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Israele non cede: altre 1.600 case per le colonie

Emma Mancini

Betlemme, 4 dicembre 2012, Nena News – Israele prosegue a testa bassa, nonostante le critiche e le forti pressioni politiche e diplomatiche occidentali. Pressioni senza precedenti, che Tel Aviv per ora finge di non interpretare per quello che sono: una sconfessione globale del governo Netanyahu.

Ieri si è mossa l’Europa: Gran Bretagna, Francia, Svezia, Danimarca e Spagna hanno convocato gli ambasciatori israeliani nei rispettivi Paesi per protestare ufficialmente contro l’annuncio della costruzione di tremila nuove unità abitative a Gerusalemme Est. Di tutta risposta, il governo israeliano ha reagito aumentando la posta: Netanyahu ha annunciato la costruzione di altre 1.600 unità abitative a Ramat Shlomo – insediamento israeliano a Gerusalemme Est – in aggiunta alle 3.000 previste nella cosiddetta area E1. Un corridoio di colonie con cui Tel Aviv intende collegare Gerusalemme, l’insediamento di Ma’ale Adumim fino ad arrivare al Mar Morto. Obiettivo, spezzare in due la Cisgiordania e rendere, nella pratica, impossibile la creazione di uno Stato palestinese.

Nel quartiere palestinese di A-Tur, a Gerusalemme Est, i bulldozer israeliani sono già al lavoro: oggi è stata demolita un’abitazione, per la creazione di un nuovo parco nazionale, mentre nella zona palestinese di Jabal Mukkaber un gruppo di coloni ha occupato un edificio a cinque piani. E al piano di ampliamento della colonia di Ramat Shlomo – annunciato già nel 2010, durante la visita del vice presidente USA, Joe Biden – seguirà anche la progettazione di centinaia di altre unità abitative a Givat Hamatos, insediamento israeliano a Sud della Città Santa.

Il piano israeliano si è però immediatamente scontrato con la reazione internazionale: da Washington a Parigi, i governi occidentali hanno puntato il dito contro il progetto di espansione coloniale, da sempre considerato – seppur mai concretamente contrastato – il vero ostacolo al processo di pace.

Il Dipartimento di Stato statunitense ha avvertito del pericolo di proseguire nell’implementazione dell’area E1, “the Greater Jerusalem”: “L’area è particolarmente sensibile – ha detto Jay Carney, portavoce del presidente Obama – e costruire là danneggerebbe la soluzione a due Stati. Invitiamo i leader israeliani a riconsiderare tali iniziative unilaterali e controproducenti, che rendono difficile riprendere negoziati diretti”.

E mentre critiche sono piovute su Israele anche da Russia, Germania e Giappone, alcuni governi europei hanno fatto un passo in più: ieri Francia, Gran Bretagna, Svezia, Spagna e Danimarca hanno convocato gli ambasciatori israeliani per manifestare “grande preoccupazione” contro un’azione definita da Londra “deplorevole”. “Abbiamo detto al governo israeliano – ha proseguito il governo britannico – che se proseguirà nel progetto, dovrà attendersi una reazione forte”.

“Costruire nell’area E1 minerebbe gravemente la soluzione a due Stati, isolando Gerusalemme dal resto della Cisgiordania – ha commentato il portavoce del Ministero degli Esteri francese, Philippe Lalliot – Minaccia la continuità del futuro Stato palestinese”.

Ma Netanyahu ignora gli appelli e prosegue in quella che appare non solo come una punizione da infliggere all’Autorità Palestinese per l’iniziativa all’Onu, ma anche il mezzo per rendere impraticabile la creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano. “Israele continuerà a tutelare i suoi interessi vitali, nonostante le pressioni internazionali – ha detto uno dei funzionari dell’ufficio del primo ministro – Non ci saranno cambiamenti al progetto”. Un piano a cui si aggiunge il blocco del trasferimento delle tasse palestinesi nelle casse di Ramallah: 120 milioni di dollari, il cui mancato introito indebolirà ulteriormente la già precaria situazione economica palestinese.

Intanto ieri sulla testa del premier Netanyahu è caduta l’ennesima tegola: a lanciarla di nuovo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che ha approvato una risoluzione (174 voti a favore, 6 contrari e 6 astensioni) con la quale chiede a Tel Aviv di permettere il prima possibile l’ingresso di ispettori nei siti nucleari e di ritornare al tavolo dei negoziati per la non proliferazione del nucleare in Medio Oriente.

A metà dicembre i Paesi arabi – tra cui l’Iran – avrebbero dovuto partecipare ad una conferenza ad Helsinki, ma gli Stati Uniti ne hanno annunciato la cancellazione, dopo che Israele ha fatto sapere che non avrebbe preso parte al tavolo.

da Nena News

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