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Spagna: costretti a scioperare

Alla fine si sono dovuti svegliare anche i due maggiori sindacati spagnoli. Ieri mattina, dopo settimane di tentennamenti, le segreterie delle due sigle concertative più importanti hanno deciso di proclamare uno sciopero generale per il prossimo 29 marzo, la stessa data già scelta dai sindacati nazionalisti e di classe baschi e galiziani ormai un mese fa. Prima lo hanno annunciato le CC.OO e dopo poco anche la confederazione socialista dell’UGT, pressati e contestati da una parte consistente della propria base, accusano ora il governo del primo ministro di destra Mariano Rajoy di «distruggere i diritti sociali, l’occupazione e i diritti dei lavoratori». I sindacati, inoltre, sostengono che le politiche di austerità del governo contribuiscono ad una recessione che rende impossibile creare nuovi posti di lavoro. L’economia, infatti, dovrebbe ridursi dell’1,7 per cento nel 2012.

L’appello allo sciopero generale avviene all’indomani dell’approvazione da parte del Parlamento di una riforma del mercato del lavoro che rende più agevole e meno costoso per le imprese licenziare il lavoratore. Con 197 voti favorevoli e 142 contrari le Cortes di Madrid hanno detto si a una controriforma che non ha eguali nella storia del paese e che somiglia molto ai pacchetti di austerità varati negli ultimi mesi in Grecia, Italia, Portogallo, Irlanda su input della Commissione Europea, del Fondo Monetario e della BCE. La legge rende meno oneroso per le imprese il licenziamento senza giusta causa dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato (gli indennizzi sono pari al salario di 33 giorni di lavoro su ogni anno lavorato, e non più di 45). All’azienda basterà inoltre avere registrato perdite o anche solo diminuzione delle entrate per tre trimestri consecutivi per poter licenziare per causa oggettiva. In caso di crisi, le aziende potranno accantonare i contratti collettivi per definire orari di lavoro e mansioni dei dipendenti in maniera autonoma. Allo stesso tempo, sono stati introdotti significativi sgravi fiscali e incentivi per le imprese che assumono giovani (che potranno combinare il compenso lavorativo con il 25 per cento del sussidio di disoccupazione) ed è stata estesa la possibilità per le imprese di adottare contratti ‘spazzatura’, di tipo precario e a tempo.

Secondo il governo la “riforma” contribuirà a ridurre il tasso di disoccupazione della Spagna, attualmente a circa il 23%. Ma in realtà se la sua applicazione potrebbe ridurre il ‘desempleo’ solo statisticamente, porterà sicuramente al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori di un paese che ha uno dei tassi di precarietà più alti di tutta l’Europa.

Ai socialisti che chiedono al PP di negoziare alcuni correttivi con le parti sociali, gli uomini di Rajoy ricordano che nel 2010 fu il PSOE a imporre una riforma del mercato del lavoro senza il consenso dei sindacati. Ma i guai per i lavoratori e le fasce più deboli della popolazione dello Stato Spagnolo non sono finiti. Entro marzo il governo deve presentare la LeggeFinanziariaper soddisfare le pressanti richieste della Commissione europea che pretende una drastica riduzione del deficit pubblico. Zapatero – e probabilmente lo stesso Rajoy – aveva promesso di ridurlo al 4.4% rispetto al Pil. Ma a suon di tagli draconiani e nuove tasse può al massimo aspirare a portarlo dall’8 al 5%, e a costo di enormi sacrifici che potrebbero scatenare una vasta ondata di scioperi e conflitti sociali. Ma da Bruxelles giungono segnali di intransigenza, con il commissario Olli Rehn che minaccia un giorno si e uno no di intraprendere contro Madrid una procedura d’infrazione. E gli ispettori della Commissione Europea sono già stati questa settimana a Madrid «per uno scambio di informazioni con le autorità spagnole sulla situazione dei conti pubblici». In Grecia anche era cominciata così…

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