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Argentina. Implacabili nonne, un esempio per il mondo

 e altri 8 imputati per il “furto” dalle loro madri e genitori (poi generalmente assassinati) di 35 delle centinaia di neonati “rubati” durante la dittatura militare del ’76-’83. Di più, un giorno memorabile, «per l’Argentina e per tutto il mondo civilizzato consapevole che in un paese in cui non c’è giustizia, non può esserci democrazia«, ha detto, dopo la sentenza, Estela Carlotto, la leader delle Abuelas de la Plaza de Mayo, ancora alla ricerca del nipote Guido, il figlio di sua figlia desaparecida Laura regalato a chissà chi. CONTINUA|PAGINA7 La giustizia implica la memoria. La storia dimostra che spesso non è così e in nome della «riconciliazione nazionale», molte volte finisce con il trionfo del perverso binomio «amnesia-amnistia» (nella Spagna della troppo mitizzata transizione “morbida” dal franchismo alla democrazia, nel Brasile dove Lula in otto anni non ha voluto/potuto riaprire il dossier del terrorismo di stato del regime militare, nel Cile dove l’infame Pinochet è morto nel suo letto).
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Ni olvido, ni perdón: castigo era – è – lo slogan implacabile che in questi 35 anni ha mosso le indomabili Madri e Nonne argentine nella ricerca dei loro figli desaparecidos, dei loro nipoti “rubati” e nell’esigere giustizia contro i colpevoli. No all’oblio, l’oblio con cui il corrottissimo presidente Menem giustificò l’indulto ai 9 caporioni delle tre giunte militari, condannati nel processo dell’85; no al perdono, il perdono che i genocidi potranno chiedere al loro dio in nome della “Argentina occidentale e cristiana” da edificare sullo sterminio di una generazione e 30 mila desaparecidos, e che vescovi e preti (salvo poche e onorevoli eccezioni) concedevano a piene mani ai killer e torturatori; sì alla giustizia e al castigo, che, grazie alle Madri e alle Nonne divenute simbolo per l’umanità (anche se al contrario di Obama non hanno avuto mai il Nobel per la pace), e grazie ai Kirchner, prima Néstor poi Cristina, arrivati alla Casa rosada nel 2003, hanno colpito in modo sempre più inesorabile molti dei genocidi di allora.
Ora tocca di nuovo a Videla, che dopo l’ergastolo per altri crimini di lesa umanità, si è beccato altri 50 anni (ha 86 anni, c’è da augurargli una lunga vita). Con lui, il primo capo della giunta dopo il golpe del ’76, condannati il generale Reynaldo Bignone, l’ultimo capo del regime prima del crollo dell’83 (15 anni); il marinaio Antonio Vanek, ex attaché a Washington (40 anni); Jorge Eduardo Acosta, uno dei capi del lager dell’Esma, el Tigre Acosta a cui piaceva sentire il rumore delle ossa delle sue vittime che si spezzavano durante le torture (30 años); il generale Santiago Riveros, quello che negava l’esistenza di desaparecidos, «erano solo terroristi annientati in una guerra rivoluzionaria e quindi irregolare« (20 anni, che questa volta dovrà scontare al contrario dell’ergastolo in contumacia comminatogli nel processo del 2000 in Italia); Victor Gallo, capitano dell’esercito che “si appropriò” di un neonato a cui poi le Nonne hanno restituito identità e nome veri, Francisco Madariaga, presente in aula (15 anni); Juan Antonio Azic, del centro di intelligence Esma (14 anni); Jorge Magnacco, ostetrico della “sala parto” per le detenute dell’Esma (10 anni); Susana Inés Colombo, ex moglie di Victor Gallo (5 anni).
La giustizia e il castigo ci hanno messo molto ad arrivare. Fu nel ’96, ancora durante la mefitica euforia menemista dell’Argentina da bere – “pizza con champagne” e parità dollaro-peso – che Estela Carlotto e altre sei Nonne presentarono una denuncia per 35 casi di bebè “rubati” alla nascita e “regalati” (o venduti) a chissà chi, spesso agli stessi carnefici e torturatori dei genitori biologici. La denuncia era per “sottrazione, ritenzione, occultamento, sostituzione di identità di minori”. Ci sono voluti 16 anni ma alla fine la giustizia e il castigo sono arrivati. «Il mondo deve conoscere il piano sistematico per rubare i nostri nipoti», ha detto Estela Carlotto, che ha lamentato la mitezza delle pene per gli imputati minori ma ha esultato per due punti specifici sanciti dalla sentenza: il pieno riconoscimento di quel «piano sistematico» (ipotesi respinta nel primo processo contro Videla) e la fattispecie del “sequestro” per le altre centinaia di “nipoti” non ancora ritrovati dalle Nonne, reato quindi che ancora continua e, come quelli di «genocidio contro una parte della popolazione argentina», non può andare in prescrizione.
In aula, oltre alle Madri e alle Nonne, c’erano molti dei “nipoti” rubati che hanno ritrovato la loro storia (qualche rara volta anche qualcuno dei loro genitori veri) dopo un atroce percorso giudiziario ma soprattutto psichico. Le Abuelas ne hanno ritrovati finora 105 ma calcolano che ne manchino ancora all’appello 4 o 500 (il “piano sistematico”…). Non si fermeranno: ni olvido, ni perdón. Inseguiranno i colpevoli della guerra sucia anche sotto le spoglie di genitori posticci e ladri, fino all’inferno. Senza tregua. Daranno un esempio al mondo. Queste sono le “guerre umanitarie” che piacciono a noi.
 
da “il manifesto”

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