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Sudafrica: vittoria a metà per i minatori. Ma vittoria

È stato raggiunto ieri, dopo un lunghissimo e sanguinoso braccio di ferro, un accordo sugli aumenti dei salari dei minatori di Marikana tra sindacati e multinazionale Lonmin. Secondo quanto si apprende i 27 mila lavoratori dei pozzi di platino di Marikana torneranno all’opera domani mettendo così fine ad uno sciopero durante oltre cinque settimane. Sulla base dell’accordo la multinazionale britannica ha accettato di concedere un aumento dei salari pari al 22% in aggiunta ad un consistente bonus. Riuniti davanti agli ingressi della miniera a 130 km a nordovest di Johannesburg – nella regione mineraria di Rustemburg – migliaia di operai hanno potuto ascoltare i termini della nuova offerta da parte della multinazionale e hanno votato a stragrande maggioranza la sospensione dello sciopero.

Una vittoria a metà per i minatori che hanno pagato con il sangue la loro rivendicazione: 45 morti in totale, per la maggior parte vittime di una repressione cieca da parte della Polizia che ha riportato alla mente i massacri compiuti nelle township dai cani da guardia del regime razzista che è evidentemente sopravvissuto anche se ha cambiato forma. Una vittoria a metà ma comunque una vittoria, che potrebbe influire sulle altre vertenze e sugli altri scioperi in corso nelle miniere di oro e platino del paese, gestite immancabilmente da multinazionali straniere, sul piede di guerra proprio sull’onda della rivolta dei lavoratori di Marikana.

L’azienda ha infatti, dopo l’intransigenza totale delle prime settimane, compreso che i lavoratori erano determinati e che né le minacce di licenziamento in tronco né la repressione selvaggia avrebbero posto fine ad uno sciopero che ha causato più di 500 milioni di dollari di perdite alla multinazionale e una decina allo Stato per mancati introiti fiscali. A pesare è stata soprattutto la minaccia, da parte di alcuni sindacati, di iniziare uno sciopero a tempo indeterminato in tutte le miniere del paese. Una vertenza chiusa – almeno per ora, visto che le rivendicazioni dei lavoratori non erano soltanto di natura economica – grazie soprattutto all’opera di mediazione e alle pressioni esercitate dall’arcivescovo Jo Seoka. L’ennesimo smacco per il partito di governo, l’African National Congress, spaccato tra la difesa degli interessi popolari e la rappresentanza degli interessi di una nuova elite – etnicamente mista – che ha sostituito quella monocolore dei tempi dell’apartheid. Una vittoria a metà che dà linfa alle tendenze critiche all’interno del Cosatu (Confederazione Sudafricana dei Sindacati) in cui sono emerse, proprio a partire dal settore minerario, soggettività organizzate insofferenti nei confronti dell’alleanza con l’Anc guidato da Jacob Zuma.
I diversi punti di vista su conflitto e indipendenza si sono riprodotti fortemente all’interno del congresso del Cosatu iniziato pochi giorni fa a Midrand. Alcune fonti hanno descritto i vertici della confederazione come ‘sotto assedio’.  Il segretario generale Zwelinzima Vavi aveva presentato l’assise come un’occasione per affrontare la “triplice sfida delle disuguaglianze, della disoccupazione e della povertà”. Nodi che a 18 anni dalla fine del regime razzista la nuova classe dirigente non solo non ha risolto, ma non ha neanche iniziato ad affrontare.

Contro Julius Malema, ex leader dell’organizzazione giovanile dell’African National Congress espulso alcuni mesi fa  perché in rottura con la dirigenza, il governo sta cercando di creare un ‘cordone sanitario’ a base di denunce per corruzione e truffa ma anche di minacce di arresto per ‘incitamento alla violenza’. Ieri Malema doveva tenere un comizio proprio a Marikana ma le autorità glie lo hanno impedito, e il giovane leader si è dovuto allontanare dalla miniera accompagnato da un nutrito gruppo di poliziotti.

Ma nelle proteste e nelle manifestazioni delle ultime settimane la parola ‘rivoluzione’ è tornata ad echeggiare forte e chiara. E c’è da giurare che il Sudafrica del dopo Marikana non sarà uguale a quello di prima del 16 agosto…

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