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Bahrein. Gli Usa riarmano il monarca

«Gli Usa danno alle forze di sicurezza (bahranite, ndr) visori notturni a raggi infrarossi e dicono che non verranno usati contro i dimostranti? Ci credono degli stupidi?». Lo sfogo via twitter di Maryam al Khawaja è più che giustificato. Figlia dell’attivista dei diritti umani, Abdelhadi al Khawaja da tre mesi in sciopero della fame in carcere e ancora vivo solo perché occasionalmente alimentato contro la sua volontà dai medici governativi -, Maryam come gran parte della sua gente ha accolto con rabbia l’annuncio della ripresa «limitata» di armamenti americani fatto venerdì da Victoria Nuland, la portavoce del Dipartimento di stato.
«Gli Usa devono chiedere il rispetto dei diritti umani e politici e non dare armi al Bahrain», ha incalzato la giovane, più volte arrestata assieme alla sorella Zeinab durante manifestazioni e raduni. Frasi del tipo «Non daremo strumenti antisommossa, come i gas lacromogeni e le granate assordanti», sono state prese come un insulto da quei bahraniti che, a causa anche alle armi Usa in possesso dei reparti speciali della polizia, hanno visto uccidere o ferire un famigliare o un amico.
I morti sino ad oggi sono stati una novantina, dicono le opposizioni, un numero ben più alto di quello ammesso dalle autorità e anche di quello riferito da alcuni centri per i diritti umani. «Non vengono conteggiate le morti provocate dai gas lacrimogeni sparati dagli agenti in spazi chiusi e nelle abitazioni, non sono lacrimogeni ma gas letali», spiega la giornalista Reem al Khalifa. La rivolta comunque non si placa. A rilanciarla sono state le proteste avvenute durante il Gran Premio che si è tenuto il mese scorso sul circuto bahranita di Sakhir che la monarchia ha voluto a tutti i costi, strappando l’approvazione dell’accomodante patron della Formula Uno Bernie Ecclestone. Re Hamad bin Isa al Khalifa con la F1 voleva dimostrare che il suo paese è tornato alla normalità dopo un anno di scontri, morti e feriti. Invece ha ottenuto il risultato opposto.
Anche ieri la polizia di questo minuscolo regno del Golfo ha usato la mano pesante per disperdere marce e manifestazioni. Alcuni dimostranti sono rimasti feriti. Lo scorso anno l’Amministrazione Obama aveva deciso di congelare forniture di armi al Bahrain per oltre 50 milioni di dollari, sull’onda dello sdegno generato dalla repressione (aiutata dalle truppe saudite entrate nel paese) attuata dalle forze di sicurezza contro il movimento per i diritti e l’uguaglianza nato il 14 febbraio dello scorso anno in Piazza della Perla. Movimento formato in maggioranza da sciiti – discriminati dalla minoranza sunnita al potere e legata alla monarchia – cosa che ha offerto a re Hamad il pretesto per denunciare la rivolta come un «complotto» iraniano. L’annuncio della ripresa delle forniture di armi è giunto, non a caso, durante la visita a Washington del principe ereditario bahranita Salman bin Hamad al Khalifa che ha incontrato il vicepresidente Joe Biden e il Segretario alla difesa Leon Panetta.
Gli Usa presto daranno a Manama una nave da guerra, alcune motovedette e motori per i caccia F-16. Nuland ha precisato che rimane il blocco, per il momento, sulle forniture di missili di ultima generazione Tow e delle potenti jeep militari Humvees, che potrebbero essere usate contro i manifestanti. Il Bahrain era e resta un alleato strategico degli Usa che hanno nel piccolo regno la base della V Flotta, incaricata di tenere sotto controllo (e sotto tiro) i «nemici» iraniani. Per questa ragione Victoria Nuland ha spiegato che la ripresa delle forniture di armi rientra «negli interessi di difesa nazionale» degli Stati Uniti.
I diritti dei bahraniti invece non rientrano negli interessi americani.

 
da “il manifesto”

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