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Strozzare la Grecia non è reato

La pretesa, ora, è che i futuri governi si impegnino a non chiedere di rinegoziare gli accordi capestro. Ad aprile infatti la Grecia dovrebbe tornare alle urne, e il “furbo” Samaras – successore di Karamanlis alla tesat di Nea Democratia, il partito che aveva falsificato i conti pubblici aprendo il vaso di pandora per lo sfortunato paese – “promette” che riaprirà la partita con gli organismi internazionali.

Contemporaneamente, però, comincia a serpeggiare qualche corposo dubbio – anche in ambienti padronali – sull’efficiacia (o la dannosità) della “dura ricetta” imposta ad Atene. Un po’ tardi, ci pare…

L’Europa blocca gli aiuti alla Grecia

di Beda Romano

La crisi greca continua a rimanere appesa a un filo. Mentre ad Atene e in altre città del Paese le tensioni sociali si moltiplicano, le trattative tra la Grecia e i suoi partner per la concessione del nuovo pacchetto di aiuti devono fare i conti con nuovi ostacoli e dubbi. I ministri delle Finanze della zona euro hanno deciso di declassare una riunione a Bruxelles prevista per oggi, trasformandola in una teleconferenza.

Si vedranno invece venerdì a Roma il cancelliere tedesco Angela Merkel e il premier Mario Monti, proprio per discutere di eurozona e della crisi greca.
In un comunicato, il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker ieri ha spiegato che è necessario «ulteriore lavoro tecnico» in un certo numero di settori. In particolare, il primo ministro lussemburghese ha sottolineato che ancora manca all’appello un accordo sul modo in cui la Grecia intende coprire un buco da 325 milioni di euro; nel contempo non sarebbe ancora pronta l’analisi aggiornata sulla sostenibilità del debito greco.

«Per di più – ha spiegato Juncker nel suo comunicato – non ho ancora ricevuto le assicurazioni politiche dai leader della coalizione greca sull’adozione del programma» di risanamento delle finanze pubbliche.
Com’era già successo l’anno scorso, prima di prestare nuovo denaro ad Atene, l’Eurogruppo vuole dai leader politici un impegno scritto a perseguire le riforme economiche anche dopo le elezioni che si terranno ad aprile.
In questo contesto, Juncker ha deciso di trasformare la riunione di oggi in una teleconferenza, che sarà di preparazione all’Eurogruppo già previsto da tempo per il 20 febbraio.
La questione greca continua dunque a essere circondata da una grande incertezza. Il Parlamento di Atene ha approvato domenica l’accordo con la troika, composta dai funzionari della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale.

Questo passaggio parlamentare era però soltanto una delle condizioni poste dai ministri delle Finanze in occasione dell’Eurogruppo della settimana scorsa. In quella circostanza, i Governi della zona euro avevano anche chiesto impegni scritti da parte delle forze politiche, così come un piano di riduzione del deficit pubblico per il 2012 di 325 milioni di euro. Queste ultime due condizioni sembrano però ancora mancare all’appello.
L’aspetto più controverso è la promessa scritta. Due giorni fa, Antonis Samaras, il leader del partito conservatore Nuova Democrazia, ha affermato che se sarà eletto primo ministro nelle elezioni di aprile, vorrà rinegoziare il pacchetto con Bruxelles. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha risposto indispettito. Riferendosi a un eventuale fallimento della Grecia, ha dichiarato, minaccioso: «Siamo meglio equipaggiati di due anni fa».

L’allusione è chiara: lo stesso accordo con le banche per una ristrutturazione del debito pubblico greco nasconde la possibilità di trasformare l’operazione finanziaria in un fallimento ordinato, se sarà necessario. C’è una evidente sfiducia nei confronti della Grecia, un Paese che tra le altre cose continua a riservare una fetta importante del proprio bilancio alla difesa (circa il 3% del prodotto interno lordo).
Intanto, proseguono le proteste in un Paese in recessione economica ormai da quattro anni. Il momento è delicatissimo, e sta creando non pochi risentimenti. In un giornale conservatore greco, il cancelliere tedesco Angela Merkel è stato raffigurato in uniforme nazista sotto alla scritta «memorandum macht frei», una parafrasi del motto «arbeit macht frei» che campeggiava sopra l’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz.

Assai più freddamente, l’economista Yanis Varoufakis ha invece fatto un parallelo tra le riparazioni imposte alla Germania nel 1919 e le misure chieste alla Grecia dal 2010 ad oggi.
Ieri a Strasburgo, il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, è stato costretto a rispondere alle domande di alcuni giornalisti che gli hanno rimproverato di imporre alla Grecia misure di austerità ormai insopportabili. Le risposte sono sembrate imbarazzate.

da Il Sole 24 Ore

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La faccia feroce dei soliti noti

di Adriana Cerretelli

Troppo rigidi con la Grecia? Il dubbio comincia a serpeggiare in Europa in modo sempre più evidente. Però Germania e Commissione europea rispondono convinte di no, che la nuova stretta imposta al Paese per garantirgli un nuovo pacchetto di aiuti da 130 miliardi è un atto dovuto. Perfettamente sostenibile. La rivolta di Atene, 40 palazzi incendiati, la disperazione nelle strade non impressionano più di tanto i virtuosi del Nord.

«Vogliamo fare di tutto per aiutare la Grecia a uscire dalla crisi. Quel che vediamo in questi giorni è molto meno di quello che potrebbe succederle se i tentativi di tenerla nell’area euro dovessero fallire» ha avvertito ieri il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble. «Tuttavia oggi siamo molto meglio preparati ad affrontare un eventuale crollo rispetto a due anni fa». Niente concessioni ma un diktat esplicito. Neanche Olli Rehn, il commissario Ue competente, è disposto a demordere dalla linea dura: «Conosco la situazione in cui vivono i greci. Sfortunatamente hanno vissuto per troppo tempo sopra i loro mezzi».

Lo scontro tra la cieca rigidità dei soliti noti e gli sforzi ciclopici e immediati pretesi dai greci ancora non ha provocato il corto circuito. Ma potrebbe arrivare. Per ora è saltata la riunione a Bruxelles dei ministri dell’Eurogruppo che oggi avrebbe dovuto approvare il secondo salvataggio di Atene dal baratro. In una sola settimana, dunque, un altro match nullo, mentre si accorciano pericolosamente i tempi tecnici per evitare il disastro che, senza accordo, si materializzerà il 20 marzo.

«Di quanto tempo avrà ancora bisogno la Commissione Ue per rendersi conto che le misure di sola austerità non funzionano in Europa? Né i popoli né i mercati accetteranno mai i provvedimenti draconiani imposti oggi ad Atene» ha tuonato l’austriaco Hannes Swoboda, leader degli eurosocialisti, dalle tribune dell’Europarlamento. Che ieri ha deciso di inviare in Grecia una troika alternativa «per concordare misure che non siano controproducenti come le attuali». Anche per il finanziere George Soros «sfortunatamente Angela Merkel sta conducendo l’Europa nella direzione sbagliata».

Al suo quinto anno di recessione (l’anno scorso l’economia si è contratta di un altro 6,8%, con un -7% annuo nell’ultimo trimestre), la Grecia ha appena approvato in Parlamento un nuovo programma di tagli e riforme “lacrime e sangue” da 3,5 miliardi. Ma nel Paese, già tartassato dalla cura dimagrante in atto, cova la rivolta: contro altri tagli alle pensioni, la riduzione del 22% del salario minimo, il licenziamento di 15mila statali nel 2012 per un totale di 150mila entro il 2015.

E ancora mancano all’appello risparmi per 325 milioni (ieri il Governo ha messo a punto nuovi tagli alle pensioni e alla difesa) e, soprattutto, l’impegno scritto di tutti i partiti politici a rispettare la tabella di marcia anche dopo le elezioni di aprile. Per questo l’Eurogruppo è stato rimandato a lunedì.

Più il tempo passa, più la crisi intra-europea si aggrava e più cresce la sensazione che la politica del nudo rigore somministrato senza un gesto di autentica solidarietà e senza neanche il tonico della crescita economica sia destinata a mettere in croce non solo la Grecia ma l’Europa intera. Tanto più che le medicine amare sono distribuite ad alcuni ma risparmiate ad altri.

Prendiamo la Germania, l’attuale e indiscusso deus ex machina del club della moneta unica. Proprio ieri Rehn ha distribuito reprimende sugli squilibri macroeconomici accumulati in Europa. Di frustate ce ne sono state per tutti. Miracolosamente però Berlino è stata risparmiata, nonostante ostenti per l’ultimo triennio un surplus dei conti correnti del 5,9% del Pil, superato soltanto dal 6,4% del micro-Lussemburgo. «Nei prossimi mesi faremo altre analisi sulle divergenze tra gli Stati» si è difeso il commissario.

Certo, una cosa alla volta. Ma con l’Europa in recessione, l’economia tedesca (+0,4% il Pil 2012 secondo l’Ocse) che frena, e la Grecia stremata da un quinquennio di sviluppo negativo impastato di austerità a getto continuo, logica di “famiglia” vorrebbe che dalla severissima Berlino che impone disciplina arrivasse almeno un po’ di stimoli in più alla propria domanda interna per distribuire un po’ di ossigeno ai partner in difficoltà. Niente da fare. Peggio, non succede niente con l’assenso di Bruxelles che pure dovrebbe essere il garante dell’interesse collettivo, cioè del rigore sì ma sostenibile.

L’incongruenza di questa politica del doppiopesismo, tutta ad uso e consumo dei Paesi più forti, glissa anche sulla classifica, pubblicata ieri, dell’indebitamento cumulato (pubblico, privato e delle società non finanziarie) nell’eurozona, che vede al primo posto l’Irlanda, la Francia al 12°, la Germania al 14°, l’Italia al 15° e la Grecia al 16°, sì proprio al sedicesimo. Naturalmente conta la sostenibilità del debito. Però anche il volume vuole la sua parte.

Tutti, dunque, hanno i propri scheletri negli armadi. Invece del rigore forsennato, questo dovrebbe consigliare un approccio alla crisi più ragionevole ed equilibrato. Perché l’Europa della disperazione, dopo quella della speranza che ha distribuito benefici a tutti per decenni, non è nell’interesse di nessuno.

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Il Governo cede alla troika: tagli alle pensioni per 300 milioni

Vittorio Da Rold

Ancora un dato economico pessimo ad Atene che brucia sul nascere le residue speranze di uscire presto da una crisi che si sta avvitando sempre di più e si sta trasformando in crisi politico-sociale. Nel quarto trimestre del 2011 il Pil ha segnato una contrazione incredibilmente elevata per un Paese dell’Eurozona, pari al 7% rispetto allo stesso periodo del 2010.

Il dato, diffuso ieri dall’ufficio statistico ellenico, è ancora peggiore delle ultime stime, che prevedevano una contrazione del 6% legata all’impatto dei tagli alle retribuzioni del settore pubblico e privato e degli aumenti delle tasse tra cui l’introduzione dell’Ici sulla casa e l’aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti chiesti dalla troika (Ue, Bce e Fmi). Il 2011 è stato per Atene il quinto anno consecutivo di recessione.
Una situazione davvero inquietante che non fa prevedere niente di buono dopo le violenze incendiarie, ad opera dei black bloc, scattate nella notte tra sabato e domenica scorsa durante il voto parlamentare del piano da 3,3 miliardi di euro, il quinto in due anni, che introduce nuove misure di austerità in un Paese dove i suicidi per cause economiche sono aumentati del 40 per cento.

A poco serve consolarsi che ieri mattina l’agenzia per il debito pubblico greco ha collocato sul mercato titoli per 1,3 miliardi di euro a 90 giorni con un rendimento in calo rispetto alla precedente asta, del 4,61 per cento. La domanda è stata pari a 2,7 volte l’importo offerto, come ha riferito la stessa agenzia nazionale del debito. Intanto, dopo l’approvazione delle misure di austerity da parte del Parlamento ellenico, che ha provocato 43 espulsi dai partiti maggiori per non aver rispettato la disciplina interna, ieri si è riunito il Consiglio dei ministri, dove il premier tecnico Lucas Papademos e la sua squadra hanno preso in esame le nuove azioni immediate per ottenere il piano di salvataggio.
In agenda c’era ancora l’urgenza di trovare la copertura per i 325 milioni di euro di ulteriori tagli che poi dovranno essere presentati all’Eurogruppo per ottenere il via libera gli aiuti da 130-145 miliardi di euro.

Senza dimenticare che Bruxelles aspettava sempre l’impegno dei leader dei partiti di accettare il piano indipendentemente dai risultati del prossimo voto. A preoccupare è stata l’affermazione del leader del partito Nea Demokrazia Antonis Samaras che ha sostenuto l’accordo, ma subito dopo ha dichiarato che se premiato dagli elettori cercherà di «rinegoziarlo».
Ieri sera la tv Mega ha affermato che la lettera di impegno dei leader politici greci sull’attuazione in futuro delle misure di austerità sarebbe stata firmata da Giorgos Papandreou del Pasok e Samaras del centrodestra e sarebbe in mano al premier. Si tratta di una delle condizioni per lo sblocco del prestito. Inoltre secondo indiscrezioni i 325 milioni di ulteriori risparmi verranno da tagli alle pensioni e alla difesa e spese per medicinali. Secondo anticipazioni dei media, 100 milioni verranno da un taglio del 7% alle pensioni del fondo per i marinai e il 20% a quelle di lavoratori del settore elettrico, telefonico e banche sopra i 1.200-1.300 euro. Duecento milioni saranno invece reperiti da un 15% tagliato dalle integrazioni pensionistiche quando superino i 200 euro.

A rendere ancora più fragile la situazione è stato l’annuncio fatto l’altro ieri dal portavoce dell’Esecutivo Pantelis Kapsis, sulle elezioni anticipate che «si terranno in aprile». Una notizia che ha mandato in fibrillazione la Ue, che non è affatto tranquilla e non considera ancora la Grecia fuori dal rischio default.
La situazione ad Atene è confusa e a volte paradossale: mentre si avvicina la data del 20 marzo quando scadranno 14,5 miliardi di euro di bond, e quindi della possibile bancarotta se non verranno concessi gli aiuti europei e dell’Fmi, si iniziano a incontrare nei circoli politici della capitale già i volti dei nuovi e rampanti candidati alle prossime elezioni, come May Zanni, attuale vice responsabile della segreteria internazionale di Nea Demokratia, il partito che secondo i sondaggi dovrebbe ottenere il 31% dei consensi, che si sta preparando alla campagna elettorale con entusiasmo ed ottimismo.

Un ottimismo purtroppo non condiviso da chi ad Atene, a Via Sofokloeus 70 e a Pireos 35, è costretto a mettersi in fila in code sempre più lunghe per chiedere un pasto caldo gratuito nelle mense comunali. C’è ordine e tutto si svolge in modo veloce; molti non vogliono farsi interrogare perché si vergognano di essere lì e diventano scortesi, a volte violenti. Altri parlano volentieri delle loro disavventure che hanno la crisi come denominatore comune. Avevano un lavoro, un’attività commerciale ben avviata e dopo cinque anni di recessione hanno dovuto arrendersi. Ora sperano che il futuro sia migliore: intanto fanno la fila alla mensa dei poveri di un Paese dell’Eurozona.


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