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I prigionieri palestinesi non cedono

Non hanno intenzione di cedere ed anzi rilanciano. Lo sciopero della fame intrapreso alla metà di aprile da circa 1.600 prigionieri palestinesi, detenuti in Israele per reati legati all’Intifada, andrà avanti ad oltranza.. Secondo la stampa palestinese due prigionieri – che hanno iniziato lo sciopero della fame circa 70 giorni fa – sono in condizioni preoccupanti di salute. Altri 10 sono stati ricoverati nei giorni scorsi. Il quotidiano israeliano Yediot Ahronot avverte che si sta creando una situazione esplosiva, che rischia di uscire di controllo se uno dei detenuti dovesse morire. In un comunicato diffuso la scorsa notte, citato stamane con grande evidenza dalla stampa nei Territori Palestinesi , i dirigenti della protesta smentiscono che negli ultimi giorni si siano registrati progressi nella vertenza con le autorità israeliane e ribadiscono di essere determinati a portare avanti a oltranza la propria protesta. I detenuti esigono, fra l’altro, la revoca immediata dell’ isolamento imposto ad alcuni dei loro dirigenti; la ripresa delle visite ai detenuti i cui familiari risiedono a Gaza; la possibilità di seguire corsi scolastici a vario livello e programmi informativi alla televisione; l’abolizione degli arresti amministrativi. L’agenzia Nena News riferisce che Riyad Mansour, rappresentante dell’Olp all’Onu, avverte in una lettera inviata al Palazzo di Vetro che dieci detenuti sono stati portati in ospedale per l’aggravarsi delle loro condizioni. I più gravi sono Thaer Halahla e Bilal Diab che giovedì erano in aula, davanti ai tre giudici della Corte Suprema di Israele chiamati ad esaminare l’appello per la loro scarcerazione immediata presentato dal loro avvocato. Deboli dopo oltre 60 giorni di sciopero della fame, i due prigionieri politici avevano seguito l’udienza sulla sedia a rotelle. Diab ad un certo punto ha avuto un malore ed è stato portato d’urgenza all’ospedale. «La detenzione amministrativa è una morte lenta», ha detto ai giudici Halahla, in prigione da 22 mesi senza mai aver subito un processo. «Voglio vivere la mia vita con dignità. Ho una moglie e una figlia e desidero stare con loro. Per questa ragione sto facendo lo sciopero della fame, non ho altra scelta», ha aggiunto. I famigliari di Diab e Halahla speravano in una decisione immediata ma i giudici israeliani daranno una risposta solo la prossima settimana. “Sono inorridito per le continue violazioni dei diritti umani nelle prigioni israeliane”, ha commentato l’ex relatore dell’Onu Richard Falk, richiamando il governo Netanyahu al rispetto del diritto internazionale.

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