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Reportage dalla Siria

Sono convinti che in Siria ci sia una cospirazione internazionale e non credono ai media, ai governi di mezzo mondo e all’opposizione siriana che parlano di oltre diecimila persone uccise dall’esercito e da milizie filogovernative. Sono 29 organizzazioni, provenienti da 24 paesi soprattutto non occidentali  (fra cui Turchia, Venezuela, Cuba, Mozambico, Sud Africa, India, Nepal, Giordania, Libano, Brasile, Russia, e anche alcuni paesi europei) e aderenti alle due organizzazioni internazionali World Peace Council (Wpc) e World Federation of Democratic Youth (Wfdy)  che si trovano attualmente in delegazione in Siria (che il 7 maggio va a votare per il nuovo Parlamento).  Una “missione di solidarietà e accertamento dei fatti”:

I delegati

La dichiarazione preparatoria della delegazione spiegava: “Salutiamo i milioni di amanti della pace e giovani in Siria ed esprimiamo la nostra sincera solidarietà alle proteste pacifiche, sociali e genuine e alle giuste richieste di cambiamenti economici, sociali e politici nel paese affinché il popolo sia padrone del proprio futuro. Non accettiamo nessuna delle interferenze politiche o militari in Siria, da parte di Usa, Israele, Nato, accompagnati da Turchia e paesi del Golfo, per la presunta protezione della popolazione civile e dei diritti umani. Chiediamo che non si ripeta il modello libico. Solo il popolo siriano ha il diritto sovrano di decidere sul futuro della Siria”.

Ho chiesto e ottenuto di far parte della delegazione su questa condivisibile base e considerando la presenza di attivisti e giovani da mezzo mondo, che in sé potrebbero veicolare nei rispettivi paesi elementi più precisi circa la propaganda mediatica che ostacola fortemente la ricerca della pace e della riconciliazione in Siria e “giustifica” l’interferenza estera.

E’ parso subito evidente che nella volontà dei partecipanti (in seguito alcune interviste agli stessi) la solidarietà antimperialista è preponderante rispetto all’accertamento dei fatti. Gli incontri, organizzati dalla sezione locale della Wfdy (la Nuss, Unione studentesca siriana), si stendono su soli quattro giorni, si soffermano maggiormente su considerazioni geopolitiche, sono con attori qualificati e riguardano pochi luoghi: Damasco e Lattakia.

Ma quando il bus dei “delegati” si ferma da qualche parte, si avvicinano persone (come all’università di Damasco e a quella di Lattakia) per dire “vi chiediamo di dire la verità nei vostri paesi, basta menzogne”.

A Damasco, primo giorno

Verità è una parola grossa e impegnativa. Più facile cercare di smantellare certe menzogne e notizie fabbricate e distorte. Il primo giorno a Damasco, di mattina, di pomeriggio e di sera abbiamo visto una città normale, tranquilla (secondo chi c’era già stato c’è meno traffico del solito) e senza presenza militare. Eppure  Diago, giovane delegato portoghese, chiamando a casa viene avvertito che l’esercito sta “bombardando Damasco”, perché così riferisce la tivù portoghese. Anche in Italia pare circoli la stessa notizia, relativa ai sobborghi di Damasco. Interrogati, gli accompagnatori locali dicono che probabilmente si tratta dei soliti scontri con “gruppi di terroristi”. Un ragazzo della Nuss che fa da traduttore (si chiama Petros, più o meno, è di famiglia cristiana) ci fa notare che nei quartieri dove siamo passati, il suq, la medina, prima della crisi c’erano più turisti che locali. Adesso nemmeno uno.

I siriani incontrati tengono tutti a condannare la “strumentalizzazione politica della religione” che accompagna la cospirazione internazionale contro la Siria. Ecco brevi resoconti.

Il Gran muftì della Siria, Ahmad Bdrddin Hassoun, nel marmoso e dorato salone della moschea parla di “ingerenze estere che fabbricano la guerra invece di favorire la riconciliazione fra tutte le parti. C’è gente che uccide per denaro, denaro che viene da fuori. Ditelo. Sono armati e ricevono molti soldi. Ma un regime va cambiato in modo pacifico, non con l’uccisione di tante persone in cambio di denaro”. Gli chiedo: “Ma diversi gruppi armati in Siria – e altrove – hanno sempre il nome di Allah sulla bocca”. Risposta: “E’ un uso politico della religione che non si giustifica in alcun modo. La vediamo in Arabia Saudita, in Afghanistan, in tanti posti”. Aggiunge: “E poi come si può uccidere così in nome di Allah?”. Suo figlio è stato ucciso a Lattakia, fuori dall’università, mentre era in macchina.

Il Presidente della Nuss Ammar Saadé ricorda anche che la Siria ha accolto oltre un milione di rifugiati iracheni, per non dire dei palestinesi e libanesi.

Fuori dall’università, tre ragazze con il velo (sono pochissime a Damasco, soprattutto fra le giovani) ci fermano: sono furenti con Al Jazeera e Al Arabyia, dicono che “anche molti siriani si fanno influenzare da questi bugiardi invece di guardarsi intorno”:

In una confusissima riunione dalla pessima acustica peggiorata dal fatto che molti i delegati stavano mangiando (purtroppo in queste delegazioni si dà sempre troppa attenzione al cibo, salvo sprecarne tanto), l un esponente del Partito Comunista (unificato) ha detto fra l’altro che si mira a creare in Siria delle zone tipo Kosovo o Bengasi, dalle quali gruppi armati possano portare attacchi.

L’incontro con il patriarca Hazieem della chiesta mariana avviene in una sala disadorna tipo oratorio, che mi rinfranca per la sua modestia (ma la chiesa che vedremo dopo è invece rilucente ed enorme). Il patriarca ricorda la storia di Paolo sulla via di Damasco e il fatto che qui si radicarono la religione islamica e quella cristiana e che tutte le religioni nelle loro varie suddivisioni qui hanno convissuto per secoli e secoli, e “a Pasqua i musulmani sono venuti a pregare da noi, lo fanno sempre ma quest’anno di più, in segno di solidarietà e pace. Venendo al dunque, parla anche lui di cospirazione, si dice certo che la Siria unita vincerà. “Anche perché abbiamo l’appoggio di paesi amici, i Brics (ndr: tutti qui sembrano contare molto su Brasile Russia Cina India Sudafrica…chissà se hanno ragione), e l’Iran, che non occupano né fanno la guerra a nessun altro paese come invece hanno fatto le potenze occidentali”. Sottolinea che lui le bugie dei media, soprattutto di Al Jazeera e Al Arabiya e dei loro paesi del Golfo “dove non c’è democrazia e pretendono di insegnarla agli altri”. Aggiunge che “la visita del patriarca russo in novembre ci ha molto incoraggiati”. Un delegato chiede “qual è il segreto di questa pacifica convivenza fra religioni in Siria mentre in Libano si sono scannati?”. “In Libano e Giordania la società è, come da noi, multireligiosa, ma alle varie religioni non sono riconosciuti gli stessi diritti”:

Che messaggio vuole dare al vaticano (al quale ha scritto l’altro patriarca, della Chiesa Zaitoun)? Ovviamente non si sbilancia: “Il Baba –papa – si è  pronunciato a pasqua per la pace in Siria. Speriamo che la sua voce sia sempre più decisa contro la cospirazione occidentale. La Siria è la nostra madrepatria, senza la Siria noi cristiani perderemmo tutto”.

 

Reportage da Lattakia

Così è la guerra. Il giorno in cui a Damasco scoppiava una bomba vicino all’ambasciata iraniana, in cui Kofi Annan lamentava la ripresa delle violenze, in cui Obama dichiarava nuove sanzioni controla Siria, l’Iran e “chi li sostiene nell’uso delle tecnologie per colpire i civili”, e in cui l’opposizione al governo denunciava attacchi dell’esercito a Homs e Hama, la delegazione internazionale (“per la pace e l’accertamento dei fatti”) del World Peace Council e della Federazione mondiale della gioventù democratica, con persone da 24 paesi (da Cuba al Sudafrica, da Russia a Mozambico, da Venezuela a Italia ecc) si trovava nella tranquilla città marina di Lattakia,  dove solo l’assenza di turisti faceva pensare a qualcosa di strano. Costa mediterranea, verde, con oliveti, agrumeti. Città con palazzi chiari, mai molto alti.

All’università i docenti si dilungano sulla gratuità degli studi universitari, che costano circa 12 euro l’anno, più le cure mediche gratuite. (e a proposito di stranezze: abbiamo sentito bene ieri?La Sirianon ha debito estero?)

Nel pomeriggio non ci sono tanti studenti all’università. Ma parliamo con alcuni. Cosa succede qui, i media dicono che i giovani siriani protestano e il governo li uccide…Risponde Ali che studia architettura: “Sì…i media – lo sappiamo – dicono che a Lattakia ci sono i carri armati. Dove sono? Avete attraversato la città, no? E dove sono i morti?”. Basma (l’unica ragazza velata che vediamo) conferma. La stessa domanda rivolta al professore Mohammad Moulla della facoltà di Agricoltura ottiene questa risposta: “Ci sono disoccupati che vengono pagati per protestare. Poi certo ci sono difficoltà economiche e con la crisi c’è chi è insoddisfatto, come ovunque credo”.

Passeggiata nel centro della bianca città costiera. Curiosamente solo donne ci fermano. Una tedesca che da 40 anni in Siria gestisce una caffetteria. Suggerisce di andare “al mercato del pesce, non rimanete solo qua in queste strade più benestanti”. Poi dice che agricoltori di sua conoscenza non hanno più il coraggio di andare in campagna per paura di essere rapiti, dopo diversi casi del genere.

Diversi striscioni con le faccione di aspiranti politici; il 7 maggio si vota, con nuovi partiti. Ma gli striscioni non portano i nomi dei partiti, solo quelli dei candidati e magari la loro area. Un esponente del partito comunista ci spiegherà poi che loro sono gli unici a mettere anche il nome e simbolo del partito e il programma, gli altri puntano alla rete di conoscenze territoriali e familiari. Non è chiaro lo stesso.

Vediamo alcune mendicanti, ma non più di una via italiana. Venditori di lotteria, ma non più che in Italia. Poco più in là la signora Nadia ci ferma per dire alla delegata russa “grazie Russia” (per il veto) e agli altri “basta creare problemi e morti in Siria”. Mostra anche un apparecchio che porta sulla pancia, dice che costa tanto eppure l’ha ottenuto gratis. Cento metri più avanti due altre donne incuriosite. Una parla inglese, l’0altra francese. L’anglofona è Jola (“il nome dell’imperatrice Giulia”), dunque cristiana, economista casalinga. Dice che “il punto non sono le elezioni, non adesso almeno. Del resto voi in Italia come state dopo Berlusconi? Il punto è che se finiscono le interferenze esterne di tutti questi paesi, finisce subito tutto e si potrà negoziare. Ma non vedete che a causa della distrazione di noi mediterranei, stanno rovinando tutti questi nostri paesi? Quelli della sponda nord con la finanza e la crisi, quelli della sponda sud con le guerre, come in Libia. Questi gruppi armati, alcuni fra loro sono come la vostra mafia, rapiscono, ammazzano…Poi si parla sempre di Homs ma su Homs ci marciano tutti, sauditi e salafiti e tanti altri”.  E ancora: “la situazione economica è pessima”.

Qui e là gli interlocutori dicono che i disoccupati sono pagati per entrare nell’opposizione. Jola conclude: “Ripeto, se smettono le interferenze si risolve tutto”.

Ricordo quando in Libia dicevano “se la Nato smette di bombardare ci si potrà mettere d’accordo fra noi libici”.  Ma la Nato ha smesso quando è stato il momento.

A proposito: la sera di ritorno a Damasco incontriamo Ahmed Shakter, libico che vive in Siria da 13 anni. E’ in contatto con il milione (dice lui) di libici scappati in Egitto (più gli altri in Algeria e Tunisia).  Non sono rifugiati né vogliono esserlo, sono accampati al Cairo e ad Alessandria in attesa di tornare in Libia, ma adesso non possono per via della persecuzione in atto, dice. A proposito di vittime dei conflitti; sono oltre 400mila gli sfollati interni in Siria a causa degli scontri.

 

 

 

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