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La Tunisia un anno dopo la rivolta.

In questo delicato momento che tutto il nord Africa sta attraversando, e che a sua volta è parte integrante e non secondaria di quanto agita l’intero mondo arabo credo sia utile soffermarci sullo stato della sinistra comunista e marxista nel paese che ha dato il via alle cosiddette “primavere arabe”: la Tunisia, in quanto queste forze, anche e soprattutto alla luce della crisi del sistema di produzione capitalistica che si sta dispiegando in Europa e nel mondo e che vede coinvolta la Tunisia, che ha l’85% del proprio interscambio commerciale con la UE, potranno giocare un ruolo di assoluta rilevanza nel futuro del paese, nonostante lo stato attuale dei rapporti di forza.
La sinistra comunista e marxista in Tunisia è formata principalmente da 3 partiti: il Partito Comunista Operaio Tunisino (PCOT), El Ettajdid, ovvero quello che si può considerare l’erede diretto dello storico Partito Comunista Tunisino ed il partito Watab.
Diciamo subito che il loro risultato alle elezioni per l’Assemblea Costituente non è stato esaltante, anzi è stato decisamente deludente, le singole liste hanno eletto pochissimi deputati, ed ora tutti si rammaricano per non essersi presentati insieme (avrebbero preso complessivamente da 30 a 34 deputati) ed a gran voce dicono di cercare l’unità.
Uno dei tratti comuni a questi tre partiti è l’estremo interesse che hanno nei confronti della sinistra europea, con cui vogliono allacciare relazioni stabili e durature, sia perché coscienti dell’influenza degli stati europei, in special modo di Francia e Italia, sul loro paese, sia perché essendo usciti dalla clandestinità (il PCOT e il Watab) ritengono che un supporto formativo su specifici campi (ad esempio il rapporto con i mass-media e la gestione di propri mass-media) possa loro essere estremamente utile, non ultimo perché queste forze sono internazionaliste, e guardano con attenzione a tutto ciò che accade nel Mediterraneo, che auspicano diventi un mare di pace ed in questa direzione sono politicamente impegnati.
Il PCOT nasce nel 1986 dalla nuova sinistra, e ha difficoltà a rapportarsi con il partito comunista storico in quanto a suo avviso compromesso con il potere fin dai tempi di Bourghiba, il partito è stato fondato ed è vissuto in clandestinità fino alla rivoluzione, ed ha un forte insediamento tra donne, gli studenti, i lavoratori ed i sindacalisti; il partito è sempre stato fortemente represso, ed ha anche avuto militanti uccisi sotto tortura, anche se in occidente c’è la convinzione che solo gli islamici fossero repressi.
E’ stato il PCOT a chiedere l’Assemblea Costituente già dai tempi della rivoluzione come atto di rottura con il passato, anche se il processo di transizione è al momento guidato dalla vecchia classe dirigente.
Il PCOT ritiene che a rivoluzione ha raggiunto importanti obiettivi ma il vecchio sistema sia ancora presente e forte, in quanto i rapporti economici e sociali sono gli stessi di prima, e questo perché la rivoluzione non ha prodotto una dirigenza centralizzata che poi guidasse la transizione, la carenza della rivoluzione a parere del PCOT è stata una carenza di coscienza e di una forza organizzata centralizzata che la guidasse.
El Ettajdid come già detto si può considerare l’erede dello storico Partito Comunista Tunisino, dopo la caduta dell’Unione Sovietica ha mutato il suo nome e rivisto le sue strategie e le sue parole d’ordine, ma se si parla con i suoi quadri, specialmente quelli di base, si capisce subito di avere a che fare con dei comunisti, al momento gli obiettivi principali di questo partito sono il riequilibrio delle forze tra la sinistra e gli islamici e la costruzione di un fronte popolare e laico dei lavoratori, per costruire in prospettiva un grande partito popolare e democratico, con cui andare alle elezioni politiche, non ritengono che al momento gli islamici possano intaccare i caposaldi di laicità dello Stato insiti nel sistema tunisino, in quanto ben radicati nel paese, ed in quanto non hanno comunque sufficiente forza per farlo anche se hanno vinto le elezioni.
Il Watab ha come ispiratore teorico Gramsci, è ben radicato nel sindacato ed è per una resistenza globale al capitalismo ed è preoccupato per l’avanzare dell’integralismo religioso e per il suo risultato elettorale, che si prepara a contrastare non solo sul piano politico ma anche con uno specifico lavoro culturale.
Oltre questi principali partiti ce ne sono altri, molto piccoli, una galassia di sigle laiche, di sinistra, pan-arabe che in una qualche maniera dovranno integrarsi se non politicamente almeno elettoralmente.
Infatti le elezioni per le forze della sinistra marxista e comunista hanno avuto, come già detto, un risultato estremamente deludente, eppure ci sono tutti i margini per poter recuperare, infatti la metà degli elettori tunisini non si è registrata, e quindi non ha votato, c’è stata una grande dispersione del voto a causa del proliferare delle liste elettorali, in una circoscrizione ce ne erano 120!, e a causa di ciò 1.400.000 votanti non sono rappresentati in parlamento, un enorme serbatoio di voti a cui la sinistra comunista unita può ben sperare di attingere, basti pensare che in una circoscrizione il PCOT non ha eletto un deputato per soli 20 voti, ed altri 5 non è riuscito ad eleggerli sempre per pochi voti.
Un dato inquietante è che non si sa quando ci saranno le prossime elezioni politiche, infatti l’Assemblea Costituente non ha un limite di tempo per varare la nuova costituzione, e quindi alle forze uscite vincitrici dalle elezioni va sicuramente bene di procrastinare il voto politico, dal momento che governano loro.
Invece per quanto riguarda le elezioni amministrative (Comuni, Delegazioni – le nostre Provincie – e Governatorati – le nostre Regioni) il voto potrebbe tenersi entro il corrente anno, ed in questo caso l’unità, almeno elettorale, della sinistra comunista e marxista potrebbe fare la differenza; a detta di molti osservatori i Segretari dei partiti sopra citati, a cominciare dal Hamma Hammami del PCOT, godono di un prestigio tra le masse sicuramente superiore ai voti raccolti dai rispettivi partiti, ed anche i quadri sindacali godono di ampio prestigio (la maggior parte dei capi della rivolta a livello locale erano sindacalisti della sinistra comunista e marxista) e vasto seguito.
Ovviamente il momento elettorale futuro non è tutto in Tunisia, anzi!, altre tre questioni cruciali vedono impegnata la sinistra comunista e marxista in una partita che ha per posta la loro affermazione politica o la loro futura residualità, ovvero il futuro stesso della Tunisia ed il destino del suo proletariato: il ruolo di forze esterne in Tunisia, il ruolo e la direzione del potente sindacato tunisino, la CGTT, e lo sviluppo economico delle regioni interne. Quanto avverrà in questi tre campi e l’eventuale unità della sinistra comunista e marxista ed il suo prossimo risultato elettorale segneranno il futuro della Tunisia per almeno i prossimi 30 anni.
Varie sono le forze esterne che oggi agiscono in Tunisia per determinarne il corso politico, le principali oggi sono il Qatar e L’Arabia Saudita, ambedue impegnate nella ridefinizione del mondo arabo a favore dei loro interessi, che per larga parte sono coincidenti, tentando di eliminare gli stati laici e favorendo in tutti i modi, non ultimo con un massiccio aiuto economico, la presa del potere da parte delle filiazioni politiche dei Fratelli Mussulmani. In Tunisia il Quatar appoggia il partito El Nnahdah – che ha vinto le elezioni per l’Assemblea Costituente eleggendo 89 deputati su 200 – mentre l’Arabia Saudita appoggia i Salatiti. Ovviamente le possibilità di intervento della sinistra comunista e marxista in questo ambito sono pressoché nulle, ma i compagni tunisini hanno ben presente il problema e si stanno già attrezzando per una presenza tra le masse più diseredate, dove il discorso religioso pesca maggiormente aderenti ed elettori.
Per quanto riguarda il sindacato ed il suo ruolo occorre intanto premettere che in Tunisia c’è un sindacato unitario, la CGTT, che sotto il regime di Ben Alì ha funzionato anche da schermo per l’attività politica della sinistra, è un sindacato forte, numeroso, stimato dai lavoratori, ed i cui quadri locali hanno guidato le rivolte, in Tunisia gode di un grande prestigio tra le masse, ed il partito islamico teme che la sinistra lo usi come contraltare al suo governo. Il sindacato ha tenuto in questi giorni il suo congresso, che ha visto prevalere una linea chiaramente di sinistra, ed il gruppo dirigente centrale eletto dal congresso ha visto eletti 5 compagni del PCOT e del Watab su 13 componenti; il nuovo Segretario della CGTT è un compagno del Watab. Ovviamente il sindacato, specialmente quando è unitario, è uno strumento molto delicato da gestire, specialmente per farne il contraltare politico al governo da parte di una frazione dell’opposizione, ma non si può dimenticare la crisi economica che attanaglia la Tunisia, la disoccupazione che colpisce un grandissimo numero di giovani, e non solo, il calo del turismo, che comincia a dare problemi, tutto questo il sindacato non può comunque ignorarlo, e a fronte di un governo che non si muova con la necessaria determinazione a favore dei ceti più deboli, che sono la grandissima parte della popolazione della Tunisia, il sindacato non potrà fare a meno di chiamare le masse ad una nuova mobilitazione, con tutto quello che può seguirne.
E ad ultimo la questione più importante, quella che sicuramente segnerà lo spartiacque tra la vittoria e la sconfitta: la questione del riequilibrio economico delle zone interne.
Le zone interne della Tunisia da sempre sono economicamente sottosviluppate, mentre quelle della costa sono più ricche e moderne, questo fin dall’epoca coloniale, e la cosa non è certamente mutata con l’indipendenza (Bourghiba era originario di una regione costiera), oggi l’80% del bilancio dello Stato è impegnato nelle regioni costiere.
Le regioni interne, e segnatamente i loro giovani, quasi tutti disoccupati, sono quelle che hanno fatto la rivolta, ed ora sono palesemente deluse della piega che stanno prendendo le cose, e chiedono a gran voce un riequilibrio economico che gli porti occupazione e sviluppo: è questa la grande sfida che hanno davanti il Governo tunisino ed il partito islamico che lo guida, se sapranno riequilibrare gli investimenti e la spesa corrente a favore delle regioni interne potranno dire di aver vinto, altrimenti la possibilità che le regioni interne si rivoltino ancora (quella che alcuni compagni tunisini chiamano la seconda fase della rivoluzione) è concretissima, e questo aprirebbe nuovi scenari non solo per la sinistra comunista e marxista in Tunisia ma per tutto il mondo arabo, ed i tempi per il riequilibrio economico a disposizione del Governo e degli islamici sono strettissimi, al massimo un anno.
In questa delicatissima fase per la Tunisia ed il suo proletariato noi comunisti in Italia, ovunque collocati, dobbiamo fornire tutto il nostro appoggio e la nostra collaborazione ai compagni tunisini, coscienti della nostra debolezza, delle nostre divisioni e della pochezza delle nostre strutture organizzate, ma altresì coscienti dell’importanza che il nostro aiuto e la nostra vicinanza rappresenta per i compagni tunisini.

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