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Prosegue lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi

Betlemme. (Nenanews). – Dopo alcune manifestazioni di solidarietà tenutesi il 7 ottobre scorso nei Territori occupati, in Israele e in qualche città europea come Londra e Bruxelles, alcuni attivisti palestinesi e internazionali hanno lanciato una giornata di sciopero generale in tutta la Cisgiordania per mercoledì 12 ottobre, che sarà seguita da manifestazioni nelle città palestinesi venerdì 14 ottobre. A Haifa, una decina di giovani campeggiano da due giorni senza mangiare in Ben Gurion Avenue per incoraggiare i prigionieri a resistere. A Nablus, un gruppo di ex-detenuti  ha iniziato uno sciopero della fame cinque giorni fa. E a Gaza, alcuni palestinesi e attivisti tra cui Silvia Todeschini dell’International Solidarity Movement,  stanno partecipando alla protesta.

Una solidarietà popolare che viaggia però accanto al silenzio politico: alla richiesta da parte di alcune associazioni palestinesi di prendere una posizione pubblica  in favore della protesta dei detenuti, il presidente palestinese Abu Mazen si sarebbe rifiutato.  “Dopo vent’anni da Oslo– si chiede Murad Jadalah, ricercatore legale dell’organizzazione palestinese per i diritti dei prigionieri nelle carceri israeliane  ”al- Dameer”–  dove sono finiti i palestinesi? L’Autorità Palestinese è riuscita nel suo obiettivo: annichilire il popolo, piegare le sue motivazioni. Nessuno sta combattendo per chi è in prima linea contro l’occupazione: i seimila prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane”.

Intanto, nelle prigioni la protesta guadagna nuovi aderenti. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, numerosi “detenuti di sicurezza” nelle carceri israeliane stanno programmando la loro adesione allo sciopero, molti dei quali sono palestinesi residenti nello stato ebraico. “Israele – continua Murad Jadalah- li definisce “detenuti di sicurezza” e non “prigionieri politici” quali sono, perché non riconosce l’esistenza di un’occupazione militare nei territori palestinesi: di conseguenza, non viene loro applicata la Convenzione di Ginevra e vengono loro negati molti diritti, quali l’assistenza familiare e legale”.

Lo sciopero della fame è stato avviato il 27 settembre scorso da circa 50 detenuti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp) nelle carceri di Rimon e Nafha, a cui hanno aderito più di 200 prigionieri di altre fazioni politiche. Lo scopo della protesta è quello di migliorare le condizioni dei carcerati, condizioni che sono drasticamente peggiorate dopo la dichiarazione fatta nel giugno scorso dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: introdurre delle misure restrittive per i prigionieri palestinesi per far pressione sul governo di Hamas che da cinque anni detiene il soldato israeliano Gilad Shalit. Queste misure comprendono il divieto di studiare e di leggere, oltre all’intensificazione delle pratiche di isolamento dei prigionieri. I detenuti, dal canto loro, hanno avanzato una serie di richieste, tra le quali quella di poter studiare, di poter visitare gli altri detenuti e di non essere umiliati con manette a mani e piedi durante le rare visite che vengono concesse ai loro familiari.

Punto focale della protesta è però l’isolamento, utilizzato spesso come forma di punizione collettiva da parte delle autorità israeliane, ma non solo: alcuni detenuti sono bloccati in celle di 2,5 metri per 2,5 da circa 10 anni.  Nonostante le autorità carcerarie israeliane abbiano acconsentito ieri ad alcune concessioni – permesso di guardare le televisioni satellitari, visite dei parenti senza manette, possibilità di incontrare altri prigionieri e polli serviti interi invece che tritati- la fine esse sembrano decise a non cedere sulle pratiche di isolamento.

Una rassicurante dichiarazione è stata emessa ieri da parte delle Amministrazione carceraria israeliana sulle buone condizioni di salute degli scioperanti e sulla situazione di apparente calma nei centri di detenzione. Ma secondo alcuni attivisti per i diritti umani, i soldati avrebbero tolto il sale ai prigionieri, “l’unico sostentamento per proteggere lo stomaco durante lo sciopero” come puntualizza Murad Jadalah. Sono stati segnalati altresì casi di maltrattamento dei prigionieri, alcuni dei quali sono stati picchiati dalle guardie carcerarie e costretti a correre in piena notte all’interno delle carceri.

* Nena News

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