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Grecia, laboratorio antiliberista europeo

Un paese europeo è stato fatto a pezzi senza riguardi, guardando solo al suo peso economico irrilevante (2% del Pil europeo). Ne è rimasta frantumata la rappresentanza politica, senza far emergere però un’alternativa seria. Ora le perplessità arrivano anche nelle teste che fin qui hanno appoggiato senza riserve la governance europea. Vediamo dunque una breve panoramica di articoli apparsi oggi sui giornali, cominciando dall’insospettabile Sole 24 Ore.

  

Vassilis Primikiris: «Fallito il dogmatismo neoliberale»

Vittorio Da Rold

«Il dogmatismo neoliberale ha fallito e la Grecia è stata un laboratorio di questo esperimento», dice nel suo ufficio ad Atene, Vassilis Primikiris, 60 anni, membro del comitato centrale della segreteria di Syriza, il partito della sinistra radicale che è diventata la seconda formazione greca con il 16,8% dei voti e 52 deputati dal 4,6% del 2009. Un balzo che ha quadruplicato i voti dei sostenitori della formazione.

«Il peso della crisi è stato trasferito dai mercati sulle spalle del mondo del lavoro e dello stato sociale, per smantellare le conquiste ottenute nei Paesi mediterranei con le lotte operaie. La Grecia ha svolto il ruolo di cavia in questo esperimento», spiega tranquillo dopo una notte insonne passata a scrutare i risultati elettorali che hanno cambiato il panorama politico greco. Appeso alla parete, alle sue spalle, campeggia un enorme manifesto di Rifondazione comunista, «partito amico», spiega.

«Noi non abbiamo un progetto di centro-sinistra alla Prodi o D’Alema ma un progetto di alternativa di sinistra. Per questo la gente, stanca dell’alternanza di Nea Dimokratia e Pasok, ci ha votato in massa e ora assistiamo alla fine del bipartitismo, seguita dalla fine del bipolarismo anglosassone. Inoltre con il voto di domenica abbiamo inviato un messaggio alla Merkel e a quelli che come lei hanno voluto l’austerità come unica risposta alla crisi». È diretto e senza fronzoli e ammette di aver pescato voti tra i delusi di destra e di sinistra.

Il giorno dopo il terremoto politico che ha messo all’angolo i due partiti maggiori greci, il conservatore di Nea Dimokratia e il socialista del Pasok, Syriza festeggia e spera di andare al voto entro un mese.

«Abbiamo con il partito comunista ellenico Kke e la sinistra democratica più del 33%, più di quanto il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, ottenne con il partito comunista italiano; mi permetto di osservare che se il Pd italiano non cambia rotta in fretta farà la stessa fine del Pasok greco. Infine sono sicuro che andremo a breve al voto e saremo il primo partito di Grecia».

Chiediamo cosa farebbero se fossero al Governo. «Non rispetteremmo il piano di salvataggio e le misure di austerità connesse e volute da Bruxelles e Fmi; nazionalizzeremmo le banche e, infine, cambieremmo il fisco per mettere fine all’evasione fiscale di massa che fa pesare tutto il carico su dipendenti e pensionati e alla legislazione favorevole agli armatori», spiega in sintesi ricordando che trova scandaloso che né la Commissione né il Parlamento europeo abbia mai trovato il tempo di occuparsi seriamente della crisi economica, delegando il tutto all’ex duo Merkozy.

La questione di fondo del voto di domenica è che la gente appoggia «il rovesciamento immediato delle politiche di austerità» e una revisione del piano di salvataggio finché non esisterà una soluzione europea, per la cancellazione di una grande parte del debito, con «condizioni simili alla regolazione per la cancellazione del debito tedesco nel 1953, dove era prevista una clausola di sviluppo per il saldo del debito rimanente».
Quanto all’Eurozona, questo progetto «finirà presto». Un progetto che ha previsto che la Grecia diventasse «un Paese senza industria e per sole vacanze». Sui prestiti Ue-Fmi, fa notare che dei 185 miliardi di euro messi in campo «non un euro finora è finito nell’economia reale, tutti i fondi arrivati sono stati destinati a salvare le banche greche che un tempo avevano conquistato i Balcani».

 

da La Stampa

Grecia, veti incrociati:  spunta il tecnico

TONIA MASTROBUONI
inviata ad atene

E se alla guida della Grecia tornasse di nuovo un tecnico? Oggi toccherà ad Alexis Tzipras, il leader della federazione di sinistra Syriza, vera sorpresa di questa tornata elettorale, l’onere di tentare di mettere in piedi il nuovo governo dopo il risultato di domenica. Ieri sera il leader dei conservatori di Nuova Democrazia (Nd), Antonis Samaras, ha rimesso il mandato nelle mani del presidente della Repubblica, Karolis Papoulas, che lo aveva incaricato in mattinata di formare l’esecutivo: «Abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere ma non ci siamo riusciti», ha dichiarato Samaras al termine di una lunga giornata di incontri. Nd è il primo partito, con il 18,8% dei voti presi (che corrispondono a 108 deputati grazie a un generosissimo premio di maggioranza di 50 seggi) e dunque al suo leader è toccato fare il primo tentativo.

Il problema è che, essendo il Pasok scivolato per la prima volta nella sua storia al terzo posto con il 13,18%, conquistando soltanto 49 seggi in Parlamento, la «grande coalizione» che aveva retto finora l’esecutivo guidato dal tecnico Papademos, non è riproponibile senza un terzo partito. Mancano due deputati ai socialisti di Nuova Democrazia per raggiungere la maggioranza: sono 149 su 300. Qualcuno scommette in uno sbocco ancora una volta tecnico delle consultazioni di questi giorni. Gira addirittura già un nome per un esecutivo di «salvezza nazionale», dopo i fallimenti dei tre leader. Premier potrebbe diventare l’economista anglogreco Vasilis Markezinis. Ieri, intanto, Samaras ha incassato un «no» da Syriza e un tattico «forse» dal numero uno del Pasok, Evangelos Venizelos. Anche dal partito conservatore dei Greci indipendenti (10,6%, 33 seggi) nato da una costola del Nd, è arrivato un rifiuto.

Il leader, Panos Kammones, ex avversario storico di Samaras, è stato espulso per non aver rifiutato l’ultimo memorandum, a febbraio. Non ha voluto neanche incontrare Samaras. E non sono stati invitati alle consultazioni, per ovvi motivi, i neonazisti di Alba dorata che con il loro incredibile 6,97% manderanno ben 21 deputati in Parlamento. Indisponibili anche i comunisti del Kke, mentre Fotis Kouvelis, il capo di Sinistra democratica (6,11%, 19 seggi) che è contrario al memorandum, ma non vuole l’uscita dall’euro, negli ultimissimi giorni di campagna elettorale ha mandato segnali di apertura nei confronti della grande coalizione. E potrebbe essere lui il deus ex machina di queste trattative. Facile fare pronostici su cosa accadrà nei prossimi sei giorni: da oggi Tsipras avrà l’incarico e tenterà di convincere il Kke e Sinistra democratica a formare il governo. Il rifiuto netto dei comunisti costringerà anche il leader della sinistra radicale alla resa: successivamente toccherà al capo del Pasok, Venizelos, di fare un tentativo, che dovrebbe andare ugualmente storto.

Al momento è difficile, del resto, favorire convergenze tra i partiti tradizionali, Nd e Pasok e le altre formazioni, letteralmente esplose in virtù di una campagna elettorale totalmente polarizzata sulle posizioni «pro» e «contro» i memorandum imposti dall’Europa in cambio dei mega salvataggi. È evidente, ad esempio, il travaso dei voti dal Pasok, il partito-simbolo dei sacrifici cominciati nel 2009, alla sinistra di Syriza, alla Sinistra indipendente e ad altre formazioni di sinistra radicale e dichiaratamente contrarie all’austerity (ma non ai comunisti del Kke che pagano invece la loro indisponibilità storica a fare alleanze con altri partiti di sinistra). È altrettanto chiaro che il Laos, il partito di estrema destra, che non ha superato la soglia di sbarramento del 3% ed è dunque sparito del Parlamento, sconta l’appoggio iniziale al governo Papademos. Si è «macchiato» di una posizione temporaneamente pro-austerity ed è stato spazzato via dai greci.

Che gli hanno preferito il partito neonazista di Alba dorata, guidato da un invasato come Nicos Michaloliakos che ha approfittato ieri della prima conferenza stampa per insultare i giornalisti, dopo che un energumeno del suo partito aveva già intimato ai cronisti di alzarsi in piedi per salutare degnamente il capo neonazista. Uno scenario possibile è che il presidente Papoulas convochi tutti i partiti e tenti di nuovo un governo di emergenza. Che dovrebbe riuscire a mettere insieme Pasok, Nuova democrazia e Sinistra indipendente. E affinché nessuno si sporchi troppo le mani con i sacrifici chiesti dall’Europa potrebbe essere di nuovo chiamato un tecnico a guidare l’esecutivo. Altrimenti, Papoulas sarà costretto a indire nuove elezioni. Con un piede nel baratro.

 

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1 Commento


  • cinzia serra

    La crisi, sebbene risulti ormai banale ripeterlo, va pagata da chi l’ha determinata. Mercati, banche e finanza hanno vilmente cercato di farla pagare a proletari e sottoproletari con la violenza del terrore, con la minaccia e il ricatto. un popolo in catene prima o poi troverà la forza di ribellarsi. è la storia dell’umanità.
    Il voto in Grecia ed in Italia è stata espressione fragorosa di questi popoli ,che ridotti in miseria e vilmente privati del sogno di un futuro, hanno scelto altro. Hanno disperatamente punito col l’unico strumento a loro disposizione, il voto, un potere di destra che rimanda alle mente un periodo buio di cui si portano ancora le cicatrici. Il fascismo del duce e quello dei colonelli. La fame. La moria dei bambini. L’ignoranza. La paura. La guerra mondiale. Hiroshima.
    Oggi, come ieri, le fabbriche chiudono. Il governo taglia lo stato sociale. Il sindacato sta a guardare, cercando di salvaguardare equilibri con Confindustria e governo.
    Ieri si è finalmente detto no all’austerità, ma consapevolmente o inconsapevolmente si è detto no al capitalismo, a questo sistema economico che devasta uomo e Terra.
    Un sistema che è guerra dall’alto verso il basso. Guerra di conquista, occupazione, sfruttamento.
    Un sistema che divide e fomenta la distruzione della solidarietà sociale e delle conquiste popolari e proletarie, distrugge le basi della vita, presenti e future, affermando la sopravvivenza del modello mercantile di produzione e di consumismo della modernità del capitale.
    Ieri sono stati puniti tutti quei partiti che hanno appoggiato ed agevolato la macelleria sociale del governo Monti, che sono complici coscienti dei licenziamenti collettivi, della riforma del mercato del lavoro che ci ha ricatapultati a fine ‘800 in termini di condizioni lavorative, che tace quando la Fiat mette alla porte il sindacato e lascia i lavoratori senza rappresentanza in balia dei padroni, che vota tagli a quei servizi primari quali sanità ed istruzione ed elargisce soldi alle banche che indirettamente stabiliscono attraverso le agenzie di rating le medagliette ai vari Stati arrivando a superare la stessa sovranità popolare costituzionalmente riconosciuta e garantita.
    Il pd starnazza che il voto in Italia è simile a quello francese, con la sua solita malafede perché se una similitudine si vuole trovare, allora sarebbe onesto guardare verso la Grecia e cercare di capirne i motivi. cinzia serra

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