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L’interim al triste Pikramenos, greci al voto il 17 giugno. Sotto ricatto

 

Alla fine non sono serviti tutti i tentativi del presidente della Repubblica greco di mettere d’accordo i partiti greci e di dare un governo ‘responsabile’ – cioè supino ai diktat dell’UE – al paese, e quindi i greci saranno di nuovo chiamati al voto il prossimo 17 giugno. Nel frattempo, dopo il no dell’ex premier Papademos alla richiesta di prolungare il suo mandato di qualche altra settimana per svolgere gli affari correnti, il presidente Papoulias ha nominato primo ministro ad interim il giudice Panagiotis Pikramenos (un cognome che rimanda alla tristezza!), che in queste ore sta varando la lista dei “ministri a tempo” e questa sera giurerà sulla Costituzione.

Lunedì o martedì verrà sciolto il Parlamento appena eletto, e inizierà ufficialmente una campagna elettorale che in realtà già impazza dalla scorsa settimana. E che ora sta assumendo toni apocalittici, minacciosi, esasperati.
Le prossime «saranno elezioni storiche, sul futuro del Paese e del popolo», ha detto ieri il torvo presidente della Commissione Europea, il portoghese Barroso, ricordando come sia «importante» che i cittadini «prendano le loro decisioni pienamente informate delle conseguenze delle loro decisioni». 

La stampa greca e quella internazionale prendono di mira in particolare la sinistra radicale e il suo leader Tsipras, che avrebbe “costretto” il popolo greco ad andare di nuovo a elezioni mettendo così il paese a rischio di fallimento per pura ambizione personale. Che una certa dose di ambizione caratterizzi in questa fase l’azione del giovane leader della Sinistra Radicale appare scontato: due domeniche fa il suo movimento è salito dal 4 al 17%, diventando il secondo partito e l’ago della bilancia del panorama politico nazionale. Ma la sua posizione è stata il frutto di un ampio dibattito che ha attraversato la base della confederazione tra gruppi socialisti, ecologisti, femministi, maoisti e trozkisti che compongono la coalizione che dice no ai memorandum a base di tagli, licenziamenti e privatizzazioni firmati negli ultimi anni senza colpo ferire da socialisti, conservatori ed estrema destra. “Non metteremo la nostra firma sulle misure di povertà e miseria” ha detto ieri Tsipras uscendo dal colloquio con Papoulias, e non stupisce che i sondaggi prevedano una ulteriore forte ascesa elettorale del suo movimento.
In base a quale logica avrebbe dovuto accettare di rendere Syriza complice di un governo di emergenza varato al solo scopo di applicare l’ultima tranche di macelleria sociale che l’Unione Europea e il FMI raccomandano per concedere nuovi aiuti e sprofondare ancora di più il paese nel baratro? Non lo ha potuto fare, pur volendolo, il suo ex compagno di partito Kouvelis, che di fronte alla prospettiva di scomparire dal panorama politico in conseguenza di quello che sarebbe stato considerato un tradimento dai suoi elettori non se l’è sentita di sostenere un governo con gli odiati Pasok e Nuova Democrazia.

Suonano ridicole le accuse del leader socialista che punta l’indice contro Syriza, “che ha messo i propri interessi di parte al di sopra di quelli nazionali”. Gli interessi nazionali, occorrerebbe ricordare all’ex ministro dell’economia, non erano così importanti quando il suo governo svendeva il paese alle multinazionali tedesche o britanniche…

Ma oggi è il giorno dell’apocalisse: i quotidiani greci fanno propaganda per un voto di stabilità, che impedisca l’espulsione dall’eurozona e salvi il paese dal fallimento – ammesso che sia troppo tardi, aggiungono – e quelli italiani mettono l’accento sul panico che ha colto ‘i greci’, descritti come impegnati in lunghe file fuori dalle banche per ritirare i loro risparmi. Chi conosce la Grecia sa che i normali cittadini, i lavoratori e i pensionati hanno ben poco da ritirare dai loro conti correnti, e anche le cifre finora fornite sembrano quanto meno gonfiate. Sarebbero finora circa 800 i milioni di euro che i greci appartenenti per lo più alle classi medie avrebbero – ma il condizionale è d’obbligo – ritirato dalle loro banche negli ultimi tre giorni nel timore che un’imminente uscita della Grecia dall’eurozona possa bruciarli. Cifre che, in ogni caso, rappresentano circa lo 0,5% del totale dei depositi bancari nel paese. Qualcuno, ad Atene, dovrebbe spiegare ai direttori di giornale e agli apprendisti stregoni dell’Unione Europea che diffondere il panico in un paese così svilito e aggredito non è proprio una mossa azzeccata.

Il gioco – alla quale partecipano anche i media italiani, secondo i quali se la Grecia fallisce gli italiani saranno quelli che pagheranno di più nell’Unione Europea – è abbastanza scoperto: avete voluto votare contro i partiti filo-troika? Ora imparate.

Ma la dicotomia indicata da analisti e politici – voto ai partiti ‘responsabili’ oppure il baratro, il default – non regge. Se anche la Grecia uscisse dall’euro e decidesse di non pagare parte del proprio debito non sarebbe la tragedia che gli interessati commentari prevedono: la fiorente economia dell’Argentina o dell’Islanda stanno lì ad indicarlo. E comunque molti, moltissimi greci non hanno granché da perdere.
La propaganda catastrofista che sta ora bombardando i cittadini di Atene potrebbe rivelarsi un inatteso boomerang. Almeno è ciò che auspichiamo.

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