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Cina. Si delinea uno scontro sulle riforme politiche

Durante una conferenza stampa tenuta alla conclusione della undicesima Assemblea Popolare Nazionale, il premier cinese Wen Jiabao, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha sottolineato l’importanza delle riforme del sistema politico, affermando che, in base alla situazione del paese, si dovrebbe costituire gradualmente una politica di democrazia socialista. Wen Jiabao ha inoltre detto che essendo la Cina un paese con una popolazione di 1,3 miliardi di persone, creare una politica di democrazia socialista non è facile, ma che le riforme devono andare avanti, non possono fermarsi, e non possono neppure tornare indietro, perchè altrimenti non vi sarebbe alcuna via d’uscita. Dopo l’economia è arrivato il momento di riformare la politica per la Cina. Wen Jiabao, ha detto che Pechino deve avere un «senso di urgenza» nel portare avanti la riforma della politica: “La riforma economica non può avere successo senza che ci sia anche una riforma politica”.”Una tragedia storica come la Rivoluzione culturale – ha proseguito Wen – potrebbe ripetersi” in Cina se non verranno avviate le riforme”. Il premier ha anche annunciato un aumento della spesa pubblica per l’educazione al 4% del Pil e nuove regole sull’espropriazione delle terre rurali. Anche a causa della crisi economica in Europa, il governo cinese ha abbassato l’obiettivo di crescita per il 2012 al 7,5%. Il 2012 potrebbe essere l’anno “più difficile” ma anche il più ricco di speranza per la Cina, ha detto Wen senza aggiungere ulteriori dettagli. Wen Jiabao dovrebbe dimettersi il prossimo anno e il successore potrebbe essere l’attuale vice premier Li Keqiang.

Dietro le quinte dell’Assemblea nazionale del popolo, in corso a Pechino, si sta consumando una lotta fra due diverse fazioni del Partito Comunista Cinese (Pcc)” scrive l’Asia Times. Esse oppongono il presidente Hu Jintao e la cricca dei “principini”, la quinta generazione del Partito, composta da figli di grandi personalità, che dovrebbero prendere il timone del Paese con il prossimo 18mo Congresso del Pcc che verrà celebrato in ottobre.

A questa nuova generazione appartiene Xi Jinping, designato successore di Hu alla segreteria del Partito e alla presidenza. Ma alla stessa cricca appartiene pure Bo Xilai, il segretario del Partito a Chongqing, famoso per la sua lotta contro le mafie locali e per avere riavviato lo studio del maoismo.

La lotta è sul numero di rappresentanti da inserire nel Comitato permanente dell’Ufficio Politico. Finora le previsioni erano che la fazione di Hu Jintao, radicata nella Lega della gioventù comunista, avrebbe avuto tre membri: l’attuale vice-premier Li Keqiang (designato a succedere a Wen Jiabao); il direttore del dipartimento dell’organizzazione del Partito, Li Yuanchao; il segretario del Pcc nel Guangdong, Wang Yang, l’uomo che ha stoppato le rivolte di Wukan. Le nuove generazioni vorrebbero invece inserire Xi Jinping, il vice-premier Wang Qishan e Bo Xilai.

A metà febbraio è però scoppiato il caso di Wang Lijun, un funzionario dell’amministrazione di Bo Xilai, rendendo più difficile per lui l’entrata nel Politburo.

Wang Lijun, vice-sindaco di Chongqing, è stato capo della polizia della città e ha dato man forte alla campagna di “pulizia” di Bo Xilao,  mandando in prigione centinaia di membri delle triadi e di membri corrotti del Partito. Il 6  febbraio Wang si è rifugiato per un’intera giornata nel consolato Usa di Chengdu, chiedendo – forse – asilo politico. La sera è stato preso dalla polizia e portato a Pechino, dove è accusato di  “crimini economici” e soprattutto di “tradimento” dello Stato, anche se nessuno sa con precisione cosa egli abbia fatto. Molti analisti sospettano che la caduta di Wang sia stata provocata proprio da Hu Jintao per indebolire Bo Xilai.

Per salvare il salvabile, Bo Xilai ha fatto autocritica, confessando la sua poca vigilanza su Wang, e dopo una sua vistosa assenza nei lavori di apertura dall’Assemblea Nazionale del Popolo, ha successivamente incontrato i giornalisti difendendo il “modello Chongqing”, che prevede una maggiore distribuzione della ricchezza nella società cinese, dove il divario fra ricchi e poveri è molto forte. “Come ha detto il presidente Mao – ha spiegato – nel costruire una società socialista, il nostro scopo deve essere quello di assicurarsi che ognuno abbia un lavoro e cibo da mangiare, che si diventi ricchi insieme… Se solo poca gente è ricca, allora si scivola nel capitalismo e abbiamo fallito. Se una nuova classe capitalista viene creata, abbiamo davvero preso una cattiva strada”.

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