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Spagna: diritto di manifestazione a rischio

Ancora una volta è Cristina Cifuentes ad esternare senza peli sulla lingua ciò che i ministri di Rajoy dicono a mezza bocca o tacciono per convenienza. “Bisogna rimodulare il diritto di manifestazione perché la legge che lo regola, del 1983, ormai ha molti anni – ha detto ieri la Cifuentes – Andrebbe riscritta, non per ridurre i diritti, ma per razionalizzare l’uso dello spazio pubblico. Non è possibile che lo stesso giorno a Madrid ci siano dieci diverse manifestazioni. I commercianti e gli abitanti del centro sono disperati e hanno ragione”. Sembra il sindaco di Roma Alemanno ma invece è il prefetto di Madrid. Che commercianti e abitanti siano disperati è indubbio, ma non certo per i cortei e i presidi. In un paese dove i consumi sono precipitati e la disoccupazione ufficiale è al 25% non mancano certo i motivi per disperarsi.

L’esponente del Partito Popolare, con un linguaggio sibillino la cui sostanza hanno però colto tutti, propone che l’amministrazione pubblica possa modificare d’autorità gli orari, i luoghi e le forme delle manifestazioni. “La legge è molto permissiva sul diritto di manifestazione” ha chiarito il prefetto, intendendo ‘troppo permissiva’. Nelle stesse ore il grande vecchio del PP ed ex ministro degli interni di Aznar, Jaime Mayor Oreja, si è lamentato del fatto che le tv mostrino le immagini delle manifestazioni perché, ha detto, incitano i cittadini a scendere in piazza.

Paradossalmente a difendere – anche se a proprio vantaggio – il diritto a manifestare liberamente sono stati ieri i due principali sindacati di Polizia, il SUP e la CEP. I segretari delle due sigle – che ieri hanno manifestato a Madrid contro i tagli ai salari del settore pubblico, anche se senza slogan e in maniera silenziosa – hanno risposto alla Cifuentes che “non è necessario” rimodulare la legge che regola il diritto di manifestazione e le hanno ricordato che si tratta di un diritto sacro. Hanno però anche suggerito alle autorità di proibire quelle proteste che non adempiano ai requisiti previsti dalla legge.

Del resto le autorità politiche e di polizia spagnole non si sono mai fatte problemi dalla ‘fine’ del franchismo in poi a proibire manifestazioni e ad attaccarle duramente in piazza, in quei casi in cui i cittadini non abbiano accettato divieto vissuti come ingiusti. Ma per gli spagnoli della ‘Spagna profonda’ certi discorsi e certe minacce rappresentano indubbiamente una novità, essendo stati per decenni diretti quasi esclusivamente contro le organizzazioni sociali e politiche basche, senza che l’opinione pubblica progressista del resto dello stato prendesse molto a cuore le sorti del diritto di manifestazione e di riunione nelle province ribelli del Nord. Ma ora che il problema sta diventando la repressione dell’insorgenza sociale in tutta la Spagna i progetti autoritari del PP preoccupano partiti politici, sindacati e intellettuali finora un po’ distratti.

Anche perché il Partido Popular ci va giù pesante. Domani dovranno comparire davanti all’Audiencia Nacional di Madrid – tribunale speciale ereditato dal franchismo anche se ribattezzato – alcuni dei promotori della manifestazione che lo scorso 25 settembre ha portato decine di migliaia di persone ad assediare il Congresso. Sono accusati di “crimini contro le istituzioni dello stato”, un reato che già nella dizione ricorda quanto incompleta e di facciata sia stata la cosiddetta transizione dal fascismo alla ‘monarchia parlamentare’. La tesi accusatoria è che la protesta abbia sconvolto il normale iter dei lavori parlamentari configurando appunto un reato contro le istituzioni. L’articolo 494 del Codice Penale spagnolo di fatto punisce con la prigione da sei mesi ad un anno “coloro che promuovano, dirigano o assistano a manifestazioni o riunioni nei pressi delle sedi del Congresso dei Deputati, del Senato o dei Parlamenti Regionali alterandone il normale funzionamento”.

Il giudice Pedraz, che conduce l’inchiesta contro otto coordinatori dei movimenti ‘15M’ e ‘En piè’, ha deciso di chiedere al Congresso il registro dei lavori parlamentari, per comprovare se effettivamente siano stati sconvolti dai manifestanti tenuti a debita distanza da chilometri di transenne, manganelli e pallottole di gomma. Lo stesso Pedraz ha deciso di non applicare l’articolo 494 ai 34 manifestanti arrestati la sera del 25 settembre, che però saranno processati per reati equivalenti all’oltraggio, alla resistenza e ai danneggiamenti.

Ma ai promotori della protesta – che hanno comunque invitato cittadini e attivisti a scendere di nuovo in piazza alla fine di ottobre in concomitanza con la discussione parlamentare della finanziaria di 40 miliardi di tasse e tagli – i tribunali spagnoli potrebbero applicare addirittura l’articolo 493 che prevede dai tre ai cinque anni di carcere per “coloro che invadono con la forza, la violenza o l’intimidazione” le sedi parlamentari statali e regionali.

 

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