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Afghanistan. L’omicida statunitense ripara in Kuwait

 La mossa ha fatto infuriare parecchi parlamentari aderenti al partito di Garzai, sempre più imbarazzato e sotto pressione per le crescenti proteste della popolazione.

C’è incertezza sulla stessa tenuta delle forze di polizia afghane che potrebbero solidarizzare coi manifestanti e lanciarsi contro gli americani come ha fatto quel militare che ha cercato d’investire con un pick-up alcuni autoveicoli Nato sulla pista dell’aeroporto della base militare di Shukvani dove stava giungendo, o era giunto, il Segretario alla Difesa statunitense Leon Panetta. Il veicolo s’è incendiato, il conducente è morto, e a nome dell’US Army il generale Scaparotti ha considerato l’episodio estraneo a qualsiasi velleità d’attentato perché, ha sostenuto in una nota ufficiale, “né la vettura né il presunto attentatore trasportavano esplosivo”. Per la palese difficoltà di controllare ogni angolo del territorio occupato la posizione statunitense punta a smentire l’ipotesi di attentato, ma fonti della France Presse notano come l’ipotesi è tutt’altro che peregrina, visto il numero crescente di agguati lanciati da un anno e mezzo contro strutture Isaf. Nella mattina di giovedì ci sono state manifestazioni di protesta nella cittadina di Qalat, provincia di Zabul attigua a Khandar. Con la preghiera del venerdì le contestazioni potrebbe essere ben più ampie e accese.

La copertura al militare omicida che, secondo la prassi statunitense, è stato condotto in luogo sicuro è l’attuale materia del contendere che sta infiammando non solo la piazza. Abbiamo detto del profondo dissenso di parlamentari, anche alcuni giudici sono intervenuti sul tema sentendosi defraudati di un diritto che va ben oltre il pastunwali. Quest’episodio può complicare non solo il piano di addestramento delle truppe afghane, già di per sé zeppo di contraddizioni perché gli uomini reclutati accettano la divisa solo per denaro e in numerosi casi disertano a favore delle truppe talebane, ma potrebbe mettere in discussione la stessa permanenza dei reparti Isaf sino al 2014, come previsto dal piano Petraeus fatto suo da Obama. Se è vero che il presidente uscente su questa missione simbolo si giocherà una buona fetta della battaglia elettorale di novembre e la sua amministrazione non potrà abbassare la guardia rispetto al militarismo repubblicano di Romney o del Santorum che sia, è anche vero che ulteriori smacchi saranno ben poco gestibili. Per questo Obama e collaboratori sono sulla graticola. Eppure diversi analisti sostengono come nel Grande Medio Oriente in subbuglio l’attuale amministrazione americana non vuole complicarsi la vita né con un intervento diretto in Siria né tantomeno in Iran. Su quest’ultimo obiettivo Obama dà lo stop and go all’alleato israeliano solo in funzione della consultazione interna, visto che il voto della comunità ebraica statunitense va molto più in là dei propri numeri, influenzando una gran massa di elettori.

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