite non erano in grado o non avevano la volontà di fermarlo. L’amministrazione Usa – riferisce il Nyt – si è rifiutata di commentare l’articolo.

La questione, come si vede, ha un rilievo “costituzionale”: il divieto – per lo stato – di uccidere propri cittadini senza prima un regolare processo (inutile ricordare che negli Stati Uniti la pena di morte e siste e vene largamente applicata). Questione rapidamente “risolta” anteponendo le priorità della “guerra” a quelle del diritto costituzionale. Ma quando si accetta questo slittamento, la frana è già in moto. Negli Stati Uniti, quindi nell’intero Occidente da essi imprintato, non esiste già ora nessun limite all’esercizio della forza da parte dello Stato nei confronti dei propri stessi cittadini (figuriamoci nei confronti di quelli altrui).

Chi si ritiene democratico nel senso liberale del termine, dovebbe almeno far finta di rifletterci su. E che sia il “democratico” Obama ad accelerare questa torsione anti-costituzionale non sembra solo un incidente di percorso.

 

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Ma c’è anche un secondo aspetto, più propriamente militare e strategico, che comincia avenir fuori col prevedibile esaurirsi del monopolio Usa nel campo dei “droni”.

Quest’Ansa chiarisce il dibattito negli Stati Uniti.

 

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’eliminazione nel settembre scorso di Anwar al Awlaki, leader di Al Qaida, colpito in Yemen da un drone della Cia. Per la prima volta un cittadino americano (Awlaki era nato e cresciuto negli Usa, in New Mexico) viene ucciso grazie all’uso dei micidiali aerei senza pilota su cui l’amministrazione Obama ha puntato per combattere il terrorismo: dall’Afghanistan al Pakistan, dall’Iraq allo Yemen.

È proprio questa strategia adottata da Casa Bianca, Pentagono e Cia che ora finisce nel mirino sia di molti osservatori ed esperti di cose militari – preoccupati per una scelta che presto, quando gli Usa non avranno più il monopolio dei droni, potrebbe ritorcersi contro il Paese – sia di tutte le più importanti associazioni pacifiste e di difesa dei diritti civili – per le quali Washington mette in discussione il ruolo delle leggi e della stessa a stessa Costituzione americana.

«Il problema è che si sta creando una norma internazionale», spiega sul New York Times Dennis Gormley, ricercatore all’università di Pittsburgh e autore del saggio «Missile Contagion». Norma che si basa sul principio – abbracciato dall’amministrazione Obama – per cui gli Stati Uniti possono inviare oltre confine droni armati per uccidere tutti coloro che sono considerati nemici e una minaccia per la sicurezza del Paese: anche se si tratta di cittadini americani.

La Casa Bianca nega che si tratti di una nuova ‘dottrina’. Anche se fonti dell’amministrazione informano che solo in Pakistan gli attacchi portati con i Predator o i Reapers della Cia ammontano già a oltre 2.000. E anche se dietro l’uccisione di Awlaki c’è un documento segreto – messo a punto, raccontano fonti del Nyt, nel corso di lunghe riunioni nella Situation Room – nel quale ci si sforza di giustificare dal punto di vista legale l’azione: se una persona lavora per portare un attacco all’America può essere eliminata, anche se l’uccisione non avviene durante il temuto attacco. Ma questo – sottolineano molti osservatori – va palesemente contro il quarto e quinto emendamento della Costituzione, in particolare lì dove si dice che nessun cittadino americano può essere privato della vita senza giusto processo.

La preoccupazione principale degli esperti, però, è un’altra. Il monopolio americano su queste tecnologie sta finendo. Al Pentagono trapela come queste siano oramai diventate il primo obiettivo dei servizi segreti di mezzo mondo. E presto paesi come Israele, Cina, Russia, India saranno in grado di realizzare anche loro droni armati per combattere quelli che considerano “terroristi”: in Palestina o in Libano, in Tibet o in Kazakhstan, in Cecenia o in Kashmir. E a tracciare la strada, a creare una ‘norma internazionale’ – accusano i critici – sarà stata proprio l’amministrazione Obama. Senza contare – avverte qualcuno – che la tecnologia dei droni potrebbe finire nelle mani dei terroristi ed essere utilizzata proprio contro gli Stati Uniti. Il tanto temuto ‘effetto boomerang’.

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