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Ombre sulla Libia

“La caduta del regime di Gheddafi, dopo sette mesi di ostilità, ha lasciato una Libia profondamente frammentata lungo quelle linee di demarcazione sulle quali si sono formate le varie milizie che hanno combattuto contro l’esercito fedele al Rais». È quanto afferma un rapporto del Ce.S.I. (Centro studi internazionali), un think thank italiano che si occupa di analisi dei problemi internazionali. Il Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt), organo politico attorno al quale si è organizzata all’inizio la ribellione nella Cirenaica, sottolineo il documento “ha sì portato avanti il suo ruolo di rappresentante dei ribelli in campo internazionale, diventando il governo ad interim di un Paese che per più di cinquant’anni è stato retto dalla dittatura di un solo uomo, ma non ha avuto, finora, la forza e, soprattutto, l’autorità per ergersi a collettore unico delle varie realtà che hanno portato alla caduta del regime”. La fine delle ostilità e l’uccisione di Gheddafi secondo il Cesi, “non hanno comportato un parallelo smantellamento delle milizie che avevano combattuto nelle varie zone del Paese”. Tali realtà adesso, «vogliono far sentire la propria voce nella formazione della nuova Libia, forti del ruolo svolto durante la resistenza e grazie all’ingente numero di armi a loro disposizione raccolte negli arsenali gheddafiani o ricevute dall’estero durante il conflitto». In questo contesto, l’autorità di un organo come il Cnt, già con un compito arduo di ricostruire un Paese dopo una dittatura cinquantennale, è stata «messa ulteriormente in discussione, anche perchè il proprio braccio armato, il nuovo esercito libico, non è radicato sul territorio nè ha la stessa forza e preparazione delle varie milizie locali».
Secondo l’analisi del Centro Studi Internazionali, la Libia odierna appare come “un enorme mosaico di realtà locali che, in mancanza di una forte autorità statuale, si sono assorte a gestori del potere locale. E lo stesso controllo della capitale è suddiviso tra alcune milizie, di fatto i gruppi di combattenti entrati nella città durante il conflitto per liberarla e che non hanno mai abbandonato le proprie posizioni in vista della divisione del potere nel post-Gheddafi”. In primo luogo vi è il Consiglio Militare di Tripoli, un insieme di milizie di stampo islamista comandate da Abdul Hakim Belhaj, storico esponente del jihadismo libico. Per quanto il Cnt stia portando avanti un processo di transizione, «la sua autorità è indubbiamente messa in discussione da questa frammentazione e mancanza di un soggetto unico che controlli la sicurezza del Paese». Per l’osservatorio di geopolitica diretto da Andrea Margelletti, “insieme all’altissimo numero di armi presenti sul territorio libico, questo è il principale problema che la Libia deve affrontare”. Attualmente, infatti, «la situazione sembra essere governata da una sorta di equilibrio instabile tra le varie milizie, tutte non disposte a non cedere nè le proprie armi nè le infrastrutture della Difesa sotto il loro controllo all’autorità del Cnt». Il fatto, poi, che la maggior parte di questi soggetti sia espressione di realtà locali e tribali diverse in un Paese che, di fatto, è costituito da tre macro regioni, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, che hanno caratteristiche sociali e culturali differenti, «è un ulteriore fattore di instabilità».
Lo studio del CeSi, appare assai preoccupato della crescita di influenza delle organizzazioni jihadiste islamiche: “L’unico soggetto forte che, allo stato attuale delle cose, potrebbe avere un’influenza trasversale nel Paese è Belhaj. In particolare, grazie alle sue origini tripolitane e gli stretti rapporti con i forti ambienti islamisti di Bengasi, Belhaj avrebbe la possibilità di diventare una personalità di riferimento in vista di un processo elettorale per la formazione della nuova Libia. Questa sua autorità e preminenza, però, pone non pochi interrogati sul futuro del Paese”. Belhaj. come noto, è un «esponente del movimento jihadista libico, che ha combattuto in passato in Afghanistan, mantenendo stretti collegamenti con esponenti del jihadismo globale, anche se ha sempre negato un’affiliazione ad al-Qaeda. Uno dei rischi, dunque, per il futuro del Paese, è uno slittamento verso l’islamismo», rimarca il rapporto del Cesi. Dunque, la frammentazione del panorama delle milizie libiche, l’attuale impossibilità del Cnt di ampliare la propria autorità e l’attivismo, non solo diplomatico, di alcuni soggetti internazionali, come il Qatar, “che indubbiamente sta cercando di ampliare la propria area di influenza anche al Mediterraneo, pongono numerosi interrogati sul futuro del Paese e concedono possibili spazi di manovra -conclude il Ce.Si- per personalità come Belhaj, che si avvalgono di una forte influenza, appoggio dall’estero e una strutturata presenza nel Paese”.

Probabilmente consapevoli di questi rischi, i nuovi dirigenti libici stanno mettendo mano al portafoglio. Otto miliardi di dollari per il reintegro di coloro che hanno combattuto per la rivoluzione in Libia, culminata con la violenta eliminazione Gheddafi, verranno stanziati da una commissione governativa incaricata di reintegrare i combattenti nella vita civile del Paese. Sono infatti migliaia i civili che hanno imbracciato le armi a partire dal 17 febbraio scorso. Disarmare queste milizie rappresenta una delle sfide prioritarie per la nuova leadership libica e per i suoi “protettori internazionali” (Usa, Francia, Gran Bretagna, Italia).. Il presidente della commissione per gli Affari dei combattenti, Moustafa al-Sagizli, ha spiegato che la sua organizzazione inizierà a reclutare volontari per partecipare ai programmi di integrazione.

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1 Commento


  • aldo

    Questo è cio che si ottiene con la politica del ‘nè-nè’. Non dovevamo stare con Gheddafi? E allora adesso beccatevi ‘sta m***a!

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