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Cresce il network anti-islamico ispirato a Breivik

Sta crescendo il network internazionale anti-islamico che ha ispirato Anders Behring Breivik. Il gruppo antirazzista britannico, “Hope not Hate”, ha pubblicato un report sull’inquietante vitalità della galassia dell’estrema destra europea. Quando il trentatreenne Breivik, lo scorso luglio, uccise 77 persone, perlopiù ragazzi che prendevano parte a un campeggio di giovani socialdemocratici, si giustificò proprio in nome di una guerra in corso tra l’Occidente e l’Islam. Da allora, è l’allarme di Hope Not Hate, quella rete s’è consolidata facendo coagulare fondazioni, blogger, attivisti e gruppi organizzati o informali di ultras.

Da questo calderone sarebbe nato, tre mesi fa, lo Stop Islamization of Nations (Sion) group, una sorta di ombrello per quel tipo di attività. La sigla Sion potrebbe essere stata scelta non a caso. Infatti, c’è anche in Italia chi predica che «antisemitismo e filosionismo possono andare a braccetto», come si legge in un blog di destra piuttosto beneinformato come “Fascinazione” a proposito di personaggi come Saya e Sindoca, sospettati (e prosciolti) dall’accusa di essere agenti deviati ma con posizioni certamente “nazionaliste” e islamofobe.

Il debutto in società di Sion avverrà a New York guardacaso proprio l’11 settembre e, tra i relatori, c’è gente come Paul Weston, capo del British Freedom Party (Bfp) che ha appena annunciato un patto con l’English Defence League. Il Bfp è una costola del più noto Bnp, il partito nazionalista britannico. Novanta minuti dopo la strage, lo stesso Breivik ha citato Weston a proposito di quella “guerra civile europea” contro i seguaci di Maometto. Londra si conferma, così, crocevia di fascisti, nazisti e contractors. E, solo nel Regno Unito, Hope Not Hate ha contato 22 soggettività organizzate operative antijihadiste. Il report fa 133 nomi, sette dei quali in Norvegia e altri 47 negli States dove la saldatura vede protagonisti i network ultraconservatori ed evangelici ossessionati dalla missione di costruire una percezione diffusa negativa della cultura islamica.

Nick Lowles, è il direttore di Hope Not Hate: «Breivik ha agito da solo – dice – ma è stata quell’ideologia a ispirarlo. Ora tutti gli occhi sono per lui e si rischia che nessuno si renda conto di questa rete». Andreas Mammone, che insegna storia alla Kingston University di Londra spiega al Guardian di ieri che la crisi economica aiuta il proliferare di questi gruppi che identificano nel nemico comune l’ansia per l’Islam radicale.

Tra i nomi più influenti del network, il report cita il leader Edl Stephen Yaxley-Lennon (conosciuto come Tommy Robinson), o la più distinta Ann Marchini, una tycoon della finanza di cui il Sunday Times racconta la lussuosa magione nel quartiere londinese di Highgate London da 1 milione e seicentomila sterline. Ann Marchini è una «figura chiave della succursale dello statunitense Center for Vigilant Freedom (Cvf, anche noto come International Civil Liberties Alliance con base a Fairfax in Virginia ma presente in almeno 20 paesi), una sigla che ha promosso convegni anti-islamici col Pvv olandese con la presenza di parenti svedesi e belgi prima di stringere alleanza con l’Edl di cui figura tra i donatori e per conto della quale è stata in tournée in Svizzera, Scandinavia, Belgio. Alcuni ragazzotti da stadio hanno annunciato di recente anche in Italia una lega del genere preoccupati dalla minaccia islamica verso le sane tradizioni italiche ma hanno 67 “I like” nella pagina facebook.

Tre mesi dopo la strage di Breivik, l’Icla ha promosso una conferenza a Londra con l’aiuto del suo coordinatore europeo Christopher Knowles, un altro co-fondatore dell’Edl e direttore della branca britannica del Cvf registrata a Wakefield. E solo due settimane fa, in Danimarca, Yaxley-Lennon ha presenziato al meeting inaugurale dell’ Europe-wide network of defence leagues. Un altro gruppo è stato fondato in Belgio a marzo. Si tratta di Women Against Islamisation, network europeo lanciato da Jackie Cook, moglie di Nick Griffin, capo del Bnp.

In Grecia, i sondaggi suggeriscono che a maggio a scavalcare lo sbarramento del 3% possa essere l’ultranazionalista Alba d’oro, che mutua il nome dalla setta teosofica rosacrociana che negli anni ’30, tra Germania e Inghilterra coinvolse la cerchia di Himmler e settori vicini alla casa reale inglese. La mappa degli antijihadisti italiani citata da Hope Not Hate contempla nomi noti come Casapound (e il gruppo antirazzista cita lo stragista di Firenze del 12 dicembre 2011 tra i suoi frequentatori, circostanza che i legali del gruppo diffidano dal menzionare), Forza nuova, il Movimento sociale di Romagnoli (che nell’indifferenza della grande stampa ha appena tenuto un raduno europeo a Roma) e la Lega Nord di cui si ricordano le gesta di Borghezio e Calderoli. Il primo ha preso parte al Congresso Internazionale sulla islamizzazione d’Europa a Parigi il 18 dicembre 2010. Di Borghezio si ricorda l’elogio di Ratko Mladic, il serbo che ha ucciso 8mila persone descritto come un “patriota”. «Il cento per cento delle idee di Breivik sono buone, in alcuni casi estremamente buone – ebbe a dire Borghezio – le sue posizioni riflettono le opinioni di quei movimenti che hanno vinto le elezioni in tutta Europa». Di Calderoli si rammenta l’appello al Papa per una crociata contro i musulmani durante la “crisi delle vignette” quando l’allora ministro si esibì in tv con una maglietta che sfotteva i maomettani. Lo show provocò scontri in Libia con 11 morti e 25 feriti. Meno nota, invece, la filiale italiana della Faith International Freedom (Ffi), organizzata attorno ad un sito web che traduce materiali della casa madre.

Ma si sta sviluppando anche il ponte sull’Atlantico tra gli europei e gli Usa. La blogger americana Pamela Geller è la figura che conduce le relazioni strette. Geller è la presidentessa di Sion, Breivik ne fa menzione nel suo manifesto ed è stata molto attiva contro la moschea prevista a Lower Manhattan nel 2010. Tra chi ha dato vita a Sion c’è anche un danese, Anders Gravers, promotore di Stop Islamisation of Europe, reduce da un incontro con Gravers lo scorso mese. Sull’altra sponda dell’oceano, invece, la campagna si concentra sul fatto che gli ambienti più conservatori sono a caccia di risorse per l’Edl, le cui immagini sono esibite negli eventi di raccolta fondi del Tea Party e ci sono incontri ufficiali con i gruppi del Christian Action Network. In Virginia funziona un blog, “The Gates Of Vienna”, che annoverava Breivik tra i fornitori di contributi. Mentre in Norvegia gli esperti sono interessati a mettere in evidenza che l’islamofobia sembra in crescita. Tra i forum linkati da Breivik c’è il blog nazionalista Document.no, sul quale Breivik – supporter on line della Norwegian Defence League che mantiene stretti contatti con i compari inglesi – ha postato oltre cento commenti. Anche nei paesi scandinavi esiste una presenza «non banale» di infiltrazioni naziste nelle forze dell’ordine e in quelle armate.

* Globalist 16 aprile 2012 

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1 Commento


  • Ipanema66

    Quando si praticava l’ANTIFASCISMO MILITANTE queste schifose carogne le obbligavamo a marcire nelle fogne!

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