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Ban Ki Moon scopre, un anno dopo, che in Siria c’è al Qaeda

A oltre un anno dall’inizio della rivolta in Siria contro il regime di Bashar al-Assad, su una cosa, adesso, sembrano d’accordo tutti: al-Qaeda si trova nel paese ed è responsabile del duplice attentato di Damasco del 10 maggio scorso. Il primo a parlare, ieri, della presenza in Siria – «allarmante e preoccupante» dei fondamentalisti islamici, è stato il segretario generale delle Nazioni unite, Ban Kimoon. Anche Ahmad Fawzi portavoce dell’inviato speciale dell’Onu e della Lega araba sulla crisi siriana, Kofi Annan -, ha evocato la presenza di un «terzo elemento» che pesa in Siria, oltre all’opposizione e al governo. Per Fawzi, vi sono segni di «attività, incidenti, esplosioni che sembrano provenire da fonti diverse rispetto a quelle dell’opposizione o del governo. È da verificare, bisogna essere molto prudenti», ha aggiunto.

Ieri, le autorità di Damasco hanno consegnato all’Onu una lista di 10 «terroristi stranieri uccisi di recente» nel paese. La lista, consegnata dal rappresentante siriano all’Onu, Ibrahim Jaafari, riguarderebbe egiziani, algerini, tunisini e sauditi, e anche un francese e un britannico. Otto di questi, dice la lista, sono penetrati illegalmente in Siria dalla Turchia, mentre gli altri due sono entrati dal Libano. I dieci «sono stati uccisi mentre compivano attacchi contro l’esercito siriano». Della presenza di al-Qaeda in Siria, il regime di al-Assad e la diplomazia russa, hanno parlato da mesi. Nei giorni scorsi, anche il Direttore della National Intelligence degli Stati uniti, James R. Clapper, in una testimonianza davanti al Senate Armed Services Committee ha sostenuto che una «filiale irachena di al-Qaeda sembra essersi infiltrata nei gruppi di opposizione siriani ed è probabilmente responsabile dei recenti attentati suicidi a Damasco».
Già lo scorso 2 marzo, il premier iracheno Nuri al-Maliki aveva lanciato un allarme del genere, parlando dell’invio di terroristi dall’Iraq verso la Siria ad opera di al-Qaeda: l’organizzazione islamica – aveva affermato al Maliki al quotidiano saudita Okaz – «ha iniziato a spostarsi dall’Iraq in Siria, e forse poi si muoverà dalla Siria verso un altro paese, come la Libia, l’Egitto o in qualsiasi altra parte dove non ci sia stabilità e il governo non abbia il controllo della situazione. Solo ieri – aveva aggiunto – la Siria si riteneva al sicuro dal rischio terrorismo mentre oggi è al centro di questo problema». Per evitare il traffico d’armi fra i due paesi, l’Iraq aveva perciò rafforzato i controlli al confine con la Siria. Al riguardo, si era fatto sentire anche l’Esercito siriano libero (Esl) dell’opposizione, smentendo collusioni con alQaeda, come invece sostengono molti analisti. Il ruolo di al-Qaeda in Siria sembra confermato dai siti jihadisti considerati autentici. Il 26 febbraio scorso, un video di un minuto e mezzo ha mostrato un gruppo di soldati dell’Esl, disertori dall’esercito regolare, che annunciava la nascita di una brigata kamikaze a Homs. E il 26 aprile, un altro video-documentario ha rivendicato gli attentati compiuti ad Aleppo il 10 febbraio (25 persone uccise altre 200 ferite). Il filmato, di 13 minuti, dal titolo «Vendetta per la gente di Homs», mostrava il testamento in video di due kamikaze, che si erano fatti esplodere con due autobombe contro la sede della sicurezza e dei servizi segreti della città. In un primo momento, l’attentato era stato rivendicato dall’Esl, in seguito da una cellula jihadista denominata Fronte di Salvezza. Ieri, le forze di sicurezza siriane hanno sventato un attentato con un’auto imbottita di 600 kg di esplosivo nell’est del paese.
«La violenza è in aumento – ha dichiarato il capo della missione degli osservatori delle Nazioni unite, il generale Robert Mood – se tutti gli attori, interni ed esterni, non lasciano al dialogo un’opportunità, non basteranno gli osservatori». I mediatori, già 260, in poche settimane diventeranno 300, secondo il piano di pace messo a punto da Kofi Annan, atteso «presto» a Damasco. Il mandato Onu scade il 21 luglio, ma gli occidentali non sembrano intenzionati a rinnovarlo. Intanto, ieri si è svolta ad Aleppo una grande manifestazione contro il regime con il solito corredo di violenze e accuse reciproche fra governo e dimostranti. Sul fronte dell’opposizione all’estero, il Consiglio nazionale siriano ha annunciato che, entro un mese, indirà elezioni interne per sostituire il leader dimissionario, Bourhan Ghalioun.

Da ‘Il Manifesto’ tramite ‘NenaNews’

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