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Siria: opposizioni unite per frantumare il paese

Di seguito due ottimi articoli tratti dal sito Nena News

Le opposizioni siriane firmano l’unità

A Doha gruppi anti-Assad e Cns confluiscono in un’unica coalizione per la creazione di un governo e un parlamento alternativi a Damasco.

Roma, 12 novembre 2012, Nena News – Un accordo storico quello siglato ieri tra i gruppi di opposizione siriani al regime del presidente Bashar al-Assad. Dopo quattro giorno di meeting a Doha, in Qatar, i rappresentanti delle diverse fazioni d’opposizione hanno deciso di rifluire in un’unico cartello, la Coalizione Nazionale delle Forze di Opposizione, che sia in grado di far cadere il presidente alawita e che si guadagni l’appoggio dell’Occidente.
L’accordo, firmato anche dal neoeletto leader del Consiglio Nazionale Siriano, George Sabra, arriva infatti a stretto giro dalla richiesta statunitense di unita’ delle opposizioni: la scorsa settimana il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, aveva fatto pressioni perche’ i diversi gruppi anti-Assad unissero le loro forze e mettessero da parte le divisioni politiche ed etniche. 
“Credo che questo sia un passo serio contro il regime e verso la liberazione”, ha commentato Sabra, leader del Cns a cui dovrebbero andare 22 dei 60 seggi all’interno della Coalizione. “La nuova coalizione aiutera’ a mobilitare il sostegno internaziale e risorse per le opposizione siriane”, ha aggiunto un altro membro del Cns, Wael Mirza, certo del sostegno finanziario di Arabia Saudita e Turchia.
Presidente della nuova coalizione e’ il religioso moderato siriano Ahmed Moaz al Khatib, 52 anni, da tre anni all’estero. I suoi vice saranno il noto dissidente Riad Seif e una donna, Suhair al Atassi. A sancire l’accordo un documento di 12 punti con il quale i diversi gruppi stabiliscono di lavorare per la caduta del regime e di tutti i suoi simboli e di creare un consiglio militare ed una commissione giuridica nazionale.
Tra i punti fermi dell’accordo c’e’ il rigetto del dialogo e di eventuali negoziati con il regime di Assad. L’obiettivo e’ la creazione di un parlamento e di un governo alternativi a quello di Damasco, che siano responsabili delle “aree liberate” e della gestione dei miliziani dell’Esercito Libero Siriano.
Ottima la reazione degli alleati arabi e occidentali, che vedono nella nuova coalizione la riproposizione del modello libico del Consiglio Nazionale di Transizione: “Lavoreremo da subito perche’ questo nuovo corpo sia riconosciuto da tutti i partiti, come unico legittimo rappresentante del popolo siriano”, ha commentato Sheikh Hamad bin Jassim, primo ministro del Qatar. Il ministro degli Esteri turco, Ahmed Davutoglu, ha avvertito: ora i governi occidentali non hanno piu’ scuse e devono sostenere l’opposizione ad Assad. Plausi anche da Francia, Gran Bretagna, Tunisia e Stati Uniti. 
L’accordo è giunto a poche ore dal lancio di un missile Tammuz da Israele alla Siria, un avvertimento – come e’ stato definito da Tel Aviv – dopo che truppe siriane e ribelli hanno lanciato mortai nei territori siriani occupati delle Alture del Golan. E’ la prima volta che Israele apre il fuoco nell’area dal 1973, dalla guerra tra i due Paesi. Un’operazione militare che preoccupa la comunita’ internazionale, che vede nell’intervento israeliano un possibile allargamento del conflitto all’intera regione.
In una dichiarazione, l’esercito israeliano ha accusato le Nazioni Unite attive nell’area di scarso controllo, aggiungendo che non sara’ tollerato alcun attacco al territorio israeliano.

 

Unificare l’opposizione per frantumare la Siria

A Doha pressioni sul Cns allo scopo di creare una struttura unitaria dell’opposizione che, nelle intenzioni di Usa e Qatar, dovrà governare le “zone liberate”. Si tornera’ alle divisioni territoriali su base etnica e religiosa delineate dalle potenze coloniali?

di Michele Giorgio

Roma, 11 novembre 2012, Nena News – Si diceva fiducioso ieri Maurizio Massari, l’inviato del ministro degli esteri italiano Giulio Terzi a Doha, in Qatar. «Presto ci sarà un accordo, è una questione di ore» diceva con il tono di chi sa il fatto suo. Gli organizzatori dell’incontro – Qatar e Usa,con la partecipazione di Gran Bretagna, Francia, Germania, Turchia e Italia – premono con forza. Vogliono che l’opposizione siriana formi una «struttura politica unitaria», ossia un Parlamento alternativo a quello di Damasco a cui dovrebbe affiancarsi un governo transitorio dei ribelli (10 membri), responsabile delle cosiddette «aree liberate», incaricato di gestire i miliziani dell’Esercito libero siriano (Els) e di coordinare l’afflusso dei finanziamenti internazionali. Una soluzione teorizzata dal dissidente Riad Seif (il «favorito» di Washington alla carica primo ministro del governo transitorio), in attesa della caduta di Bashar Assad. Quest’ultimo da parte sua si sente forte, perchè sostenuto da una porzione significativa di siriani e non ha alcuna intenzione di farsi da parte prima della convocazione di nuove elezioni presidenziali, anche se i ribelli armati minacciano di fargli fare «la stessa fine» subita da Ghaddafi in Libia.
La soluzione di Riad Seid apre la strada ad una drammatica frantumazione della Siria in tre entità: una nelle regioni centrali e occidentali controllate dal governo di Damasco; una nelle aree del nord nelle mani dei ribelli; una amministrata dai curdi che passo dopo passo si vanno ritagliando le loro fetta di autonomia tenendosi a distanza sia dai ribelli che dal regime. Ieri, ad esempio, combattenti curdi del PYD (vicino al Partito dei lavoratori del Kurdistan, PKK) hanno preso il controllo di tre città nel nord-est della Siria – Al Dirbasiya, Tel Nemer e Amuda – dopo che le forze lealiste si erano ritirate in seguito a negoziati. Una mossa successiva alla conquista da parte dei ribelli della vicina località di frontiera di Ras al Ein. Nelle zone curde le forze governative ora controllano solo due città importanti: Hasakeh e Qamishli, ma anche i ribelli devono tenersi a distanza dai curdi. Tra le due parti i rapporti sono molto tesi.
L’«ottimismo» di Massari, figlio anche della linea avventata pro-Csn portata avanti per mesi dal ministro Terzi, non trova riscontro nelle parole pronunciate ieri da George Sabra, il neo presidente del Consiglio nazionale siriano, il maggior raggruppamento dell’opposizione, formato da “dissidenti” residenti in buona parte all’estero che stenta a rinunciare alla supremazia avuta sino ad oggi. E vuole assicurarsi la fetta di potere più grossa prima di confluire nella nuova «struttura» (come la definisce Massari).
Soprattutto non ha alcuna intenzione di cedere alle manovre dietro le quinte degli Stati Uniti che accusano il Cns di «incapacità». «Non abbiamo problemi a lavorare con tutti i nostri fratelli contro Bashar Assad ma occorre riconoscere che il Cns è la formazione più ampia, più storica», ha detto Sabra. Ci dovete rispetto e riconoscenza e Washington non ha il diritto di liquidarci così, lascia capire Sabra, un cristiano (ed ex comunista) scelto per allontanare il sospetto (ben fondato) che il Cns sia totalmente dominato dagli islamisti vicini ai Fratelli Musulmani. Non è certo un caso che nessuna donna sia stata nominata al vertice del Cns (41 membri) e neppure che Faruk Tayfur, esponente di punta della Fratellanza, sia stato scelto come vice presidente (si dice che sia lui il vero leader e non Sabra). 
Sin dall’inizio della riunione di Doha, la strategia del Cns è stata quella di guadagnare tempo, attraverso richieste di rinvio della formazione della «nuova struttura nazionale». Ieri era attesa la presentazione ufficiale della proposta del Cns -prevede la formazione dell’esecutivo dei ribelli al termine di un congresso di tutta l’opposizione – ma ben pochi ritenevano credibile la scadenza. Una linea che mira a silurare l’intenzione americana di fare di Riad Seif il leader contrapposto ad Assad e che ha provocato l’uscita dal Cns dei “Comitati di coordinamento locale” (Ccl) formati da attivisti che agiscono sul terreno, l’esatto contrario del Cns che invece «guida» dall’estero. «I continui rinvii richiesti dal Cns sono negativi, Sabra e i suoi compagni vogliono tutto e pensano solo a come poter controllare la leadership futura», si lamentava ieri un oppositore, Haytam Maleh. Alla fine però la strategia darà i suoi frutti e, prevedono molti, il Cns targato-Fratelli Musulmani riuscirà ad ottenere quanto vuole per andare all’accordo.
Sul terreno intanto lo scontro si fa sempre più cruento. Almeno 53 persone sarebbero morte ieri, tra le quali 29 soldati governativi (20 uccisi da attentati nella città di Daraa). Scontri anche alla periferia di Damasco sulla città settentrionale di Maarrat al Numaan, nella provincia di Idlib, tenuta dai ribelli. Le truppe governative hanno colpito e affondato un battello, con a bordo ribelli con armi e munizioni in navigazione sull’Eufrate.

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