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Mursi, sguardo ad Oriente

Grandi passi per l’Egitto del Presidente Mursi che esce dalle diatribe casalinghe, non solo accademiche su Parlamento e Carta Costituzionale il cui futuro resta tuttora in sospeso, e affronta due nodi che possono diventare scorsoi per il suo schieramento e la nazione: economia e politica estera. Il Capo di Stato dopo aver ricevuto nei giorni scorsi Christine Lagarde del Fondo Monetario Internazionale per pattuire finanziamenti del potente organismo finanziario occidentale, è volato in Cina avviando definitivamente un pacchetto d’investimenti e scambi col secondo gigante dell’economia globale. I cinesi già nell’ultima fase dell’epoca Mubarak avevano in Egitto un giro d’affari di 6.2 miliardi di dollari, ora supereranno i 9 miliardi preventivati lo scorso anno. Di questa cifra 1.5 miliardi rappresentano l’export del Cairo verso Oriente, il resto sono importazioni. Quest’ultime saranno copiose per un pacchetto d’investimenti diviso fra: costruzione di centrali elettriche nell’Alto Egitto, impianti di dissalazione, ampliamento della rete Internet. Nel settore trasporti è in programma un treno ad alta velocità per collegare la capitale ad Alessandria, senza nessun timore d’impatto ambientale, non ne parlano né il governo islamico né tantomeno i costruttori cinesi.

Ottanta businessmen partecipano alla copiosa delegazione, non è noto se fra loro sono presenti i tycoon apparsi sulla scena politica negli ultimi mesi (gli imprenditori della Fratellanza Al-Shater e Malek, il copto Sawiris, il mubarakiano Shafiq). Certo è che l’accelerazione degli accordi di scambio economico con la Cina costituiscono un’abile mossa di Mursi che esce dalle congetture parolaie offrendo una concreta sponda ad alcuni bisogni nazionali, e mostra all’Occidente (e alle petromonarchie saudita e qatarina) ulteriori chances per l’approvvigionamento di beni e servizi. Naturalmente bisognerà pagare tutte queste commesse, dunque i denari promessi dal FMI e dai fratelli-coltelli del Golfo serviranno, tutta l’economia del Paese spera in un rilancio. Quel che occorre scongiurare è un moto di sola propaganda, che senza fatti produrrebbe frustrazione e ribellione. Nell’affrontare la prima tappa d’impegni internazionali che ne affollano l’agenda politica Mursi ha presentato uno staff di assistenti e consiglieri, 21 persone scelte con criterio abbastanza trasversale. Abbastanza, perché il cardine del gruppo è rappresentato da sei membri del Partito della Libertà e Giustizia (in testa il veterano Essam Al-Erian) o vicini a esso come l’economista e imprenditore Mohamed Al-Qazaz.

Più tre uomini di sponda salafita, fra cui Alam Al-Din che ha recentemente rifiutato la proposta del premier Qandil di dirigere il ministero dell’Ambiente. Presenti comunque anche personalità liberali: l’anchorman televisivo Al-Leitly, volto di punta del canale satellitare Mehwar il cui proprietario Rateb era un attivo esponente del disciolto National Democratic Party. Quindi i famosi giornalisti Goweida e Al-Sayyad, i professori Abdul Fatah e Ahmed Omran, il nasseriano Al-Dawla. E ancora tre donne e due note figure del mondo copto: lo scrittore Al-Awa critico verso la Fratellanza e Habib che è invece interno al Partito della Libertà e Giustizia addirittura con l’incarico di vicepresidente. Quel che manca a un reale mix pluralista è almeno una figura del movimento rivoluzionario laico, e non è chiaro se anche stavolta a isolarsi siano stati i leader di Tahrir o se la Confraternita voglia ignorarli ed esclude qualsiasi contatto con loro. In base ad alcune dichiarazioni seguite all’accettazione dell’incarico dai due noti giornalisti – che si dichiarano collaborativi verso la proposta Mursi seppure il proprio ruolo “risulti non chiaro” – qualche cattivo pensiero è corso attorno all’iniziativa presidenziale. Alcuni analisti l’hanno bollata come la foglia di fico democratica che cela il vero motore della politica nazionale saldamente in mano islamica.

Gli altri passi rivolti a Oriente del Capo di Stato egiziano riguardano la partecipazione al summit del Movimento dei Non Allineati, in corso a Teheran, dove Mursi giungerà giovedì prossimo. Forse anche lui sarà condotto, come sta accadendo a molti leader presenti, all’interno dei siti nucleari di Parchin e Natanz. Perché Ahmadinejad coglie la ghiotta occasione per rompere l’isolamento politico-economico cui l’Iran è sottoposto per le sanzioni americane contro il presunto arricchimento dell’uranio per scopi di armamento nucleare. Cui s’aggiunge la cortina occidentale e delle sue alleanze sparse nel mondo per il sostegno che gli ayatollah continuano a offrire ad Asad. Proprio sulla rovente questione siriana il Cairo ha lanciato l’idea un po’ pazza, un po’ presuntuosa ma avvincente: un tavolo di discussione fra le potenze regionali (Turchia, Arabia Saudita, Iran e naturalmente Egitto) per trovare una via d’uscita alla sempre più devastante crisi del Paese mediorientale martoriato dalla guerra civile. Decidere in vece di Usa, Russia, Cina e Unione Europea sarà difficile ma intanto Mursi col sorriso sornione ci prova e si prende la scena.

Enrico Campofreda, 28 agosto 2012

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