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La battagliera solitudine dei minatori spagnoli

 

Dopo un mese e mezzo di mobilitazione permanente e di sciopero è tempo per i minatori spagnoli di fare un bilancio. L’immagine dei 300 minatori accolti a Madrid da quasi 200 mila persone ha già fatto il giro del mondo, e si sta convertendo già in una delle icone della protesta contro la gestione della crisi capitalistica da parte dei governi occidentali. Ma l’exploit di Madrid va letto attentamente, rifuggendo da facili entusiasmi.

La solidarietà attiva nei confronti dei minatori non è certo mancata, in particolare nelle comunità del nord del paese – Asturie in particolare – dove questi rappresentano da sempre il settore della classe operaia più attivo, più combattivo e più benvoluto. Nel clima stantio – politicamente ma anche socialmente parlando – degli ultimi mesi la lotta dei lavoratori delle miniere ha riattivato il dibattito sulla risposta da dare alle politiche di ‘austerity’ e ha suscitato la solidarietà di settori poco attivi e disorientati da una situazione che appare sempre più tragica ma senza sbocchi politici immediati.
Ma in moltissimi casi si è trattato, al di fuori delle loro comunità, di una solidarietà non attiva, di un sostegno ideale, di una sorta di tifo, la cui passività non è sfuggita a quei minatori che in queste settimane hanno più volte ribadito il loro appello affinché tutti i settori colpiti dai provvedimenti draconiani di Rajoy passassero all’azione, alla lotta, alla protesta di strada. In questi giorni un interessante e ben fatto documentario sulla lotta dei minatori asturiani, di Raul Gallego Abellan, sta facendo il giro del mondo. In “Dietro la maschera dei minatori” su un sottofondo di gaitas celtiche o di scoppi e scoppi di petardi e razzi, i minatori con le facce coperte dai passamontagna raccontano la loro lotta. “Come è possibile che per salvare le banche il governo trovi decine di miliardi e non i pochi milioni che servirebbero a salvare le miniere?” domanda uno. “Stanno aspettando che ci scappi il morto. Noi difendiamo il nostro posto di lavoro, lottiamo per il pane, e lo faremo utilizzando tutti i mezzi a nostra disposizione” chiarisce un altro. “Con una manifestazione pacifica non si ottiene niente: ti concedono due ore, ti fanno sfilare in mezzo al nulla circondati dagli agenti, e tutto finisce lì” spiega un altro ancora, mentre sfilano le immagini dei minatori che lanciano razzi e pietre contro i poliziotti in quella che è una guerriglia che da tempo non si vedeva nelle strade del nostro continente. “Perché la popolazione non reagisce di fronte ai tagli nell’istruzione, nella sanità, nel pubblico impiego?” chiede un minatore, dando voce a una domanda non certo peregrina per chi oltre a una estesa solidarietà ideale non vede altri settori di popolazione scendere in strada. “Contro il capitalismo da soli non possiamo farcela”.

Alcune organizzazioni della sinistra radicale attive nei diversi territori dello Stato Spagnolo hanno fatto proprio e rilanciato lo slogan “fare come i minatori” ma senza grandi risultati sul piano del conflitto. Non è bastato neanche un appello firmato da una lunga lista di noti e influenti intellettuali e artisti di tutto lo Stato a smuovere settori sociali ancora ripiegati su se stessi. Ha pesato sicuramente il fatto che dietro la mobilitazione dei lavoratori delle miniere ci fossero i sindacati concertativi Ugt e Comisiones Obreras (tranne nelle Asturie dove è forte la presenza della Corrente Sindacale Di Sinistra), dai quali è aumentata negli ultimi anni la distanza della variegata sinistra radicale e di alcuni movimenti sociali. In particolare di quel movimento dei cosiddetti ‘indignados’ che da molti è stato in maniera poco accorta contrapposto a quello dei minatori. Paradossalmente i contenuti ‘radicali’ del movimento di contestazione noto come ’15M’, nonostante si manifestasse anche in maniera indipendente e conflittuale nei confronti dell’establishment e della stessa sinistra ufficiale, sono stati spesso espressi in maniera ingenua, poco contundente e soprattutto attraverso denunce e mobilitazioni simboliche sull’onda di un dogma della ‘non violenza’ sempre meno attuale. Al contrario la vertenza dei minatori, accompagnata dalle direzioni di sindacati spesso collusi con i socialisti, hanno apertamente contestato le compatibilità capitaliste e i meccanismi di subordinazione ai diktat della troika. Adottando inoltre forme di lotta durissime in nome dell’utilizzo di tutti i mezzi necessari, e scontrandosi con una repressione selvaggia e senza precedenti. Alla denuncia spesso etica o morale degli ‘indignados’ i lavoratori hanno contrapposto una ribellione frontale, a partire dalle proprie condizioni di vita e da una tradizione di lotta che annovera la ormai mitologica insurrezione del 1934.
Una divaricazione e una contraddizione che interrogano tutti i movimenti anticapitalisti del continente. E che andranno ricomposte al più presto, se i settori in lotta vorranno dare una risposta forte e unitaria ad un attacco senza precedenti e non contingente, in Spagna e non solo.

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