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Avances iraniane, prudenza egiziana

E’un’iniziativa diplomatica ad ampio raggio quella che i dirigenti iraniani portano avanti, in Medio Oriente e nel resto del mondo, per dimostrare che il Paese non è isolato, nonostante le forti pressioni occidentali. Iniziativa che non può non includere un recupero delle relazioni con l’Egitto, compromesse da decenni, e un miglioramento di quelle con i principali avversari nel Golfo: i regnanti sauditi.
I risultati per ora sono modesti. Nonostante l’impegno iraniano, la partecipazione del presidente egiziano Mohammad Morsi al prossimo summit del Movimento dei non-Allineati (Mna) in Iran non pare destinata a sfociare nella ripresa dei rapporti diplomatici tra il Cairo e Tehran, interrotti nel 1980 dagli iraniani in segno di protesta per la firma degli accordi di Camp David (1979) tra Egitto e Israele. Dopo la rivoluzione anti-Mubarak del 2011 si sono registrati segnali di disgelo, alimentati anche dal favore per una ripresa dei rapporti espresso un anno fa dall’ex ministro degli esteri egiziano Nabil el Arabi (ora segretario generale della Lega araba) e da correnti nei Fratelli musulmani sostenitrici di alleanze tra paesi islamici. E il sì di Morsi, esponente di punta della Fratellanza, all’invito a recarsi a Tehran è apparso in linea con queste tendenze.
Non è passata inosservata inoltre la proposta fatta da Morsi il 17 agosto, al vertice dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (Oci) alla Mecca, di una iniziativa a quattro – Egitto, Arabia saudita, Turchia e Iran – per dare una soluzione politica alla guerra civile siriana. Ora invece il Cairo getta acqua gelata sull’ipotesi di un rilancio delle relazioni diplomatiche. Il portavoce di Morsi, Yasser Ali, ha escluso una ripresa in tempi stretti dei rapporti con l’Iran.
«La questione è fuori discussione per il momento», ha detto Ali al quotidiano saudita al Sharq al Awsat . A quanto pare Morsi il 30 agosto non rimarrà a Tehran più di qualche ora. Ben più lunga, quasi due giorni, sarà invece la visita del presidente egiziano in Cina. Il passo indietro del Cairo appare collegato anche alla natura dei rapporti tra i Fratelli musulmani e l’Arabia saudita, paese che con il Qatar si sta facendo garante della stabilità finanziaria dell’Egitto da tempo alle prese con un forte calo delle riserve di valuta pregiata.
Le avances all’Iran hanno fatto scattare l’allarme a Riyadh che non ha tardato a chiedere spiegazioni ai nuovi dominatori della scena politica egiziana. Non deve perciò ingannare il caloroso benvenuto ricevuto a metà agosto dal presidente iraniano Mahmud Ahmadi Nejad al vertice dell’Oci. Mentre re Abdallah illustrava il progetto per la fondazione di un centro per il dialogo tra sunniti e sciiti, in quello stesso momento i media sauditi rinnovavano le accuse all’Iran, a partire da quella di «espansionismo», in riferimento alle presunte attività di Tehran a sostegno delle proteste sciite nelle regioni orientali dell’Arabia saudita e in Bahrain.
Due settimane prima, l’opinionista del quotidiano Okaz Abdullah Sultan, megafono della monarchia, era addirittura tornato indietro alla sconfitta persiana di Qadisiyyah nel 633 per spiegare l’animosità che, a suo dire, gli iraniani avrebbero da sempre nei confronti degli arabi. «Loro (i persiani) non hanno mai dimenticato quella sconfitta e hanno sempre pensato a vendicarsi. Generazione dopo generazione hanno lavorato in segreto contro gli arabi. E ora diffondendo la loro dottrina sciita vogliono distruggere l’Islam», ha scritto Sultan che, evidentemente, per Islam intende solo il sunnismo. Un altro commentatore, Abdullatif Aal Sheikh, del giornale al Jazirah , ha lanciato un avvertimento: «Se i mullah iraniani credono di poter penetrare le regioni arabe attraverso l’estremismo sciita, i sunniti potranno fare lo stesso in Iran e con effetti ancora più devastanti». Avvertimenti e accuse che rivelano il timore che l’Arabia saudita e le altre petromonarchie del Golfo nutrono verso la crescente potenza militare, politica ed economica dell’Iran.
Il riconoscimento, a malincuore, di questo stutus è venuto proprio dall’accoglienza che re Abdallah ha dato al «serpente» Ahmadi Nejad che, da parte sua, ha usato toni morbidi durante i lavori dell’Oci, nonostante la risoluzione finale abbia sancito la sospensione della Siria, alleata di Tehran, dalla conferenza islamica.
«La rivalità tra questi due paesi detentori delle maggiori riserve di petrolio del pianeta è destinata a rimanere intatta – prevede l’analista arabo Mouin Rabbani – i sauditi continueranno a sostenere in ogni modo i ribelli siriani e gli iraniani che non faranno mancare il loro appoggio agli sciiti sauditi e a quelli del Bahrain. Sono due realtà islamiche molto diverse, che guardano al mondo in modo diverso e difficilmente potranno trovare un compromesso», prevede l’analista arabo Mouin Rabbani.

da “il manifesto”

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