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I “contractor” ora ammettono: “torturavamo ad Abu Ghraib”

La privatizzazione della tortura è la nuova frontiera dell’imperialismo in crisi? Macchè, è roba vecchia di secoli… C’è sempre stata la tentazione di far svolgere il più sporco dei lavori a qualcuno che non si fa troppi scrupoli morali, e magari non ha responsabilità istituzionali che possa coinvolgere responsabilità dei superiori.

Una società americana ingaggiata come contractor dai militari usa per fornire ufficialmente “servizi di traduzione negli interrogatori” condotti nella prigione irachena di Abu Ghraib in Iraq ha raggiunto un accordo extragiudiziale con decine di detenuti che avevano accusato i suoi dipendenti di complicità nellle torture subite. Pagherà 5 milioni di dollari per chiudere le cause.
Le torture sui prigionieri detenuti ad Abu Ghraib, condotte quasi sempre da parte dei militari degli Stati Uniti, all’inizio della guerra in Iraq, è venuto alla luce nel 2004 ed è stato uno degli eventi chiave che infiammato l’opinione pubblica irachena contro l’occupazione americana. Si sospettava da tempo che anche i “privati” partecipassero a questa pratica; ora ce n’è asddirittura la prova giudiziaria, con tanto di ammissione da parte dei colpevoli (il “patteggiamento” monetario è una confessione piena).
Un’inchiesta militare, otto anni fa, ha confermato molti dei casi di tortura e ha portato a diversi procedimenti giudiziari e azioni disciplinari nei confronti di soldati e ufficiali americani, ma i
contractors non erano mai stati sottoposti a indagine.
Quello di ieri è insomma il primo esempio riconosciuto di una società
contractor americana che ammette responsabilità proprie nella tortura dei prigionieri nella guerra in Iraq. Un caso simile contro un’altra società, presentata da quattro altri ricorrenti, dovrebbe andare a processo nel Maryland quest’anno.
Nella causa appena chiusa, la società si impegna a risarcire 71 “parti civili”, ossia iracheni detenuti ad Abu Ghraib e altrove in Iraq. I ricorrenti lamentavano “atti efferati” e torture per mano di personale militare e privato, tra cui stupri e violenze sessuali, percosse, nudità forzata, umiliazione e isolamento.
La notizia si è avuta soltanto oggi, ma la causa è stata chiusa nel mese di ottobre. La divulgazione è arrivata solo grazie al deposito – due mesi fa – effettuato dalla Holdings Engility con la Securities and Exchange Commission (Sec, l’equivalente statunitense della nostra Consob), in cui si certificava una perdita di utili con formula usata nell’accordo extragiudiziale; “noi e le controparti abbiamo convenuto di risolvere e concludere la causa in cambio di un pagamento di 5,28 milioni dollari”.
Un avvocato dei querelanti, Susan Burke, ha detto che la risoluzione della causa era coperta da segreto militare e non le era permesso di entrare nel merito. I funzionari della Engility non hanno voluto commentare la notizia.

Di tutte le cose assurde di questa vicenda, una ci sembra di clamorosa evidenza. L’avvocato dei ricorrenti iracheni  – una donna per di più – ha accettato sia di patrocinare la causa che di mantenere il rispetto del segreto militare. Un’implicita ammissione del “lo faccio solo per soldi” che tanto illumina la moralità del “libero” occidente capitalistico.
La seconda è quasi una vendetta della logica: la notizia è uscita solo perché la Engility voleva scaricare il costo della causa dagli “utili ante imposte” e pagare così meno tasse. Se anche la segretezza del Pentagono viene sconfitta dalle aride leggi dell’economia, allora c’è speranza…

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