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Sudafrica: 270 minatori accusati di omicidio. Grazie a una legge dell’apartheid

I 270 minatori della miniera di platino di Marikana, arrestati lo scorso 16 agosto mentre la Polizia trucidava a colpi di mitra 34 loro colleghi, sono stati accusati di omicidio e verranno quindi processati. La Bbc riferisce che il portavoce della National Prosecuting Authority (Npa), Frank Lesenyego, ha spiegato che l’accusa di omicidio riguarda tutti i 270 lavoratori arrestati, compresi coloro che erano disarmati o che si trovavano ai margini della folla che si confrontò con la polizia.

In base ad una assurda legge varata e spesso applicata ai tempi del regime razzista contro i movimenti popolari e politici dell’opposizione in base alla quale sono da considerarsi colpevoli tutti coloro che partecipino ad una manifestazione o siano presenti nel luogo in cui avvengano scontri con la presenza di esponenti delle forze di sicurezza. Un reato collettivo, quindi, contestato al di là della responsabilità personale e del ruolo avuto in un particolare crimine… E’ stato ancora Lesenyego a spiegare agli attoniti giornalisti stranieri che l’accusa è stata formulata in base al principio della common purpose, “nel quale le persone sono accusate di avere uno scopo comune in una situazione in cui vi sono dei sospettati in possesso di armi, essi si scontrano o attaccano la polizia, ne segue una sparatoria e vi sono delle vittime”.

Agghiacciante. Soprattutto considerando il fatto che gli agenti di Polizia che spararono a lungo contro un gruppo di lavoratori armati solo di bastoni e di qualche machete trucidandone 34 per ora non sono stati né inquisiti né sospesi, e verranno eventualmente giudicati da un tribunale interno agli apparati di sicurezza.

Sei dei 270 minatori arrestati sono ancora in ospedale dopo essere stati feriti il 16 agosto dai colpi sparati dai poliziotti che difendevano la multinazionale Lonmin. Alcune centinaia di persone si sono intanto radunate fuori dal tribunale di Ga Rankuwa, nei pressi della capitale Pretoria, per chiedere l’immediato rilascio degli accusati. A gettare benzina sul fuoco l’esito dell’autopsia realizzata sui corpi dei 34 minatori massacrati a Marikana, alcuni dei quali uccisi a colpi di pistola sparati alla schiena mentre fuggivano, a bruciapelo, senza possibilità di difendersi.

”Il giorno della sparatoria, la polizia ha iniziato a negoziare con loro fin dal mattino, per chiedergli di posare le armi. Quando si sono rifiutati, si e’ deciso di disperdere la folla”, ha testimoniato in tribunale il generale di brigata che coordina una delle commissioni d’inchiesta sul massacro. ”Non agivano affatto da scioperanti, si muovevano come una formazione militare”, ha aggiunto per giustificare l’operato dei suoi uomini. Intanto, l’organismo di vigilanza del governo, l’Independent Police Investigative Directorate, ha fatto sapere di aver ricevuto oltre 200 denunce da parte dei minatori arrestati che denunciano di esser stati aggrediti o abusati da quando sono stati rinchiusi in carcere.

Nel frattempo la protesta dei minatori per migliori condizioni di lavoro e per l’aumento dei salari continua: a centinaia sono pronti a proseguire lo sciopero mentre solo il 7% dei 28 mila dipendenti si è presentato oggi nei pozzi di proprietà della Lonmin. L’azienda, che estrae a Marikana il 96% del platino prodotto nel paese, è stata costretta a chiudere l’attività tre settimane fa a causa delle proteste e degli scioperi. La strage di Marikana non ha fermato il conflitto ma sembra anzi aver convinto i sindacati a rimanere fermi sulle proprie richieste continuando la mobilitazione fino a quando non saranno accolte dalle multinazionale.

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