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Siria. I giornalisti cominciano a raccontare una realtà diversa

La notizia dell’accordo firmato al Cairo tra Siria e Lega Araba giunge mentre l’autobus turistico con a bordo giornalisti stranieri entra nel compound dell’ospedale militare di Homs. È la prima tappa di un ‘viaggio nella città simbolo della protesta, un viaggio che comincia con un funerale. Sfilano cinque bare di soldati e il corteo: in testa i vertici militari e il governatore di Homs. I familiari si avvicinano alla stampa e davanti alle telecamere spiegano: «Sono morti per la Siria». All’interno di un edificio invece ci sono i soldati feriti. Un giovane di 23 anni racconta che si trovava ad un posto di osservazione quando è stato circondato da uomini armati e colpito. Simili le storie degli altri soldati in cura. In ortopedia ci sono anche due civili, il più anziano è un conducente di autobus ed era «in viaggio tra Damasco e Homs quando il mezzo, con a bordo 33 persone, è stato circondato da uomini armati», dice. L’ospedale militare infatti, conferma uno dei medici, «accoglie anche civili. Chiunque arrivi qui bisognoso di cure». Anche eventuali feriti tra i dimostranti dell’opposizione? «Certo, noi curiamo tutti. Ma in questo momento in ospedale non ce ne sono», risponde. Lo stesso medico poi, mostra proiettili conservati in una bottiglietta di plastica: «Sono stati estratti a soldati feriti e molti di questi non si fabbricano in Siria» spiega, implicando che vengono da oltreconfine e non sono in dotazione all’esercito siriano. Gli spari si sentono dal centro di Homs. Non è facile distinguerli tra il rumore del traffico, i clacson e anche le urla dei bambini all’ora dell’uscita da scuola. Non si capisce da dove provengano ma sono raffiche. E i presenti non si stupiscono. «È successo altre volte» dicono, davanti alla clinica privata dove sono ricoverati alcuni giovani feriti negli ultimi giorni a Homs. I familiari vogliono spiegare ai giornalisti che i loro figli e fratelli camminavano tranquillamente per strada quando sono stati raggiunti dai colpi. Hitham è stato ferito il giorno delle elezioni, «si stava recando a un corso d’inglese» dice la madre. Poi le domande suscitano reazioni più accese: «Qui è il caos, vengono in questo quartiere da altre zone e sparano a caso. Ci sono momenti in cui è pericoloso uscire da casa». Ma chi spara? E Perchè? «Non sappiamo perchè. Sono bande armate». Qualcuno accenna a differenze religiose, ma non entra in dettagli. La stessa paura corre lungo Al Hadava Street, una via commerciale di Homs tappezzata dalle bandiere siriane e dalle immagini del presidente Assad. «Questa zona è più sicura», dicono i responsabili locali che accompagnano il gruppo, «ce ne sono altre più pericolose, ma è meglio non andarci, per motivi di sicurezza». L’arrivo di giornalisti suscita curiosità. Una donna anziana si avvicina, vuole spiegare che a Homs «si è sempre vissuto in armonia. Ora l’hanno distrutta: i commercianti chiudono i negozi, i bambini devono essere accompagnati». E «no, non è una questione religiosa, i miei vicini appartengono ad un’altra setta ma l’altra sera sono venuti a casa mia perchè avevano paura. Non sappiamo chi spara, non sappiamo perchè». Marlene, Mustafa e Fadya invece un’idea ce l’hanno: «Cospirazione, terrorismo», dicono. Scuotono la testa, Marlene ha 28 anni e aspetta un bambino: «Eravamo tranquilli a Homs. Ma ora non si può più stare. Noi ce ne andiamo, abbiamo deciso. Affittiamo una casa altrove, magari a Damasco. E ce ne andiamo, già domani». Intanto secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) e i Comitati di coordinamento locale degli attivisti anti-regime ci sarebbero stati un centinaio di morti negli scontri delle ultime 24 ore. Una notizia che, come al solito, al momento è impossibile confermare. (Ansa)

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1 Commento


  • Diego Caserio

    “Il regime ha capito che chiudere il paese ai giornalisti stranieri era un boomerang che ha favorito i contras e l’informazione mainstream”

    Da persona che è rimasta a lungo in Siria durante gli eventi, lavorando come giornalista in clandestinità, trovo estremamente ingenuo dare credito a un convoglio di giornalisti scortato dalle forze di sicurezza. Non si tratta di informazione mainstream, si tratta di logica: un regime che ha chiuso le porte alla stampa internazionale ha interesse a nascondere quanto è stato mostrato dagli attivisti. A nessun reporter con un visto ufficiale da giornalista è stato permesso di farsi un’idea obiettiva di quanto stesse succedendo. Ho assistito diverse volte alle manifestazioni pacifiche, a cui partecipavano donne e bambini, in diversi quartieri di Damasco e ho visto con i miei occhi la gente cercare riparo dai proiettili delle forze di sicurezza. Ho anche assistito a una manifestazione nel pieno centro di Damasco: un nugolo di ragazzi disarmati, dispersi con la violenza dai lealisti. Davanti a tutti i passanti, uno degli squadristi si è dato all’inseguimento dei ragazzi dissidenti con una vera e propria sciabola. Questa non è informazione mainstream, si chiama verifica indipendente dei fatti (per maggiori informazioni http://www.syrianstruggle.blogspot.com). I contras esistono e sono sempre esistiti, delegittimare una protesta popolare in nome di ideologie fossilizzate è un altro discorso. E giusto per prevenire eventuali supposizioni sulle mie simpatie sioniste-saudite-americane, chi scrive si è occupato in passato di Hizbullah e di legittimare il suo uso della violenza politica contro Israele.

    «Certo, noi curiamo tutti. Ma in questo momento in ospedale non ce ne sono»

    Ah beh…che coincidenza: una delegazione si reca in un ospedale di Homs, chiede se vi siano anche manifestanti dell’opposizione feriti e le viene detto che “al momento” non ci sono! Sono mesi che i manifestanti denunciano le uccisioni all’interno degli ospedali governativi. Per essere un minimo credibile, lo stato siriano poteva almeno fare parlare i giornalisti con un dissidente in una città in cui ne sono morti così tanti, no?

    “I familiari vogliono spiegare ai giornalisti che i loro figli e fratelli camminavano tranquillamente per strada quando sono stati raggiunti dai colpi.”

    Abbiamo visto tutti i video in cui Homs viene letteralmente bombardata, ne ho ricevuti io stesso molti da un residente di Homs: l’immagine che qui si cerca di fornire è forse che vi siano zone in cui si “cammina tranquillamente” e le vittime cadano in seguito ad imboscate? I video sono tutti fotomontaggi? è vero che si parla da tempo di rappresaglie tra un quartiere e l’altro, spesso e putroppo di carattere confessionale, ma presentare la situazione senza far riferimento all’assedio militare, di cui è vittima la città, mi sembra francamente ridicolo.

    Al Hadava Street, una via commerciale di Homs tappezzata dalle bandiere siriane e dalle immagini del presidente Assad. «Questa zona è più sicura», dicono i responsabili locali che accompagnano il gruppo, «ce ne sono altre più pericolose, ma è meglio non andarci, per motivi di sicurezza».

    Quindi nei quartieri “caldi” non ce li hanno nemmeno portati? E questa è informazione alternativa? E’ la stessa credibilità con cui il regime pretende di scortare la missione della Lega Araba? Perchè non hanno fatto fare un giro ai giornalisti a Bab ‘Amro, Bab as-Sabaa’ o a Khaldiyeh? Per ragioni di sicurezza?

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