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Marikana: no dei minatori all’accordo firmato dal ‘sindacato maggioritario’

Due giorni fa le catene di sant’Antonio dell’informazione internazionale avevano titolato senza dubbi: ‘raggiunto l’accordo a Marikana’. Un sospiro di sollievo, apparentemente, per le multinazionali che guardano con sempre maggiore preoccupazione al risorgere del conflitto operaio in Sudafrica. E per chi, anche a sinistra, spera che le crepe apertesi nel governo del grande paese africano e nel sistema di consenso sociale sul quale ha potuto contare finora non si allarghino troppo. E così la notizia che i sindacati avevano firmato finalmente una sorta di accordo con la direzione della multinazionale britannica Lonmin mettendo fine a mesi di scioperi, scontri e tensioni, era rimbalzata praticamente su tutti i media. Tutto risolto quindi…

Ma poi i lettori più attenti e curiosi hanno potuto leggere altre notizie che smentivano l’ottimismo diffuso a pieno web poche ore prima. Come mai se i sindacati hanno raggiunto un accordo con la Lonmin sulle proprie rivendicazioni salariali e sul miglioramento delle condizioni di vita, ieri solo il 2% dei dipendenti della miniera di Marikana si erano presentati al lavoro? Perché l’accordo in questione è stato firmato esclusivamente da Num (l’Unione nazionale dei minatori, accusata sempre più spesso di difendere gli interessi degli imprenditori più che quelli dei lavoratori).

Quell’accordo non è piaciuto ad altri sindacati, tra i quali l’Amcu e il Numsa, accusati dai dirigenti del Num di essere manovrati se non addirittura  finanziati dalle multinazionali. Anche la Association of Mineworkers and Construction Union (AMCU) e la National Union Mineworkers of South Africa (NUMSA), fanno parte, insieme al Num, della confederazione sindacale Congress of South African Trade Unions (COSATU), ma sono sostenitori dell’ala di sinistra del Segretario Generale Zwelinzima Vavi, sotto attacco da parte della direzione dell’African National Congress (ANC) e del Presidente Zuma per la sua politica conflittuale contro le multinazionali, che Vavi definisce “rappresentanti dell’apartheid economica”.

Ma neanche molti delegati eletti direttamente dai minatori hanno voluto siglare l’intesa, che quindi è rimasta lettera morta buona per la propaganda della Lonmin e dei media.

Teoricamente il Num è in sindacato maggioritario nel settore o, come si direbbe in Italia dove si hanno di problemi simili, quello ‘maggiormente rappresentativo’. Ma a guardare i numeri e i fatti la realtà smentisce categorie e giudizi che andrebbero evidentemente rivisti.

“Non possiamo firmare questa cosa – ha dichiarato Zolisa Bodlani, rappresentante dei delegati espressi dai lavoratori non iscritti ai sindacati – se firmassimo dovremmo tornare al lavoro, ma sappiamo che non é ciò che vogliono i lavoratori”. Che infatti non sono tornati al lavoro, visto che chiedono che la loro paga base venga innalzata fino a 12.500 rand al mese, il doppio di quanto percepiscono attualmente. E il famoso accordo non si avvicina neanche un po’ alle richieste dei lavoratori che solo giovedì hanno manifestato in tremila vicino all’ingresso della miniera di platino per sostenere le proprie ragioni.

A sostenere la rivolta, spiegano alcune fonti, ci sarebbe Julius Malema, buttato fuori dal sindacato dell’African National Congress (Anc) con l’accusa di essere razzista nei confronti dei bianchi.

Sarà anche vero che alcuni ex dirigenti del sindacato ufficiale e dell’Anc stiano provando ad usare le divisioni all’interno del panorama politico e sindacale post-apartheid per una affermazione personale. Ma a leggere la realtà sudafricana sembra di capire che nel paese si sta assistendo non solo all’estensione della lotta operaia a partire dal settore minerario, ma anche alla saldatura di questo conflitto con rivendicazioni politiche che prendono di mira la nuova elite economico-politica, i suoi privilegi e i suoi strumenti di consenso sociale. Spiegava Carlo Cattaneo sul giornale online L’Indro:

La compagnia mineraria Aurora Empowerment System – di proprietà di Khulubuse Zuma e Zondwa Mandela, nipoti di primo grado del Presidente Zuma e di Nelson Mandela – avrebbe messo in atto una operazione di speculazione finanziaria cedendo azioni e forza lavoro alla Goldfields Kloog. Questa speculazione ha avuto conseguenze pesantissime sui 12.000 lavoratori e le loro famiglie che da tre anni non ricevono lo stipendio. La direzione della Goldields sostiene che questi minatori non sono impiegati presso le sue miniere, eppure i dipendenti non hanno mai ricevuto lettere di licenziamento. Malema, durante un comizio alla Goldifields Kloog, ha gettato benzina sul fuoco: “I nostri leader hanno perso la loro credibilità optando per la partecipazione con gli imprenditori per spartirsi i profitti minerari. Il Governo democratico ha voltato le spalle al popolo”. L’obiettivo di Malema é chiaro: trasformare la lotta sindacale dei minatori -ormai nazionale- in una lotta politica, sostituire l’attuale dirigenza e applicare la Freedom Charter che prevede l’instaurazione di una economia socialista sotto il controllo operaio. A più riprese Malema ha incitato la classe operaia nera alla rivoluzione per una radicale trasformazione economica e politica del Sudafrica. Durante il comizio, Malema ha chiesto ai minatori della Goldifields Kloog di occupare le miniere e prendere le redini della gestione tramite comitati di fabbrica. Inaspettatamente, le sue accuse contro la dirigenza dell’ANC hanno trovato eco nella controparte imprenditoriale, attraverso le parole dell’analista politico Ebrahim Fakir e dell’economista Adenaan Hardien. Fakir e Hardien hanno dichiarato al ‘Mail & Guardian’ che la pericolosa popolarità e le azioni di Malema sono frutto del fallimento del Governo, il quale non avrebbe saputo risolvere il problema dell’alto tasso di povertà. “Se l’ANC e il Governo fossero stati più attenti ai bisogni della popolazione, Malema non avrebbe trovato lo spazio politico che attualmente detiene. Questa situazione sta seriamente danneggiando l’economia e compromettendo il futuro del Sud Africa”, ha affermato Fakir. “La situazione di caos del settore minerario rappresenta un colpo mortale non solo alla produzione ma per la fiducia degli investitori”, gli ha fatto eco Hardien. Alcune multinazionali minerarie hanno chiesto al Governo di intervenire legalmente contro Malema. Nonostante il viscerale odio personale che il Presidente Zuma nutre contro Malema -suo ex alleato contro il Presidente Thabo Mbeki- la dirigenza dell’ANC si guarda bene dal trasformare l’oppositore in un martire politico e si rifiuta di soddisfare la richiesta degli imprenditori. “Il Governo non ha mai espresso un’opinione su Malema a parte chiarire che non é piú membro dell’ANC. Come privato cittadino ha il diritto di fare quello che sta facendo”, ha dichiarato il portavoce del partito di governo, Keith Khoza.

Lunedì scorso Julius Malema, insieme a sette sopravissuti dell’eccidio di Marikana, parlando a una folla di minatori in sciopero, ha annunciato di aver sporto denuncia alla Magistratura contro la Polizia, con l’accusa di omicidio plurimo. Intanto la magistratura ha rilasciato buona parte dei 270 minatori arrestati con l’assurda accusa di omicidio il 16 agosto, quando la polizia aprì il fuoco contro i lavori in sciopero uccidendone 34 e ferendone un’ottantina. Anche se l’accusa di omicidio contestata a tutti gli arrestati in base ad una legge varata dal governo razzista ai tempi dell’apartheid è stata cancellata, tutti i minatori sono accusati di gravi reati. Il che non rende certo il compito del governo più facile.

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