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La Turchia processa gli avvocati di Ocalan

E’ entrato oggi nel vivo il processo iniziato ieri a Istanbul contro 46 avvocati, accusati dal regime turco di sostenere il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, messo all’indice da Ankara – ma anche da UE e USA – come organizzazione terroristica.
In particolare, i 46 legali – arrestati in una megaoperazione di polizia alla fine dello scorso novembre – sono accusati di aver tenuto in collegamento con la guerriglia il fondatore e leader storico del Pkk, Abdullah Ocalan, imprigionato da anni in completo isolamento nell’isola prigione di Imrali.
Ieri all’apertura del procedimento giudiziario erano presenti delegazioni di associazioni di avvocati provenienti da Germania, Inghilterra, Francia, Olanda e Svezia. Il loro ingresso nella sala dell’udienza ha subito notevoli ritardi a causa delle imponenti misure di sicurezza e questo ha provocato un aumento della tensione in sala. Gli avvocati stranieri si sono presentati in toga manifestando la loro solidarietà con i loro colleghi curdi imputati per terrorismo, e hanno

denunciato la sistematica violazione da parte della Turchia delle libertà fondamentali e dei diritti della difesa.
Oggi invece uno degli avvocati imputati ha chiesto alla corte che al processo possa partecipare e deporre anche lo stesso Ocalan. Una proposta appoggiata anche dal Bdp, il Partito per la democrazia e la pace, forza politica che raccoglie milioni di voti curdi e che nonostante sia rappresentato in parlamento e governi centinaia di città del Kurdistan viene sottoposto ad una feroce repressione e vive di fatto al margine della legalità. “Siamo i legali di Abdullah Ocalan – ha detto l’avvocato Dogan Erbas – Aver incontrato il nostro assistito è stato interpretato come un crimine nell’atto di accusa. Ma come sanno tutte le persone che appartengono alle istituzioni, gli incontri erano permessi e si svolgevano sotto il controllo dello Stato. Se questo vuole essere un giusto processo, Ocalan deve venire in aula e testimoniare. Si tratta dell’unico testimone dei nostri incontri”. Gli imputati al processo sono 50: 46 avvocati, 3 assistenti e un giornalista. Sette di loro rischiano da 15 a 22 e mezzo anni di carcere, perché accusati di essere importanti dirigenti dell’organizzazione clandestina. Gli altri 43, come semplici membri, rischiano comunque da sette anni e mezzo a 15 anni.
Due settimane fa, durante un incontro definito “storico” dai media turchi, la rappresentante della sinistra curda Leyla Zana ha chiesto al premier Erdogan di riprendere il dialogo interrotto nel 2009. Ma Ankara non sembra intenzionata a porre fine ad una repressione su tutti i fronti che anzi sta incrementando. Attualmente i processi contro il KCK, l’Unione delle comunità curde, un fronte politico-sociale curdo attivo soprattutto nelle grandi città, vedono alla sbarra centinaia di persone fra cui amministratori locali, iscritti e dirigenti del Bdp, intellettuali, giornalisti e studenti.
Sul fronte della persecuzione del popolo curdo da citare i novanta anni di carcere chiesti dalla magistratura per tre giovani membri del Partito Democratico Socialista (SDP) di Mersin. I tre ragazzi (due di 19 e l’altro di 20 anni) sono accusati semplicemente di aver celebrato la giornata del Newroz, il capodanno zoroastriano diventato nei tempi moderni la festa nazionale curda, “sotto istruzioni da parte dell’organizzazione KCK (Unione delle Comunità Kurde)”. L’atto d’accusa del pubblico ministero cita le canzoni curde e i post pubblicati sui profili di Facebook dei tre ragazzi come prova che questi facevano propaganda per il KCK. I tre studenti sono anche accusati di aver lanciato pietre e bottiglie molotov contro la polizia durante le celebrazioni del Newroz a Mersin, il 20 marzo scorso. 

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