Menu

Obama: il male, ma non il peggio

Mettendo da parte la retorica di entrambi i candidati e le inverosimili promesse reiterate dai loro “commandos” di campagna, l’elezione era tra il male e il peggio. Il male perché, come dimostrano senza ombra di dubbio le statistiche ufficiali, la situazione dei salariati, che costituiscono la vasta maggioranza della popolazione degli Stati Uniti, non solo non è migliorata ma, in rapporto ai suoi cittadini più ricchi, è sensibilmente peggiorata. Un esempio basta e avanza: secondo l’Ufficio Censimento nel 2010 l’entrata media per famiglia è stata di 49.445 dollari, cioè il 7,1% sotto la cifra del 1999. E, a causa dell’aggravarsi della crisi economica generale, nei due anni successivi questa tendenza, lungi dall’invertirsi, si è invece accentuata. Se, come facevano le generazioni precedenti, quella famiglia volesse mandare uno dei suoi due figli a seguire un master, per esempio alla Harvard Kennedy School, dovrebbe affrontare un costo totale (iscrizione, assicurazione sanitaria, alloggio e vitto) di 70.802 dollari all’anno, e questo spiega il fenomenale indebitamento della famiglia tipo negli Stati Uniti e il fatto che rimangono sempre meno studenti nord americani nelle università d’élite di quel paese. Ma quella media è ingannevole, perché la famiglia tipo afroamericana ha, secondo il medesimo organismo ufficiale, un’entrata media di 32.068 dollari, e i latini di 37.595. Se gli uni e gli altri si aspettavano di più da un presidente afroamericano, le loro speranze sono svanite durante il primo mandato di Obama. Perciò diciamo che hanno eletto il male che ha riscattato le banche, i fondi d’investimento e i grandi oligopoli – i cui CEO (n.d.t. Direttori d’Azienda) hanno continuato a riscuotere decine di milioni di dollari all’anno in stipendi, premi, compensi, bonus e altre astuzie del genere – mentre il salario orario dei lavoratori rimaneva, tagliato a causa dell’inflazione, ai livelli della fine degli anni settanta. In termini pratici: oltre trent’anni senza un aumento effettivo della remunerazione oraria! Non parliamo per niente di altri comportamenti dell’insolito Premio Nobel per la Pace, come aumentare in scala fino all’inimmaginabile la politica tracciata da George W. Bush sugli omicidi selettivi mediante l’utilizzo di droni (in paesi con cui gli Stati Uniti non sono neanche in guerra, come il Pakistan, la Palestina e lo Yemen); il vigliacco linciaggio di Gheddafi; il mafioso assassinio di Osama Bin Laden davanti alla sua famiglia, alla maniera del massacro perpetrato da Al Capone e dai suoi uomini la notte di San Valentino del 1929 a Chicago; lo sfrenato spionaggio interno ed estero e l’intercettazione postale, di sms e di telefonate senza alcun’autorizzazione giudiziaria, denunciata dalla American Civil Liberties Union tra le altre bellezze del genere.

Però, se Obama era l’opzione cattiva, Romney era molto peggio. Il primo è un rappresentante del capitale, ma il secondo è il capitale, e nelle sue versioni più degradate e pericolose. I suoi vincoli con i fondi avvoltoio, tra questi uno che perseguita l’Argentina, sono ben noti; il suo assoluto disprezzo per la sorte dei lavoratori del suo paese non è stato possibile nasconderli. Ha fulminato con una critica razzista e classista il 47% della popolazione che “non paga tasse” e crede che il governo debba offrirle gratuitamente sanità, istruzione, abitazione e cibo. Questo commento, tanto assurdo quanto scorretto, in pratica è stato aggravato anche da Paul Ryan, il suo candidato alla vicepresidenza imposto dai Tea Party. Nel suo delirio reazionario Ryan è arrivato a dire che “la rete di previdenza sociale” che c’è negli Stati Uniti è diventata una comoda amaca dove i poveri dormivano una placida siesta fiduciosi che il Big Government sarebbe venuto per soddisfare le loro necessità. E come se quanto detto non fosse sufficiente, Romney si è preso la briga di dire che avrebbe ulteriormente ridotto le imposte ai ricchi (anche se alcuni di loro, come il multimilionario Warren Buffet, hanno confessato che era ridicolo e immorale pagare, in proporzione, meno imposte dei propri impiegati) e che avrebbe appoggiato senza esitazioni le forze del mercato, mentre faceva ripetute dichiarazioni che mettevano in evidenza uno straripante bellicismo sul piano internazionale. La Russia è stata caratterizzata come “il nemico numero 1” degli Stati Uniti, aveva insinuato che avrebbe lanciato una guerra commerciale contro la Cina (il che avrebbe provocato una vera debacle nel suo paese) e minacciava di promuovere azioni militari più energiche contro l’Iran, la Siria, Cuba e il Venezuela. Insomma quello che si può dire un vero mostro politico di fronte al quale il reticente elettorato nord americano ha optato, sia pur malvolentieri, per il cattivo, convinto che l’altro rappresentava il peggio nella sua forma chimicamente pura.

Traduzione di Rosa Maria Coppolino

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *