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Non fu la Siria ad abbattere il caccia turco

 

Il dittatore siriano Assad aveva quasi chiesto scusa al regime di Ankara per aver abbattuto – ma solo per errore perché scambiato per un caccia israeliano – un aereo militare turco lo scorso 22 giugno. Un episodio che aveva fatto salire alle stelle la tensione tra i due paesi, con la Turchia che approfittando del ‘casus belli’ aveva mobilitate le truppe corazzate e migliaia di soldati alla frontiera con la Siria, pronta a far scattare l’invasione con la scusa di creare una zona cuscinetto allo scopo di risolvere una emergenza umanitaria tutta virtuale. Il premier nazionalista e islamico Erdogan aveva addirittura chiesto l’intervento diretto della Nato, spalleggiato da alcuni partner dell’Alleanza Atlantica ma, per fortuna, non da tutti. Naturalmente anche il ministro italiano Terzi aveva spalleggiato Ankara pronunciando parole di fuoco contro la vile aggressione siriana alla Turchia. Peccato che quel caccia F-4 turco non sia stato affatto abbattuto dalla contraerea siriana. La notizia era stata anticipata l’altro ieri dal quotidiano turco Taraf e da altri media, e ieri è stata alla fine confermata nientemeno che dallo Stato Maggiore turco. “Gli esami sui rottami del velivolo escludono la possibilità che sia stato abbattuto da armi antiaeree, come sostiene la Siria” affermano i militare turchi in un comunicato. Chi ha quindi abbattuto il caccia non è dato sapere, almeno per ora.
Sfumata l’occasione di poter sfruttare l’episodio dell’aereo turco ora tutta l’attenzione delle cancellerie occidentali e regionali è puntata sulla strage di Tremseh. Secondo l’opposizione siriana – e quindi naturalmente tutti i grandi media internazionali – la “più grande mai commessa dal regime siriano dall’inizio della rivolta”. Massacro in nome della quale i governi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti spingono per nuove e più draconiane sanzioni contro Damasco. Peccato che alcune fonti della stessa opposizione abbiano rivelato che la maggior parte dei morti di Tremseh – il numero delle vittime cambia a seconda della versione, da 150 a 200 – siano per la stragrande maggioranza combattenti delle milizie ribelli che avrebbero avuto la peggio dopo aver attaccato un convoglio dell’esercito regolare. Solo una quindicina di vittime sarebbero civili colpiti dal tiro incrociato. La propaganda del governo è meno precisa e l’utilizzo delle consuete formule stereotipate – “attacco di terroristi in combutta con i media assetati di sangue che vogliono spingere l’Onu a intervenire” – diventa controproducente. 

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