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Rajoy taglia tutto. La Spagna è una polveriera

Il premier spagnolo Mariano Rajoy continua a prendere schiaffi dall’UE. Nonostante la sua vittoria schiacciante sui socialisti alle elezioni parlamentari del 20 novembre, il capo del governo di Madrid è ormai nelle mani della troika sull’onda di quanto accaduto in Grecia. Nei giorni scorsi si era vantato di esser riuscito a strappare a BCE, Fmi e Commissione Europea una deroga alla riduzione del deficit, dal 4,4% indicato dalle istituzioni internazionali ad un meno stringente 5.8% a fine 2012. Ma è durata ben poco la gloria del capo del PP spagnolo. La troika preme e pretende nuovi tagli, subito. Rajoy dovrà definire entro la fine del mese tagli draconiani e nuove tasse per un totale di 15 miliardi di euro, da raggiungere a quelli già rastrellati con i tagli decisi tra dicembre e gennaio. L’obiettivo è di arrivare a ridurre il deficit di quasi 30 miliardi di euro, circa il 2,7% del Pil nazionale. Una manovra ‘obbligata’ viste le pressioni e i ricatti dell’Unione Europea e l’intransigenza tedesca – di cui oggi si lamenta Martin Wolf sul Sole 24 Ore – che sta già scatenando le ire dei lavoratori e dei governi regionali dissanguati oltre misura. Anche le amministrazioni locali guidate dalla destra sono in rivolta e chiedono una ‘rettifica’ che Rajoy non vuole o non può fare. I nuovi tagli, oltre che al lavoro, interesseranno soprattutto sanità e istruzione, già colpiti duramente nei mesi scorsi tanto che alla chiusura di alcuni ospedali e all’impoverimento delle scuole erano seguite manifestazioni popolari e scioperi in territori in genere relativamente tranquilli in quanto a conflitto sociale. Il caso dei riscaldamenti spenti in una scuola di Valencia ha acceso una miccia che non si è più spenta: i ragazzi di un liceo erano scesi in piazza contro le lezioni al gelo, la polizia li aveva caricati, gli studenti erano tornati in piazza più arrabbiati ed erano stati duramente picchiati dagli uomini in divisa, generando una risposta popolare senza precedenti. Un movimento studentesco che si sta collegando ad alcuni spezzoni superstiti di un movimento degli ‘indignados’ che fatica a tornare in campo ma che in eredità ha lasciato parole d’ordine radicali e analisi impietose della comatosa democrazia iberica.

«È essenziale che la Spagna definisca una strategia di medio termine per raggiungere i suoi obiettivi sul debito» ha ribadito ieri il commissario europeo agli Affari economici, il tedesco Olli Rehn, sottolineando che «la Spagna è uno dei Paesi che si sono impegnati a correggere il proprio deficit entro il 2013 per riportarlo al di sotto del 3% del Pil». Un obiettivo impossibile per il governo di Madrid che se dovesse e volesse rispettare i diktat dell’UE dovrebbe massacrare il suo popolo non meno di quanto hanno fatto i governanti greci, per scoprire poi che non è servito proprio a niente. Se non per ingrassare gli imprenditori e i banchieri tedeschi, francesi e britannici.

Rajoy ha già aumentato l’età pensionabile, deciso un rialzo delle imposte sui redditi da lavoro dipendente, aumentato la precarietà e reso i licenziamenti più facili e meno costosi, oltre a ridurre gli stanziamenti centrali agli enti locali. Che può fare di più senza scatenare una sommossa popolare? I disoccupati sono ormai quasi 5 milioni e mezzo, e il governo ha ridotto i tradizionalmente alti sussidi di disoccupazione. Le metropoli iberiche potrebbe esplodere come una polveriera.

Per ora i sindacati concertativi, nonostante la spinta del movimento studentesco e di una parte della loro base, rimangono tranquilli. CCOO e UGT a parte le manifestazioni domenicali del 19 febbraio – che hanno visto una inusuale contestazione da parte dei settori più radicali – e qualche mobilitazione regionale non si decidono a convocare lo sciopero generale, affermando che “i lavoratori non sono ancora pronti”. Invece proseguono le mobilitazioni studentesche . a Barcellona il 29 febbraio migliaia in piazza, scontri e arresti – mentre altre sigle sindacali si sommano alla giornata di sciopero generale convocata per il 29 marzo dai sindacati di classe e nazionalisti baschi e galiziani. L’ultima arrivata è la anarchica CNT che pure ha criticato la scelta da parte delle organizzazioni ‘nazionaliste’ di convocare mobilitazioni territoriali ree di dividere la classe lavoratrice spagnola su base etnica.

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