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Strasburgo: lo sciopero della fame dei curdi indispettisce il Consiglio d’Europa

Oggi in tutto il mondo si celebra con proteste e manifestazioni la “Giornata internazionale dei prigionieri politici” palestinesi. Tutta l’attenzione delle organizzazioni popolari e progressiste è quindi puntata sulle migliaia di attivisti o semplici cittadini palestinesi detenuti spesso senza neanche un processo nei lager di Israele. Ma c’è anche un’altra situazione gravissima che la protesta dei diretti interessati e di chi esprime loro solidarietà sta riportando all’attenzione dei settori più sensibili dell’opinione pubblica, nonostante il silenzio totale dei media.

In Turchia, parecchie centinaia di prigionieri politici curdi, tra cui tre Parlamentari, stanno portando avanti uno sciopero della fame ad oltranza, con l’obiettivo di chiedere la liberazione del leader del PKK e il pieno riconoscimento dei diritti politici della popolazione curda. Dopo una prima fase di sciopero della fame a tempo determinato, attuato da centinaia di prigionieri politici tra il 1 dicembre e il 15 febbraio, la mobilitazione si è estesa sia numericamente sia geograficamente. Zeynep Teker, Presidente della Federazione delle Associazioni che offre assistenza legale alle famiglie dei prigionieri politici (Tuhad-Fed), ha dichiarato che dal 15 febbraio 400 prigionieri politici hanno iniziato lo sciopero della fame a tempo indeterminato. Più di 6.300 membri del partito curdo BDP, compresi 31 sindaci, sei deputati e decine di membri di consigli comunali, si trovano attualmente in carcere a seguito delle retate su vasta scala lanciate a partire dall’aprile del 2009 e mai interrotte, in particolare con la scusa di colpire il KCK, che il regime turco considera una rete a sostegno della guerriglia curda operante nelle città. Gli arresti si susseguono di giorno in giorno, e il numero degli arrestati ha ormai raggiunto un record assoluto: dai 60.000 detenuti registrati nelle carceri turche nel 2002 si è passati ai 130.000 attuali, moltissimi dei quali curdi o esponenti delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria turca. L’ultimo rapporto dell’IHD, un’organizzazione per la difesa dei diritti umani, ha rivelato proprio in questi giorni che nel 2011 le forze di sicurezza turche hanno compiuto 12.685 arresti politici, mentre 3.252 casi di tortura e di maltrattamento sono stati denunciati nel paese.

E’ per questo che lo sciopero della fame in corso si sta estendendo ben oltre ogni previsione. Gli scioperanti protestano contro l’isolamento del leader curdo Abdullah Ocalan, dal 1999 imprigionato nell’isola di Imrali in stato di completo isolamento e da 7 mesi impossibilitato a incontrare i suoi avvocati. I prigionieri chiedono la liberazione di tutti gli altri prigionieri politici, il riconoscimento ufficiale dei diritti collettivi del popolo curdo in una nuova Costituzione, in particolare di quello a studiare nella propria lingua. Il Presidente del Tuhad-Fed ha avvertito Ankara che i prigionieri sono determinati a continuare lo sciopero della fame fino a quando non otterranno risultati concreti.   

In particolare gli 8.000 militanti del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) in carcere hanno dichiarato che non interromperanno la protesta fino a quando Erdogan non farà dei passi concreti. A mobilitarsi anche alcuni sindacati. La sezione del KESK di Diyarbakır (la principale città curda di Turchia) si è unita allo sciopero della fame per denunciare le crescenti e continue ondate di arresti nei confronti dei propri membri. Anche i dipartimenti di un altro sindacato combattivo, il DISK, di Diyarbakir, Urfa, Dersim, Siirt, Batman, Van, Agri e Kars hanno aderito a due giorni di sciopero della fame. “Le politiche di negazione e di eliminazione contro i curdi adottate dall’AKP, non stanno portando a nessuna soluzione. Noi lavoratori, non ci arrenderemo” ha spiegato un portavoce del KESK, denunciando in particolare gli abusi sessuali compiuti dalle guardie carcerarie nei confronti dei detenuti minorenni rinchiusi nella prigione di Pozantı.

Lo sciopero della fame si è esteso anche al di fuori delle prigioni, anche all’estero, in vari paesi d’Europa. In particolare molti curdi stanno portando avanti lo sciopero della fame a Strasburgo, sede di una parte importante delle istituzioni europee. Una iniziativa, in corso ormai da settimane davanti ai palazzi dell’Unione Europea, che sta preoccupando il Consiglio d’Europea, indispettito dall’internazionalizzazione di un problema finora relegato a forza entro i confini turchi. Ieri però il segretario Thorbjorn Jgland è stato costretto ad intervenire sulla vicenda: ”Voglio rassicurare tutti quegli uomini e donne che stanno mettendo in pericolo la propria salute e la propria vita, che il Consiglio d’Europa si sta già adoperando perché siano rispettati i diritti umani in Turchia, come ovunque tra i 47 nostri paesi. Gli scioperi della fame in Turchia e a Strasburgo, che vanno ormai avanti da diverse settimane, non solo debilitano persone già molto provate dalla sofferenza, ma ostacolano pure il lavoro del Consiglio d’Europa, in particolare del Comitato perla Prevenzionedella Tortura, cui é stata affidata l’indagine e che sarà molto più efficace se l’organismo sarà in grado di espletare i propri compiti senza subire influenze o pressioni”. Un intervento pretestuoso e offensivo che dimostra quanto la mobilitazione in corso a Strasburgo rappresenti per i poteri forti europei una dolorosa spina nel fianco.

Sui temi al centro della mobilitazione in corso in tutta Europa (a Roma alcuni curdi hanno realizzato uno sciopero della fame dal 15 al 20 marzo), domani alcuni rappresentanti politici del BDP, delle reti di solidarietà attive in vari paesi e delle associazioni dei giuristi democratici terranno una conferenza stampa proprio a Strasburgo. Denunciano i promotori dell’iniziativa: “Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) ha annullato l’11 aprile un incontro con una delegazione degli scioperanti (…) affermando che non può accettare di essere sottoposto a questa pressione. Ci chiediamo allora fino a che punto il popolo kurdo può accettare la pressione e la repressione di ogni spazio politico, culturale, civile e sociale, e perfino sentirsi dare lezioni di democrazia da governi che fingono di non sapere per non inimicarsi la Turchia!”

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