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Egitto, rivoluzioni contrapposte

Tutti rivoluzionari

Ma anche Mursi, finito prigioniero della sua Dichiarazione Costituzionale, continua a richiamarsi allo spirito di quella rivoluzione. Ha spiegato ad altre folle che il suo pronunciamento rappresenta “una misura temporanea rivolta a proteggere il corpo elettorale contro la corruzione. Non una personale concentrazione d’ogni potere bensì un allungamento dei medesimi al Parlamento eletto democraticamente e attualmente disciolto. E preserva l’imparzialità degli stessi giudici in una fase di vuoto politico”. Questo almeno dichiara. Ma gli oppositori già domani, nella capitale e altrove, batteranno sul ferro caldo delle piazze, contando su una mobilitazione ringrossata come nei giorni del furore anti mubarakiano. Il paragone col vecchio raìs, che starà gustandosi la scena, è un elemento che s’è diffuso con una rapidità impressionante. Frutto d’una disarmante superficialità d’analisi oppure d’un irrisolto che ha covato per mesi sotto la cenere. I richiami alle manovre degli attori del vecchio Egitto, che sono valse sino al giugno scorso, non trovano grande credito fra gli osservatori e più d’un nome noto della Fratellanza medita sugli eccessi del Presidente. 

Fratellanza divisa

Mohamed Abdel Qodous, membro della Confraternita, esponente del Fjp e di un sindacato di giornalisti, rigetta la scelta di togliere ai magistrati il proprio potere. Nel Partito della Libertà e Giustizia Ahmed Fahmi, portavoce del Consiglio della Shura e anche parente di Mursi, ha criticato quella mossa che divide la nazione fra islamisti e laici “Occorre subito ripristinare un dialogo con tutte le componenti per mettere fine a una crisi dai contorni devastanti”. Che possono far aumentare lo scontento popolare per le ricadute economiche visto che circolano voci, non ufficiali ma insistenti, su una ventilata retromarcia del FMI sui famosi prestiti concessi al Paese, la cui prima tranche di 4.8 miliardi di dollari era attesa entro dicembre. Sebbene il gioco dei ricatti da parte di quell’organismo travalichi gli schieramenti e potrebbe cadere sulla testa di qualsiasi politico al potere. A favore di Mursi, forse più perché alla ricerca d’una resa dei conti coi partiti secolaristi, c’è qualche esponente di Al-Nour (Tareq El-Sehari) secondo cui “I giudici hanno grosse colpe per non aver perseguito con intransigenza gli esponenti del vecchio regime e averli graziati nei processi. E’ questo il motivo per cui Mursi non si fida e deve difendere dai rischi di scioglimento il Consiglio della Shura e l’Assemblea Costituente”. 

Magistratura e realismo salafita

Eppure ora la prova muscolare coi magistrati è rischiosa per gli islamisti. Un’iniziativa di ricucitura dei rapporti col Consiglio Supremo è stata avviata dal ministro della Giustizia Mekki proprio per scongiurare l’aggravamento d’una crisi che, scatenando le piazze, può far cadere premier e Presidente. Ieri la tv di Stato evidenziava la disponibilità dei giudici ad accettare il dialogo, sebbene in un’assemblea straordinaria essi avessero ribadito il princìpio irrinunciabile alla propria indipendenza. Stamane il capo di Stato li incontrerà cercando un iniziale compromesso che eviti lo sciopero proclamato da una frangia irriducibile. Realisticamente anche i più fondamentalisti fra i salafiti, appartenenti al gruppo Al-Gamaa Al-Islamiya, sostengono che il Presidente debba fare macchina indietro su quella che definiscono la “svista della Dichiarazione” con cui s’è attribuito ogni sorta di potere. A loro parere un correttivo sarebbe assegnare la potestà legislativa al Consiglio della Shura (dove comunque gli islamisti hanno la maggioranza). Per uscire dall’impasse dell’Assemblea Costituente propongono che la discussione sugli articoli prosegua sino a fine mese, e sui punti di dissonanza fra i membri costituenti si ricorra al Referendum popolare.

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