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Crisi: anche gli sloveni, nel loro piccolo, si incazzano

 

Passati gli anni in cui il distacco dalla odiata Jugoslavia sembrava promettere un futuro radioso di crescita e prosperità, i lavoratori sloveni fanno ora i conti con una crisi economica internazionale che i governi locali tentano di gestire obbedendo alle ricette del FMI e dell’UE: tagli al welfare, aumento della precarietà, decurtazioni salariali e pensionistiche ecc.
E così anche in un paese generalmente tranquillo e lontano dai grandi conflitti sociali i lavoratori sono dovuti scendere in campo mandando un segnale forte alle classi dirigenti del piccolo paese alpino. Ieri almeno centomila dipendenti della pubblica amministrazione hanno scioperato per tutto il giorno, in segno di protesta contro le misure lacrime e sangue proposte dal nuovo governo di centro-destra, che puntano, come richiesto dagli organismi internazionali, a ridurre il deficit statale dal 6,5% attuale al 3,5%. Naturalmente operando forti tagli ai salari dei lavoratori, in particolare quelli del settore pubblico. Secondo i media locali e alcuni analisti, quello di ieri è stato il più grande sciopero in Slovenia dall’indipendenza conseguita nel 1991. Per tutto il giorno tutte le scuole e le università del paese sono rimaste chiuse, così come la maggior parte degli uffici pubblici. Sono stati ridotti i servizi ospedalieri e si sono registrati disagi ai confini poiché alla protesta si sono uniti anche i dipendente delle forze di sicurezza e delle dogane. Decine di migliaia le persone che hanno partecipato ai cortei a Lubiana e nelle altre città, un vero record per un paese che conta poco più di 2 milioni di abitanti.
Una risposta di massa all’invito dei sindacati che la dice lunga sul degrado delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori sloveni. «Questo sciopero è un messaggio serio al governo sulla nostra determinazione nella difesa del welfare e dell’istruzione pubblica», ha dichiarato Branimir Strukelj, uno dei leader sindacali che hanno organizzati la protesta. I lavoratori si oppongono in primo luogo all’annuncio della forte riduzione degli stipendi, tra il 7,5 e il 10%, che getterebbe sul lastrico decine di migliaia di famiglie già al limite della sopportazione. Per non parlare del taglio di un miliardo di euro alla spesa pubblica che andrebbe a colpire i servizi, la sanità, l’istruzione, l’assistenza sociale. L’esecutivo manda messaggi concilianti ai sindacati, ma poi ammette di non avere margini di trattativa dovendo rispettare i diktat della Commissione Europea, del Fondo Monetario Internazionale e delle agenzie di rating. Il primo ministro Janez Jansa, in carica da due mesi, considera la riduzione del debito pubblico, che nel 2011 ha raggiunto il 47,6% del Pil – niente a confronto di Italia o Belgio – come uno degli obbiettivi strategici del suo mandato. La riduzione del deficit secondo il ministro dell’economia sarebbe necessaria per stabilizzare le finanze dello Stato e rilanciare l’economia della Slovenia, fortemente basata sull’esportazione di prodotti industriali. «Sono dodicimila le aziende che hanno chiuso o sono sul limite del fallimento, non possiamo permetterci di fare altre pressioni sul settore privato, questo sciopero non risolverà niente, anzi, potrà solo aggravare i problemi» ha commentato il primo ministro, annunciando che il suo governo non intende «inginocchiarsi davanti ai sindacati, come hanno fatto altri in passato». Secondo il quotidiano sloveno ‘ Delo ‘, il governo ha deciso di “spegnere con la benzina” l’ “incendio” causato dalla recessione e dall’indebitamento: i provvedimenti previsti, chiarisce l’articolo, non riducono solo gli stipendi ai lavoratori ma anche molti diritti, quali la maternità e le ferie, e tagliano i sussidi ai disoccupati sempre più numerosi.
Lo sciopero, secondo il quotidiano  sloveno, rappresenta l’inizio di uno “scontro decisivo per il mantenimento del welfare”, perché non si tratta solo di uno sciopero di un gruppo particolare che critica la diminuzione degli stipendi, bensì di una mobilitazione che vuole denunciare che il governo Jansa vuole distruggere il sistema welfare del Paese “obbedendo ai dictat di Bruxelles”.
Una posizione intransigente, quella di Jansa, alla quale i lavoratori sloveni, così come quelli di qualsiasi altro paese europeo, dovranno trovare il modo per rispondere per le rime. I sindacati sloveni hanno già annunciato che altri scioperi sono in programma nel settore pubblico nei prossimi giorni.

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