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I desaparecidos dell’Honduras: 20 omicidi al giorno

 

L’Honduras è, insieme alla Colombia ed il Messico, uno dei tre Paesi accusati di portare avanti ancor oggi la scomparsa forzata di persone in America Latina. Si tratta di una situazione particolarmente preoccupante perché diverse organizzazioni locali denunciano come gli omicidi per motivi politici sono all’ordine del giorno.

Un caso emblematico è quello di Alfredo Villatoro, il capo redazione di radio HRN dell’Honduras , che è stato trovato morto con due colpi di pistola al capo lo scorso 15 maggio. La vittima era vestito con la divisa della polizia Cobra. Villatoro si aggiunge alla lista nera di 25 giornalisti morti da quando Porfirio Lobo si insediò, dopo contestate elezioni, il 27 gennaio 2010.

Se teniamo in conto altri fattori, come il narcotraffico e la situazione sociale, dovremo ricordare che l’Honduras è classificato dalle Nazioni Unite al primo posto nel mondo per omicidi, registrando un morto per motivi violenti ogni 74 minuti. La cifra viene sostenuta da una recente ricerca dell’Università Nazionale Autonoma di Honduras che ha tenuto conto dei 7401 persone uccise nel 2011, equivalente a 19,46 persone al giorno. Quanto sappiamo in Italia di questa tragedia?

Comunque non è facile parlare di troppi numeri, quando dietro ogni caso c’è una storia personale unica e irrepetibile. Per questo la scorsa settimana abbiamo intervistato un’attivista in Honduras, che ha preferito mantenere l’anonimato:

“Nelle ultime settimane sono stati assassinati molti dirigenti del Frente (NdR: Frente Nacional de Resistencia Popular) e molti altri per la loro lotta in difesa del territorio, oltre che giornalisti e persone della comunità LGTB. Sempre in queste ultime settimane sono aumentati notevolmente gli arresti, gli sgomberi e altri atti di repressione contro chi non sta con il regime”. A questo proposito, vale la pena di ricordare l’omicidio di Erick Martínez, un altro giornalista nonché dirigente della comunità gay.

Una delle zone più colpite dalla repressione è il Bajo Aguan, sulla costa pacifica dell’Honduras, da dove Yukai Ebisuno e Raffaella Mantegazza hanno girato un breve ma significativo documentario “Honduras sin derechos” (Honduras senza diritti), sottotitolato in italiano.

In questa zona, la terra continua ad essere un argomento centrale, soprattutto perché ci sono popolazione precolombiane convinte che la terra non appartiene al uomo, ma è l’uomo che appartiene alla terra. Lo scorso 5 giugno, in coincidenza con la Giornata Mondiale dell’Ambiente, organizzazioni delle popolazioni indigene e nere dell’Honduras hanno manifestato contro la mercificazione delle risorse naturali, l’accaparramento di terre e la cosiddetta “economia verde”. Queste organizzazione pensano che si può fare un connubio fra la difesa della giustizia sociale e ambientale, la quale, a loro parere, viene costantemente attaccata e aggredita da una piccola elite di potere nazionale e dal grande capitale multinazionale.

Sempre sulla terra, lo scorso primo giugno hanno indetto una manifestazione raccontata in questo articolo tradotto da Davide Grandis.


Honduras – Grande mobilitazione contadina in difesa del diritto alla terra

Bajo Aguàn continua la minaccia di sfratto massivo

di Giorgio Trucchi – Rel-UITA

Migliaia di contadini accompagnati da organizzazioni popolari, sociali e sindacali della Valle del Aguàn si sono mobilitati il giorno 1 di Giugno nella città di Tocoa, rifiutando le minacce lanciate dal latifondista e produttore di palma africana Miguel Facussè Barjum, di sfrattare diverse tenute che sono oggetto di negoziazione con il governo e che sono in possesso del Movimiento Unificado Campesino del Aguàn (MUCA). Si esige di compimento degli accordi firmati con il governo nel 2010 e l’approvazione del progetto della legge di Trasformazione Agraria Integrale presentata l’anno passato al Congresso Nazionale.
La situazione del Bajo Aguàn potrebbe diventare esplosiva nei prossimi giorni, dopo che i delegati del Gruppo Dinant presentarono oggi davanti alla Segreteria di Sicurezza una richiesta per riattivare l’ordine di sfratto di almeno sette tenute – circa 4 mila ettari -, oggetto della negoziazione e degli accordi con il governo dal Giugno dell’anno passato, dove sono insediate migliaia di famiglie contadine affiliate al MUCA .

Inoltre la dirigenza del MUCA ha deciso ieri di chiedere più tempo al governo per poter analizzare con la base contadina il piano di negoziazione presentato all’ultimo minuto dall’Istituto Nazionale Agrario (INA), la cui approvazione è condizione per poter proseguire con gli accordi.

“E`impressionante vedere il numero di persone arrivate a Tocoa per manifestare il deciso rifiuto alle minacce di Facussè, che ora sembrano essere appoggiate anche dall’INA”, disse Yoni Rivas, segretario generale del MUCA.

Rivas etichettò come “irresponsabili” le dichiarazioni della massima autorità dell’INA ai media nazionali, dove dichiara che, al non firmare, il MUCA si troverà fuori da qualsiasi tipo di accordo e quindi, esposto a quello che potrà succedere.

“E`una brutale manipolazione della verità perché non possiamo firmare qualcosa che non abbiamo discusso con la base. In questo senso abbiamo chiesto più tempo, ma c’è stato negato. Inoltre – continuò Rivas – stiamo esigendo il complimento degli accordi del 2010 e l’approvazione nel Congresso del progetto di legge di Legge di Trasformazione Agraria Integrale”.

Il dirigente contadino assicura che con questa mobilitazione si è dimostrato che la Valle del Aguàn vuole giustizia e esige una giusta ripartizione della terra. “Siamo preoccupati per quello che potrà succedere nei prossimi giorni. Fin da ora allertiamo la comunità internazionale e le organizzazioni internazionali dei diritti umani perché mantengano alta l’attenzione su quello che potrebbe succedere”, concluse Rivas.

Anche per Esly Banegas, del Coordinamento di Organizzazioni Popolari del Aguàn (COPA) e dirigente regionale del Sindacato de trabajadores del Instituto Nacional Agrario (SITRAINA), la mobilitazione di oggi è un segnale chiaro della volontà della gente di non lasciarsi intimidire dalle minacce.

“La gente ha reagito ed è venuta ad appoggiare questa lotta, rafforzando l’unità della popolazione. Non possiamo permettere che continuino le violazioni dei diritti umani e che si calpesti il diritto delle famiglie contadine all’accesso alla terra”, sottolineò Banegas.

Secondo varie organizzazioni e reti internazionali, tra queste la Rel-UITA – che nei giorni passati convocarono un Udienza pubblica e un Seminario internazionale sulla situazione dei diritti umani nelle comunità contadine – nel Bajo Aguàn c’è una mancanza assoluta delle istituzioni e regna l’impunità.

La mancanza di accesso alla terra, la promozione della monocultura della palma africana su grande scala, la militarizzazione del territorio e l’assenza dello stato sono elementi di un conflitto agrario che ha lasciato, ad oggi, un saldo di 48 contadini organizzati uccisi in meno di tre anni.

*http://www.anordestdiche.com

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