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Egitto. Secessione sulle acque del Nilo?

Si parla di noi solo quando arriviamo all’obitorio” dicono a Tahsin, villaggio di tremila anime, molte infantili, del governatorato di Daqahliay. E’ il Delta del Nilo, l’altra faccia dell’Egitto che vive fra coltivazioni e fabbriche della costa. I residenti sono arrabbiatissimi, con tutti “Potrà Dio perdonare i responsabili vecchi e nuovi che ci mandano alla rovina?” Abdel Qader, ripreso dalla pur importante Al-Ahram, accusa: “Quando qualche media si ricorda che esistiamo è per parlare dei nostri morti. Il villaggio dovrebbe chiamarsi cimitero Tahsin”. Una madre con un pargolo in braccio inquadrata dalla telecamera ricorda che lo stillicidio di malattie dei bambini è dovuto all’assenza di normalità come quella di accedere a strutture ospedaliere. Racconta la donna: “La più vicina è a quindici chilometri ma per percorrerli occorre un tempo infinito e quando si raggiunge è magari inadeguato per i bisogni del malato. Uno dei miei figli è ormai paralizzato per una forte febbre mal curata”. Storie ordinarie: durante un’altra necessità sanitaria un padre ha cercato di bypassare l’inadeguata rete stradale con un battellino che vagava per i canali del Delta, viaggio altrettanto improbo e irrisolutivo per l’emergenza. Così i tremila di Tahsin in balìa della sorte hanno deciso lo strappo: dichiarano l’indipendenza neanche fossero la Catalogna.

L’avevano già minacciato nel 2008, quando in pieno governo Mubarak le lagnanze erano esponenziali per carenza e abbandono di tanti servizi: strade inesistenti o fatiscenti, acqua teoricamente potabile che risultava inquinata, elettricità carente. Allora la gente attuò una disobbedienza civile, oggi vuole andare oltre perché Rivoluzione o Primavere lì tutto è rimasto eguale. Al villaggio s’accede con un sentiero polveroso d’estate, fangoso d’inverno sommerso per molti mesi all’anno dalle alte piante del mais coltivato in zona. Le donne temono violenze, i bambini rischiano incidenti. “La nostra è ovviamente una forzatura” dichiara un lavoratore pendolare che quotidianamente raggiunge la città satellite della Nuova Cairo. E con un pizzico d’ironia aggiunge “La strada sarebbe una soluzione di civiltà. Lo facevano anche i nostri antenati…”. Dalla fine della scorsa settimana gli abitanti di Tahsin sono in sit-in davanti agli uffici del governatore locale che li ha anche ricevuti, deridendone però gli obiettivi “Cosa sarebbe una Daqahliya indipendente? – ha ribattuto ai dimostranti – una parte d’Israele, dell’America?” Ma disperazione e bisogni non fanno recedere il folto gruppo che rinfacciano al responsabile amministrativo le centinaia di casi di epatite C contratta dai propri figli per l’uso di acqua dichiarata potabile sebbene sia piena di germi. Tanti bambini lamentano malattie renali ingiustificate dalla verde età.

Rivolte dell’acqua c’erano già state nel mese di luglio nell’area di Giza, ma il passo degli abitanti del villaggio è più deflagrante perché imbocca la via della rottura con le autorità politiche e già altre comunità (El-Loqa) minacciano di seguire l’esempio di Tahsin. Una delle richieste avanzate dopo l’inefficacia dell’incontro è la rimozione del governatore, considerato un attrezzo del regime di Mubarak rimasto in carica. Sebbene difficilmente un altro funzionario potrà attuare la costruzione della strada che ha un costo di 20 milioni di lire egiziane ma uno stanziamento di un solo milione “per mancanza di fondi dal governo centrale” è stata la risposta del governatore. Così entrano in ballo Il Cairo e il presidente Mursi che ancora riceve la fiducia della popolazione locale. “Qui l’abbiamo votato in massa e ci aspettiamo un aiuto concreto. Dottor Mursi guarda Tahsin che è stato seppellito vivo, ora tu sei il responsabile!”. Mentre la protesta era in corso il presidente egiziano era uno degli ospiti più prestigiosi del parterre approntato dal premier turco Erdoğan al congresso del suo partito che l’ha rieletto leader. Dagli incontri di Ankara Mursi è tornato con un prestito di un miliardo di dollari offerto dal governo turco che a breve si raddoppierà. Inoltre è stata ribadita una collaborazione commerciale che farà aumentare fino a 10 e poi a 25 i miliardi di dollari investiti dalle aziende turche in Egitto (finora ammontavano a 4.3 miliardi). Ankara offrirà costruzioni, vestiario, mezzi di trasporto ricevendo in cambio gas naturale. Si parla anche d’una prossima comune joint venture per un marchio automobilistico. La macroeconomia egiziana diversifica i partenariati guardando a sauditi, iraniani e ora anche turchi, chissà se la crescita delle entrate porterà fondi per evitare più che la secessione la mortalità di Tahsin.

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