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Tav: la Lisbona-Kiev al capolinea. Monti non ha più alibi

 

Come già scrivevamo ieri il governo portoghese, proprio nel giorno in cui il paese era paralizzato dal secondo sciopero generale in quattro mesi contro tagli al welfare e licenziamenti facili, decideva di sospendere definitivamente la realizzazione della linea ad alta velocità tra Lisbona e Madrid. Un’opera troppo costosa per un paese devastato dalla cura dell’Unione Europea e saccheggiato dalle multinazionali straniere che in questi anni si sono impossessati di tutti i settori produttivi appetibili, mentre quelli non concorrenziali sono stati smantellati lasciando il Portogallo in una situazione simile alla Grecia: completa dipendenza dall’estero, disoccupazione di massa, povertà e disperazione sociale dilagante.
In un quadro del genere, pur applicando in pieno ogni ordine proveniente dalla Bce, dal Fmi e dalla Commissione Europea, il premier Pedro Passos Coelho ha annunciato l’abbandono definitivo del progetto, che aveva un costo teorico di 1,4 miliardi ma che secondo molte stime sarebbe potuto lievitare di due o anche tre volte. Non male per 150 km di linea molto appetitosi per gli interessi criminali che, così come avviene anche in Italia, si erano buttati a pesce sulla grande torta dell’alta velocità. Il governo di destra di Lisbona ha dovuto ammettere che in un momento di ‘austerità’ così forte, risulta assai difficile giustificare di fronte all’opinione pubblica portoghese un tale investimento per un’opera pubblica che porterà pochi o nessun vantaggio all’economia e ai cittadini del Portogallo.

La Corte dei Conti di Lisbona ha così annullato il contratto per l’esecuzione della tratta principale del Tav fra Lisbona e Madrid, quella che doveva collegare la località portoghese di Poceirao con Caia, località vicina alla città spagnola di Badajoz. Perché il contratto con il consorzio Elos firmato nel maggio del 2010 dal governo socialista viola il Codice dei Contratti Pubblici e non è trasparente per quanto riguarda i preventivi di spesa.

La sentenza permette in teoria all’esecutivo di Lisbona di non pagare gli indennizzi richiesti da Soares da Costa e Brisa, i due componenti del consorzio Elos, che pretendono ben 264 milioni di euro di mancati profitti. I rappresentanti ministeriali hanno annunciato che lo Stato pagherà alle imprese solo quanto dovuto per i lavori legalmente eseguiti fino all’8 novembre del 2010. Probabilmente da ora si scatenerà una battaglia legale tra il Governo portoghese e il consorzio Elos, oltre che con alcune imprese spagnole che partecipavano il progetto – la Dragados, filiale di ACS, e la Brisa, gruppo al quale partecipa la Abertis – che hanno visto sfumare un grosso affare.

Altri problemi sorgono in conseguenza del fatto che Lisbona aveva ricevuto dei finanziamenti dall’Unione Europea, alcuni dei quali erano stati acquisiti insieme a Madrid. Il governo spagnolo si è immediatamente affrettato a garantire che la sentenza della Corte dei Conti portoghese non provocherà nessuna alterazione dei piani di sviluppo delle due tratte dell’alta velocità previste nel suo territorio: quella tra Madrid e l’Estremadura e quella verso la Galizia, regione a nord del Portogallo.

Ma certo la decisione portoghese mette la parola fine a quello che nei piani europei avrebbe dovuto essere un unico corridoio ferroviario ad alta velocità che attraversa tutto il continente da est a ovest, da Lisbona a Kiev. Un corridoio numero 5 che in molti avevano considerato finora utopistico e irrealizzabile e che da ieri ha perso uno dei due capolinea, quello occidentale. Anche sulla fattibilità dell’altro capolinea, quello ucraino, i dubbi sono enormi: con quali fondi Kiev dovrebbe realizzare centinaia di chilometri di ferrovia dai costi proibitivi in un paese economicamente allo sbando? Quali merci dovrebbe portare l’alta velocità dai confini occidentali del continente verso quelli orientali? Che attrattività avrebbero prodotti resi costosissimi dal trasporto su Tav in un mercato globale in piena recessione?

La sentenza della Corte dei Conti portoghese dà il colpo di grazia ad uno dei principali alibi utilizzati in questi anni, e ribaditi ancora negli ultimi giorni da Monti e da Passera, a sostegno della necessità di realizzare la Torino-Lione a qualsiasi costo. Perché si tratta di un enorme infrastruttura europea che un eventuale no italiano non può permettersi di far saltare. Ma ora che a dire no sono stati i portoghesi l’alibi non regge più. E le argomentazioni dei No Tav e delle popolazioni della Val Susa acquisiscono nuova forza.

Naturalmente nelle ultime ore il governo di Lisbona sta ricevendo forti pressioni da Bruxelles e da Madrid affinché presenti immediatamente un piano che sostituisca quello appena bocciato, e che renda possibile il trasporto rapido di merci e passeggeri a partire dai grandi porti del paese verso Oriente. Secondo il quotidiano finanziario “Diário Económico”, in ballo ci sono 733 milioni di euro di fondi europei stanziati a tal fine. Soldi che il governo portoghese vorrebbe tenersi e investire in altri settori e infrastrutture assai più urgenti. Anche il governo Rajoy non è molto contento di perdere 133 milioni di fondi europei destinati ad un progetto che da ieri non esiste più. In particolare Lisbona è pressata dalla Direzione Generale delle Politiche Regionali e dei Trasporti della Commissione Europea che minaccia di tagliare i finanziamenti al Portogallo nei prossimi anni.

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