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Panama. Rivolta contro il governo, finora 3 morti. Scontri nella capitale

Non è bastato l’annuncio della sospensione della Legge 72 da parte del presidente Ricardo Martinelli dopo la rivolta di piazza dello scorso settimana e lo sciopero generale di 48 ore. Nella provincia di Colon in particolare ma anche in altre zone di Panama la mobilitazione popolare continua e si allarga ad altri aspetti della politiche liberista del governo di destra del paese.
I coordinamenti che promuovono la protesta – in particolare il Frente Amplio – chiedono che la deroga della legge che svende le terre all’interno della Zona speciale del Canale diventi un annullamento definitivo.
Mentre i manifestanti bloccavano una decina di grandi arterie della capitale, centinaia di operai aderenti al Sindacato Unico Nazionale dei Lavoratori dell’Industria e delle Costruzioni (Suntracs) hanno circondato il palazzo dell’Assemblea Nazionale – il Parlamento – per esigere l’inizio delle procedure per annullare la normativa che permette la vendita dei terreni finora solo affittati, senza l’imposizione di tasse, a circa duemila imprese per lo più straniere. La manifestazione si è presto trasformata in uno scontro tra operai e poliziotti, che contro la folla hanno lanciato lacrimogeni. Da parte loro i lavoratori hanno lanciato pietre e bottiglie contro le unità antisommossa appostate all’interno del recinto del Parlamento. A Panama city, come era già successo nella città epicentro della protesta, gruppi di persone hanno assaltato e saccheggiato le sedi di alcune grandi catene commerciali, in particolare supermercati e grandi negozi di generi alimentari.
Nel frattempo gruppi di lavoratori e giovani hanno sigillato tutte le vie di accesso alla città portuale di Colòn per l’ottavo giorno consecutivo.

Per tentare di placare gli animi alcuni esponenti del governo hanno spiegato che per sospendere la contestatissima normativa occorre la presenza del presidente, da alcuni giorni in Vietnam, e che la deroga della Legge 72 verrà avviata già questa sera, non appena Martinelli sarà tornato e si sarà riunito con il Consiglio dei Ministri.
Ma le organizzazioni popolari, sociali, sindacali e indigene del paese hanno fatto appello a non smobilitare e a continuare la protesta finché la legge non sarà definitivamente cancellata.

In una settimana di manifestazioni, scontri e scioperi le vittime della repressione sono state già tre, e centinaia i manifestanti o i giovani arrestati.
Giovedì un migliaio di persone, per la maggior parte vestite di bianco e nero, hanno dato l’ultimo saluto al piccolo José Patricio Betancourt Vega, il bambino di dieci anni ucciso da una pallottola nel primo giorno di ribellione, nel giardino di casa sua, a Colòn. Un omicidio di cui l’opposizione incolpa la polizia, che in questi giorni ha spesso usato le armi da fuoco in maniera indiscriminata contro i manifestanti.
Accompagnando il feretro la folla gridava “questo governo assassino non potrà uccidere i nostri sogni” e “in carcere gli assassini”. Martedì un uomo e una donna sono stati uccisi durante gli scontri in diverse zone di Colòn, entrambi raggiunti da pallottole ‘vaganti’.
Non si tratta delle uniche vittime dei conflitti sociali degli ultimi anni hanno ricordato le associazioni locali per i diritti umani.
A febbraio una donna indigena morì a causa della repressione della Polizia contro una comunità che si opponeva a dei progetti minerari sulle proprie terre. E Nel luglio del 2010 tre contadini furono uccisi da pallottole di gomma sparate ad altezza d’uomo e da distanza ravvicinata contro una manifestazione che protestava contro la riforma del lavoro.

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