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Siria. I soliti “rischi” del dopoguerra

Si può naturalmente non condividere in tutto o in parte il suo punto di vista, ma lo scenario interno è ricostruito con cura.
Per quanto ci riguarda, notiamo una continuità di tempi e metodi nell’offensiva occidentale contro i regimi mediorientali “non allineati” con gli interessi Usa. E l’obiettivo – con buona pace di Repubblica e dei tanti cantori della “democrazia alle porte” – sembra essere semplicemente quello della disintegrazione politica di tutti questi stati. L’obiettivo economico è sempre lo stesso: controllare le risorse, in particolare gli idrocarburi, i due terzi delle quali sono all’interno del Golfo Persico.
Quello politico segue la stessa logica. Eliminare i possibili competitor dell’unica potenza regionale totalmente affidabile per Washington: Israele.

 

Rischio caos nel dopo regime

Alberto Negri – Il Sole 24 ore   Proviamo a guardare oltre la cronaca drammatica di Damasco: prima la domanda era “se” il regime siriano sarebbe caduto, adesso ci si chiede “quando” accadrà e soprattutto “come”. Il dopo Assad preoccupa forse ancora più del presente, con una guerra civile piombata nel cuore della capitale e nei centri nevralgici del potere. La compagine dei fedelissimi intorno a Bashar Assad si assottiglia, si moltiplicano le defezioni dei generali e si affaccia un interrogativo inquietante: cosa faranno dopo di lui gli alauiti, la minoranza al potere che sta combattendo una battaglia per la sopravvivenza? Chi sono gli alauiti siriani? La cerchia del potere, dove spicca il fratello Maher capo delle forze speciali, conta più di quanto non fosse per suo padre Hafez e non è da escludere che si possa arrivare a un “colpo di palazzo” o una sua esautorazione se questo servisse a salvaguardare una parte del regime. Alla domanda se era ottimista o pessimista sulla tenuta del sistema un esponente degli apparati di sicurezza interrogato una decina di giorni fa a Damasco mi ha risposto: «Ottimista al 25 per cento», quindi assai pessimista. Se il regime crolla è possibile che il mosaico siriano, composto da sette etnie diverse, sia destinato a implodere. Il sistema Assad ha un vizio d’origine: si è formato con i colpi di Stato del partito socialista e panarabo Baath ma quando Hafez è salito al potere da solo, negli anni ’70, è diventato quasi un monopolio degli alauiti, il 10% circa della popolazione. Questa setta di ispirazione musulmana sciita fondata prima dell’anno Mille è sempre stata considerata eretica dalla maggioranza sunnita al punto che gli alauiti per secoli sono stati perseguitati ed emarginati. Questa è una delle ragioni dell’alleanza di Damasco con l’Iran: sono stati gli ayatollah sciiti a legittimarli come musulmani a pieno titolo. La sconfitta degli Assad per gli alauiti è una tragedia epocale, per questo potrebbero essere disposti a combattere fino all’ultimo e a difendere le roccaforti dove hanno espulso i sunniti. La guerra civile può continuare dopo la caduta di Assad se non ci sarà un compromesso tra il vecchio regime e gli ipotetici vincitori. Il problema è stato proprio la mancanza di leadership di Bashar emersa nei primi momenti della rivolta quando apparve silenzioso ed esitante nell’affrontare gli eventi. La differenza con il padre Hafez è spiccata. Nella Siria di Hafez non c’era dubbio chi fosse il capo, in questa repubblica ereditaria il ritratto del figlio è affiancato a quello del padre come per compensare la perdita di autorità. Bashar aveva sollevato grandi speranze di rinnovamento ma Fouad Ajami nel suo libro sulla rivolta siriana sostiene che questo è stato l’equivoco intorno a Bashar: lui voleva modernizzare il sistema non riformarlo. Se Hafez comandava, Bashar appare soltanto come il primo decisore e si è affidato alla cerchia di famigliari e accoliti. Il padre era così autorevole che poteva dosare la repressione perché si basava sul consenso che gli attribuivano le varie comunità, dall’élite sunnita alle minoranze cristiane, druse, sciite, ismailite, curde. Bashar ha dovuto costantemente mediare tra i rapporti di forza che si stabilivano ai vertici lasciando campo libero ai massacratori che hanno lacerato la Siria. È chiaro che se la maggioranza sunnita vincerà senza limiti e sarà guidata dai Fratelli Musulmani le reazioni saranno quasi inevitabili. Dopo avere subito tante stragi, gli islamici – ma non solo loro – annusano l’odore del sangue di una vendetta che covano da decenni. Per questo un’uscita di scena di Bashar e dei suoi può contribuire a un compromesso. Ma senza una svolta diplomatica la famosa transizione guidata evocata dall’Onu è destinata ad allungare la lista delle illusioni e dei fallimenti mediorientali.

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1 Commento


  • Rex

    Al di là di acrobazie geopolitiche è sconcertante che la sinistra e il movimento pacifista non dica nulla dei massacri quotidiani perpetrati da Assad ogni giorno. Quando non sono gli USA i Israele a sparare i morti innocenti non fanno notizia ?

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