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Merkel senza maggioranza sulla Grecia, Germania al bivio

Divisioni democristiane sulla Grecia Merkel resta senza maggioranza
Guido Ambrosino

BERLINO
Grazie all’apporto dell’opposizione socialdemocratica e verde, il secondo pacchetto di 130 miliardi per la Grecia per 130 miliardi è passato al Bundestag con 496 sì su 591 deputati presenti. Ma Angela Merkel non ha più una maggioranza autosufficiente sulla politica europea. Da Cdu e Csu – i due partiti dell’unione democristiana – e dai liberali, che hanno insieme ben 330 seggi (su 620), le sono venuti 304 voti, sette meno della maggioranza assoluta necessaria per eleggere il cancelliere, la mitica Kanzlermerheit di 311 voti. Le hanno votato contro 8 deputati della Cdu, 5 della Csu, 4 della Fdp. Due democristiani e un liberale si sono astenuti. Insomma 20 i transfughi, senza contare gli assenti, che preferirebbero lasciar fallire la Grecia.
Nel dibattito Angela Merkel, cancelliera e presidente della Cdu, aveva da difendersi su due fronti. Da sinistra l’accusano di aver troppo a lungo esitato nel sostegno alla Grecia, centellinandolo con avarizia, e legandolo a miopi misure di austerità. Nella sua coalizione di centrodestra non pochi le rimproverano invece di gettare soldi in un pozzo senza fondo. Sabato scorso pure il ministro degli interni Hans-Peter Friedrich, cristianosociale, si era unito alla fronda: «La Grecia avrebbe certamente più chance di rigenerarsi fuori dall’eurozona. Non dico che si dovrebbe espellerla, ma incoraggiarla a uscire».
Dalla tribuna Merkel ha invitato a soppesare il pro e il contro di ciascuna opzione: «Conosco le obiezioni di chi considera la Grecia un caso disperato, ma nessuno è in grado di stimare le conseguenze che un’insolvenza incontrollata potrebbe avere per tutti noi. Considero il rischio di questa opzione incalcolabile, e quindi inaccettabile», dice rivolta agli ellenoscettici in casa sua. Merkel ha ammesso che per rimettere in piedi la Grecia, «oltre a risparmiare e migliorare la competitività», ci vorranno pure «investimenti».
Che Merkel se ne sia accorta è già interessante. E ha annuito quando il capogruppo dell’unione democristiana, Volker Kauder, ha suggerito di rinunciare nel caso della Grecia alla quota di investimenti nazionali di regola necessaria per accedere ai fondi d’investimento europei.
Il socialdemocratico Peer Steinbrück, già ministro delle finanze nella grande coalizione, ha annunciato il consenso del suo gruppo al secondo pacchetto di crediti per la Grecia, per «senso di responsabilità», ma non senza una dura requisitoria contro il governo: «La cancelliera ha sottovalutato la dimensione della tragedia greca. Ha fatto troppo poco, troppo tardi, con troppa imprecisione». Steinbrück, che pure è un cultore della stabilità finanziaria – la norma frenadebito nella costituzione tedesca è farina del suo sacco – vuole gli eurobonds e un vero programma di investimenti per la Grecia, da finanziare con un’imposta sulle transazioni finanziarie: «Solo se si investe, se si riduce la disoccupazione, la Grecia potrà raggiungere un avanzo primario di bilancio».
Per il socialista Gregor Gysi, capogruppo della Linke, il governo Merkel impone alla Grecia oneri insostenibili, come quelli che i vincitori della prima guerra mondiale addossarono alla Germania col trattato di Versailles: «La Grecia ha bisogno di un nuovo piano Marschall, non di una riedizione di Versailles». La maggior parte dei 130 miliardi del secondo pacchetto sarà destinata a ridurre le perdite per i creditori privati, a garantire il pagamento degli interessi, a sostenere le banche greche. Di aiuti alle banche si tratta, non di aiuti ai greci, cui invece si tagliano i già bassi salari minimi. Per protesta contro i diktat inaccettabili e antidemocratici, i socialisti, a differenza di socialdemocratici e verdi, hanno votato contro.
Lo hanno fatto anche perché ritengono «una catastrofe» che Merkel voglia «esportare in tutta Europa gli errori della ‘flessibilizzazione’», sul modello dell’agenda 2010 dell’ex cancelliere Gerhard Schröder, a suo tempo appoggiata dalla Cdu, e «l’errore della norma frenadebito nella costituzione», a loro avviso autolesionistica.
Anche la verde Renate Künast, sebbene all’opposto di Gysi ritenga troppo poco severe le sanzioni antideficit del nuovo patto di stabilità rafforzato (fiscal compact), pensa che in Grecia vada interrotta la spirale recessiva: «Arrestare il declino dell’economia greca è la più urgente delle priorità».
da “il manifesto”

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