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Il Mali nell’occhio del ciclone

Così è stato: si assiste dal gennaio 2012 alla riattivazione della ribellione del movimento di liberazione nazionale dell’Azawad, movimento secessionista che rivendica la parte sahariana del territorio del Mali.

Potentemente armato , il MNLA ha lanciato nel nord-est del paese un’offensiva vittoriosa contro l’esercito del Mali. Il 24 gennaio, a Aguel Hok i ribelli hanno giustiziato , in modo atroce, 80 prigionieri di guerra. In questo massacro si può vedere l’origine del golpe militare che ha deposto , il 21 marzo, il presidente Amadou Toumani Tourè. In effetti già da febbraio, alcune famiglie di militari, ma anche alcuni giovani, si riunivano per denunciare l’impotenza del capo dello stato nonché la sua complicità con la ribellione, queste manifestazioni, partite dal campo militare di Kati, hanno raggiunto Bamako e Segou.

Le dichiarazioni fatte da Juppè il 26 febbraio a Bamako, dove era stato accolto da manifestazioni ostili, non hanno fatto che gettare olio sul fuoco. Costui si è detto convinto che non ci sarebbe stata soluzione militare alla crisi del Nord del Mali, aggiungendo :  “ bisogna dunque intraprendere la strada del dialogo il più inclusivo possibile con tutti coloro che devono sedersi attorno al tavolo e il presidente Amadou Toumani Touré ha confermato che questa è la sua intenzione”. Significava non riconoscere totalmente la situazione ma anche lo spirito dell’esercito e della popolazione del Mali. Lo stesso Juppé, come un pompiere piromane, non appena destituito Touré da dei giovani ufficiali , non ha perso l’occasione di lanciare dei virtuosi appelli al ritorno della legalità costituzionale, domandando alla giunta militare di organizzare delle elezioni.

In tutto questo tempo, le vaste piane del nord sono abbandonate ai diversi gruppuscoli iperarmati. Oltre al MNLA, c’è il MPA (Movimento popolare dell’Azawad) salafista divenuto il movimento fondamentalista Ançar Edine, senza contare l’AQMI, che, insieme o in modo separato, rivendicano la lotta chi contro lo stato del Mali, chi per la Sharia, contro l’Occidente, ecc.. Gli abitanti delle località del nord, in preda dei loro attacchi o per paura delle rappresaglie, fuggono verso il sud o verso i paesi limitrofi. Una gran parte delle 200.000 persone che sono sfuggite ai combattimenti vivono ormai sul piano umanitario in condizioni critiche . La sfilata abituale delle calamità di guerra si abbatte su un paese che ha la disgrazia di trovarsi preso tra le manovre di una politica francese balorda e la cupidigia che suscita tra le grandi potenze un territorio quasi vuoto che nasconde immense risorse minerarie ancora inesplorate. Una tale situazione è propizia alla creazione di uno stato fantasma assoggettato, di cui si farà pesare come minimo la minaccia sul Mali se non consente ad allinearsi sulle parole d’ordine dei “protettori” interessati.

In effetti si nota come né la CEDEAO, comunità degli stati dell’Africa dell’Ovest, né la Francia, né gli Stati Uniti, né l’Unione Europea, sempre pronte ad esigere dai golpisti il ritorno alla legalità repubblicana, non abbiano domandato ai movimenti separatisti che seminano il caos nel Sahara, di cessare i loro violenti attacchi contro lo stato e i cittadini del Mali. Dobbiamo credere che un Mali restio alle ingiunzioni delle potenze straniere disturbi più gli appetiti imperialisti piuttosto che i una guerra civile che colpisce opportunamente una regioneagognata.

Fonte : Survie.org

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